ADOZIONE (I, p. 522)
Il cod. civ. del 1942 non ha arrecato all'istituto innovazioni importanti, rispetto al codice del 1865.
L'istituto era stato uno di quelli che più particolarmente aveva fermato l'attenzione della commissione preposta all'esame e alla elaborazione dei varî progetti di riforma del codice: se le proposte finali formulate dalla commissione stessa fossero state totalmente accettate, l'istituto in questione ne avrebbe riportato profonde modifiche strutturali e sostanziali.
Secondo il codice 1942 (art. 296), l'adozione produce i suoi effetti dalla data del decreto che la pronunzia, in contrasto col disposto del codice del 1865 (art. 217) che faceva iniziare gli effetti dell'adozione dall'estrinsecazione dell'atto di consenso. L'importanza, soprattutto dal punto di vista concettuale e dottrinario, della innovazione, sta nel fatto che mentre il vecchio codice concepiva l'adozione quale atto contrattuale, in quanto considerava che il relativo rapporto si costituisse mediante il consenso delle parti, il codice vigente, facendo risalire, invece, l'inizio degli effetti della adozione alla data del decreto che la pronunzia, ha conferito a quest'ultimo il carattere di atto costitutivo del rapporto. Secondo il codice del 1865 l'adozione non aveva l'effetto di far comunque verificare un trapasso della patria potestà dal primitivo detentore all'adottante; il codice del 1942, accostando sempre più l'istituto dell'adozione al rapporto di filiazione reale, ha introdotto il principio secondo il quale la patria potestà sull'adottato spetta all'adottante (art. 299). L'adozione importa quindi la cessazione della patria potestà in chi prima ne era investito.
Se però la moglie adotta il figlio del proprio marito, l'esercizio della patria potestà spetta a quest'ultimo; se cessa la patria potestà dell'adottante, il giudice tutelare può dare i provvedimenti opportuni circa la cura della persona dell'adottato, la sua rappresentanza e l'amministrazione dei suoi beni, salvo che l'esercizio della patria potestà non possa essere ripreso dai genitori dell'adottato; quando l'adozione è fatta da entrambi i coniugi, l'esercizio della patria potestà passa alla moglie, se cessa la patria potestà del marito.
Tra le più importanti innovazioni introdotte dal codice del 1942 sono da annoverarsi, anche, le norme con le quali si è stabilito che l'adottante deve fare l'inventario dei beni dell'adottato minorenne e trasmetterlo al giudice tutelare entro un mese dalla data del decreto di adozione, e quelle con le quali si è introdotto il regolamento della revoca dell'adozione. Mentre il codice abrogato nulla disponeva al riguardo, il nuovo codice ha accolto il principio secondo il quale l'adozione è revocabile. Con tali disposizioni il legislatore ha inteso venire incontro ad esigenze di carattere pratico e sociale che male si accordavano con la mancanza, nel vecchio codice, di norme concernenti la possibilità di uno scioglimento del rapporto, una volta che questo fosse stato istituito. Saggiamente, però, è stato ritenuto di dover disciplinare rigidamente le ipotesi di revoca, restringendole a casi precisi e determinati indegnità dell'adottato o dell'adottante, o a ragioni di buon costume e attribuendo al tribunale il potere di decidere in merito.
Tra le modifiche di minor portata subite dall'istituto in esame, sono da rilevare quella relativa all'età delle parti, per cui si è mitigato il rigore del codice del 1865 stabilendo che, ove eccezionali circostanze lo consiglino, la Corte di appello possa autorizzare l'adozione quando l'adottante abbia raggiunto l'età di 40 anni, anziché di 50, e quando la differenza di età fra adottante e adottato sia di almeno 16, anziché di 18 anni; quella concernente il consenso, per cui è stata mantenuta la necessità del consenso del coniuge così dell'adottante come dell'adottato e del consenso dei genitori, ma solo rispetto all'adottando, giacché i genitori dell'adottante sono sentiti dalla Corte di appello prima di omologare l'adozione.