TOMMASI, Adolfo
Nacque a Livorno il 25 gennaio 1851 da Giuseppe e da Maria, anche lei Tommasi (La presenza dei Tommasi, 2004, p. 11). Giuseppe era collezionista e amico di artisti tra cui Carlo Markò senior. Incoraggiò il figlio a prendere lezioni da Cesare Bartolena, e, dopo che si trasferì con la famiglia a Firenze nel 1872, a iscriversi alla scuola di paesaggio dell’Accademia di belle arti con Carlo Markò jr. che lo avviò alla pittura en plein air già praticata dai pittori della Scuola di Staggia. Frequentò i macchiaioli, in particolare Silvestro Lega, Telemaco Signorini e Giovanni Fattori, recandosi con loro a dipingere in campagna. Presto abbandonò la «pittura manierata» di Markò per seguire gli insegnamenti di Lega (Bonacini, 2006, p. 5). Opere come Sposi in visita alle rovine (1877; Milano, Fondazione Cariplo) e Borgo di paese con venditore ambulante (dove non diversamente indicato, l'opera citata è conservata in collezione privata; Pittori in villa, 1997, n. 24) testimoniano il passaggio compiuto da Adolfo dall’accurata pittura di matrice romantica della scuola di Markò all’analisi del vero su un tema quotidiano reso con la compostezza formale della pittura di Lega del periodo di Piagentina.
Adolfo si sposò nel febbraio del 1877 con Pia Francia (Adolfo Tommasi, 2014, p. 54), e a Firenze andò ad abitare nel quartiere di S. Gervasio, non lontano dalla zona di Bellariva, dove si recava dagli zii Luigi e Adelaide Tommasi che aprivano la residenza di campagna, la cosiddetta Casaccia, ad artisti e letterati. La dimensione rurale offriva un contesto sociale relativamente informale e l’occasione di esercitarsi sul vero: se ne giovò particolarmente Lega, presentato alla famiglia Tommasi da Adolfo nel 1877 a Livorno, e trasferitosi alla Casaccia nel 1882 come insegnante di pittura per i giovani Angiolo e Ludovico. La natura del contado fiorentino e il raffinato ma accogliente ambiente culturale furono l’humus ideale per maestro e allievi. La pittura sintetica di un dipinto come Lavandaie (1883) testimonia la vicinanza di Adolfo a Lega, in sintonia con l’evoluzione abbreviata che la pennellata del maestro subiva in questi anni (Pittori in villa, 1997, n. 32).
Protagonista della vita delle due città toscane culturalmente più attive, Tommasi a Livorno frequentò il Circolo filologico e a Firenze si associò al Circolo artistico insieme ai cugini e a Lega, a pittori macchiaioli e accademici, ad artisti stranieri residenti a Firenze come Arnold Böcklin, al cui influsso il giovane certamente non fu immune. Mattina sul torrente Affrico, dei primi anni Ottanta, dichiara implicitamente queste influenze, trasformando un fanciullo presso un rivo d’acqua in un «moderno Narciso» (Lombardi, 1999, p. 177).
La famiglia Tommasi ospitò pittori e letterati anche nella villa di Crespina, nell’entroterra pisano, dove Adolfo produsse opere come Vagliatura del grano in montagna (1882), nella quale primo piano ravvicinato e orizzonte alto conferiscono solennità alle figure che si stagliano sul cielo terso, ma anche tavolette dal linguaggio abbreviato come La battitura del grano (1883) e L’orto del Lischi a Crespina (1887-88; Pittori in villa, 1997, nn. 29, 30, 35).
Vero e proprio manifesto verista per la descrizione minuta di un campo di cavoli esposto al gelo invernale e proposto senza filtri sul primissimo piano di un ardito scorcio prospettico, Dopo la brina fu esposto alla Società Promotrice di Torino del 1880, scatenando un acceso dibattito presso critici e artisti (Monti, 1985, pp. 25-28; Bonacini, 2006, pp. 1-3).
Temi di vita quotidiana restituiti con esattezza ma senza virtuosismi, proiettati sovente sul primissimo piano o, al contrario, proposti in una costruzione spaziale ampia che supera i limiti della cornice, caratterizzano la pittura di Tommasi. Il pittore condusse sempre una meticolosa ricerca del colore locale attraverso dettagli di paesaggio e costume, nonché attraverso la definizione dell’esatto momento atmosferico e stagionale.
Interessato a temi letterari, e paragonato per il suo approccio al vero a Emile Zola in La faute de l’abbé Mouret (Parigi 1875), Tommasi iniziò intorno al 1890 un dipinto dedicato alla morte della protagonista di quel romanzo, senza però portarlo a compimento, come fu per il dipinto dedicato all’incontro di lord Byron e Percy B. Shelley tra Viareggio e La Spezia (Adolfo Tommasi, 2014, pp. 34 s., 20, 70).
All’Esposizione della Società Promotrice di belle arti di Torino del 1884 Il fischio del vapore (Roma, Galleria nazionale d’arte moderna) fu acquistato dal Governo italiano: il tema del progresso che fa irruzione tra i campi coltivati, (frequentato anche da Giosue Carducci nelle Odi barbare) viene espresso con un connubio di modernità e tradizione, ove l’ardito scorcio richiama insieme la prospettiva dei maestri del Quattrocento e i moderni tagli fotografici, in analogia con quanto operato dai maestri macchiaioli, Signorini in particolare. Del 1884 è Idillio, visione campestre condotta su una partitura spaziale ben calibrata, ma con una pennellata morbida che asseconda il tono sentimentale del dipinto, in consonanza con le «poetiche atmosfere» di Lega a Piagentina (Opere d’arte, 1990, p. 202).
Nel 1885 la prima mostra personale di Tommasi al Casino S. Marco di Livorno, organizzata con il sostegno del banchiere tedesco Rodolfo Schwartze, ebbe notevole successo e indusse il pittore, con i cugini e gli artisti del Circolo filologico, ad allestire nel 1886 l’Esposizione nazionale di Livorno con l’intento di valorizzare le singole scuole regionali (Adolfo Tommasi, 2014, pp. 15, 57; Pittori in villa, 1997, pp. 18 s.). Di Tommasi furono particolarmente apprezzati due soggetti di figura: I fiori per l’angelo e La nonna (Pittori in villa, 1997, pp. 13, 19).
Nel 1887, in una rara parentesi produttiva fuori dai confini regionali alla ricerca di nuovi scenari luminosi, Tommasi si recò alla Spezia (Bonacini, 2006, pp. 19 s.), località dove sarebbe tornato a dipingere negli anni a venire.
Tra anni Ottanta e primi Novanta frequentò a Firenze l’accolita di artisti che si ritrovava nella trattoria del Volturno, in via S. Gallo, per discutere e dipingere (Giardelli, 1958), stringendo amicizia in particolare con Plinio Nomellini (Adolfo Tommasi, 2014, p. 39 nota 6), con cui condivideva le sperimentazioni sulla resa della luce, come testimoniano Case di paese con girasoli (1887-88; Pittori in villa, 1997, n. 33) e Giornata piovosa (1890 circa; Livorno, Museo civico Giovanni Fattori): studi condotti in linea con le novità impressioniste riportate dal pittore Alfredo Müller, e la cui ricezione da parte dei giovani del Volturno generò il celebre attacco del maestro Fattori sulla fascinazione delle mode d’Oltralpe e la pittura facile e d’effetto (Adolfo Tommasi, 2014, pp. 27-30). Tommasi stesso ascriveva all’ultimo decennio dell’Ottocento esercizi sulla luce condotti a pastello a olio: «La mia seconda maniera fu quando tentai la luce che poi trovai specialmente per mezzo della pittura a pastello che fu la mia terza maniera. Di essa fanno parte l’esposizione di Pisa, Milano Internazionale del 1906 […]» (p. 87), in riferimento alla serie Vicoli e volte alla Molina di Quosa esposta alla Mostra nazionale di belle arti di Milano del 1906 (p. 31).
Tra le opere su commissione, ricordiamo gli affreschi della cappella funeraria per Enrico Banti nel cimitero di Livorno, suo giovane allievo morto prematuramente (1890; La presenza dei Tommasi, 2004, p. 50). Un importante disturbo nervoso afflisse Tommasi tra la fine degli anni Ottanta e la metà degli anni Novanta e lo costrinse a rallentare e interrompere il lavoro, ripresentandosi poi tra il 1907 e il 1911 (Adolfo Tommasi, 2014, p. 57).
A partire da questo anno e fino a fine carriera l’artista fu in contatto con l’ambiente lombardo, attraverso pittori come Carlo Pollonera e Bartolomeo Bezzi, esponendo regolarmente alla Triennale di Milano (Bonacini, 2006, pp. 21 s.).
Partecipò nel 1893 al Concorso della Società di belle arti di Firenze con La primavera (Firenze, Galleria d’arte moderna), una delle più riuscite espressioni della vena pascoliana di Tommasi, in cui, su grandi dimensioni, l’attenzione al dettaglio naturale si combina con una composizione capace di attrarre l’osservatore nella scena stessa, stimolando quell’empatia tra stato d’animo e dato naturale che è il cuore della poetica delle Myricae di Giovanni Pascoli, illustrate da Tommasi nell’edizione nel 1894 insieme ad Attilio Pratella e al giovanissimo Anthony De Witt (Monti, 1985, pp. 28 s.; Bonacini, 2006, p. 40). Dello stesso segno appare Giornata invernale (1890; Firenze, Galleria d’arte moderna), in cui l’imminente cambiamento atmosferico si carica di un senso di presagio che ha forti consonanze con la poetica pascoliana (V. Gensini, in La Galleria d’arte moderna, 2005, p. 263; Ulivi, 2008, pp. 102-105).
A Livorno ricevette numerose commissioni che lo indussero a sperimentare generi diversi dalla veduta campestre: un S. Francesco a encausto per il convento dei cappuccini (1893-95), arazzi, affreschi e disegni di mobili per il palazzo Rosselli (1895-97), quadri a soggetto storico e biblico per il palazzo Pavia (1895-96; Adolfo Tommasi, 2014, p. 61), il gagliardetto con la Madonna Immacolata per la chiesa di S. Jacopo in Acquaviva (La presenza dei Tommasi, 2004, p. 53), arazzi per il Caffè Ciardelli (1901; pp. 53 s.). Di particolare rilievo sono le figure rappresentanti le industrie per il soffitto della sala di ricevimento del Ricovero di mendicità (1906, Livorno, Museo civico Giovanni Fattori).
Nel 1895 espose a Venezia Il canto della sfoglia. Nel 1896 partecipò alla fiorentina Mostra dell’arte e dei fiori con Prime note, dal vivace cromatismo, e Calambrone, dal «moderato simbolismo» e dalla «pennellata larga» (Adolfo Tommasi, 2014, p. 23).
Nel 1897 vinse il concorso per l’insegnamento all’Accademia navale e si trasferì a Livorno (Adolfo Tommasi, 2014, p. 60).
In Sacra Famiglia (1897) l’impostazione orizzontale e la cromia lucente esaltano il tema simbolico e richiamano le composizioni di Giovanni Segantini (presente alla Mostra dell’arte e dei fiori del 1896 a Firenze), così come la carola di angeli riporta alle visioni sacre di Gaetano Previati. Esito di alcuni tentativi condotti negli anni precedenti sul tema sacro, tra cui una Maddalena penitente (La presenza dei Tommasi, 2004, p. 43), il dipinto fu presentato all’Esposizione d’arte sacra a Torino nel 1898, suscitando un vivace dibattito critico e l’attenzione della Maison Goupil di Parigi, che ne trasse una stampa in grandi dimensioni (La presenza dei Tommasi, 2004, pp. 44 s.).
Nel 1902 illustrò Tra i pirati del Rif. Avventure marinaresche di Guido Menasci, una delle voci autorevoli della cultura simbolista toscana, che nel 1900 aveva inserito Tommasi nella schiera degli artisti che indagano lo stato d’animo del paesaggio, secondo la definizione del pensatore svizzero Henri-Frédéric Amiel (Menasci, 1900, pp. 888 s.).
Dai primi del Novecento sperimentò la restituzione di effetti luminosi con l’uso dei pastelli Raffaelli durante i soggiorni nella villa Rossi Ciampolini presso Pomaia (Pisa; Adolfo Tommasi, 2014, pp. 33 s.). Nel secondo decennio eseguì vedute di villa Grabau a San Pancrazio (Lucca; 1912), villa Bernardini a Saltocchio (Lucca; 1914), e villa Rosselmini a Pisa (1914) per giungere quindi a Firenze a lavorare nel Giardino di Boboli (Adolfo Tommasi, 2014, pp. 35-38, 218). Questa intensa stagione pittorica novecentesca è stata ricostruita attraverso lo spoglio dell’archivio Tommasi (Adolfo Tommasi, 2014). Tra le opere più significative, La veduta del parco della Villa Reale di Marlia è conservata alla Galleria d’arte moderna di Firenze (Ottocento e Novecento, 1999).
Nel 1924 Tommasi fu incaricato da Costanzo Ciano, all’epoca deputato, di valutare lo stato di conservazione del teatro S. Marco di Livorno, affrescato da Carlo Ademollo (La presenza dei Tommasi, 2004, p. 19).
Tornò a Firenze nel 1927, andando ad abitare in via Cimabue nella palazzina del commediografo Augusto Novelli, scomparso in quello stesso anno, al quale era legato da affettuosa amicizia (Adolfo Tommasi, 2014, p. 60).
Morì a Firenze il 5 ottobre 1933.
G. Menasci, Arte e artisti. A. T., in Natura e Arte, IX (1900), 11, pp. 883-890; M. Giardelli, I Macchiaioli e l’epoca loro, Milano 1958, pp. 233-236; R. Monti, Le mutazioni della “macchia”, Roma 1985, pp. 25-30; Opere d’arte della Cassa di Risparmio di Firenze, Firenze 1990, pp. 202 s.; Pittori in villa. Silvestro Lega e l’ambiente dei Tommasi a Crespina e dintorni (catal., Crespina), a cura di F. Cagianelli - E. Lazzarini, Pisa 1997; L. Lombardi, Naturalismo e Accademia nel dibattito artistico della seconda metà dell’Ottocento, in Storia delle arti in Toscana. L’Ottocento, a cura di C. Sisi, Firenze 1999, pp. 163-201; Ottocento e Novecento. Acquisizioni 1990-1999 (catal.), a cura di G. Damiani, Firenze 1999, pp. 57 s., n. 24; S. Bietoletti, Carlo Markò junior, in La pittura di paesaggio in Italia. L’Ottocento, a cura di C. Sisi, Milano 2003, p. 279; La presenza dei Tommasi a Livorno. Dalla cappella Tommasi all’Istituto Pascoli, a cura di F. Cagianelli, Livorno 2004; La Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti. Storia e collezioni, a cura di C. Sisi, Firenze 2005, pp. 262 s.; S. Bonacini, Elegia del vero. La pittura di A. T. negli anni Ottanta e Novanta dell’Ottocento, tesi di laurea, Università degli studi di Firenze, a.a. 2005-06; C. Ulivi, Proposte di lettura per la pittura di paesaggio di fine Ottocento. Tra letteratura, poesia e critica d’arte, in Fra parola e immagine. Metodologie ed esempi di analisi, a cura di O. Calabrese, Milano 2008, pp. 89-109; A. T. L’anima di un archivio e le verità dell’artista, a cura di F. Cagianelli, Pisa 2014.