MUSSAFIA, Adolfo
(Abraham, Arturo Adolfo). – Nacque a Spalato il 15 febbraio 1835, in una famiglia sefardita, da Jacob Amadeo, dotto rabbino della comunità locale e autore di diversi studi relativi alla teologia ebraica, e da Rachele Levi (detta Nina) di Sarajevo.
Conseguita la maturità presso il ginnasio della sua città natale, lo stesso dove avevano studiato Ugo Foscolo e Niccolò Tommaseo, nel 1852 si trasferì a Vienna. La sua conoscenza della lingua tedesca era modesta, ma questo non gli impedì di iscriversi ai corsi di medicina obbedendo così alla volontà paterna. Contemporaneamente coltivava i suoi interessi linguistico-filologici formandosi sugli scritti di Federico Diez, figura illustre negli studi sulle lingue romanze in area tedesca, della cui opera sarebbe divenuto uno dei migliori continuatori. Nel 1854 abbandonò gli studi di medicina per dedicarsi a quelli filologici, quando la morte del padre, avvenuta quello stesso anno, e il venir meno, di lì a poco, del sostegno economico elargito dalla comunità ebraica di Spalato lo costrinsero a cercare qualche lavoro per sopravvivere. Incoraggiato e aiutato da chi già aveva avuto modo di apprezzarne l’ingegno (nel 1855 aveva pubblicato il suo primo lavoro scientifico sul plurale dei nomi di città, luoghi e villaggi in risposta a un quesito grammaticale proposto sulla Rivista ginnasiale dal suo direttore, il comasco Giambattista Bolza, allora segretario presso il ministero dell’Istruzione di Vienna), fu chiamato a ricoprire il posto di lettore d’italiano presso l’Università di Vienna, incarico in realtà poco o nulla retribuito. Maturò in tale periodo l’importante decisione di passare al cattolicesimo (28 settembre 1855), mutando il suo nome Abraham in Arturo Adolfo. Nel 1857 pubblicò sulla Rivistaginnasiale di Milano (vol. IV, pp. 733-766, 857-908) il suo primo saggio critico sull’edizione del Decamerone curata da Pietro Fanfani (vol. II) e sulla sintassi del Boccaccio.
Dal 1860 fu professore straordinario di filologia romanza presso l’Università di Vienna (il primo a ricoprire tale incarico) e contemporaneamente bibliotecario presso la Biblioteca di corte (Hofbibliothek, oggi Österreichische Nationalbibliothek), accanto a Ferdinando Wolf, insigne iberoromanista e membro dell’Accademia delle scienze di Vienna dal 1847. Ordinario dal 1867, svolse la sua attività nell’ateneo per un cinquantennio circondato da universale stima da parte di colleghi e studiosi per l’impegno profuso nell’insegnamento e per la grande dottrina che distingueva i suoi lavori.
Il 4 settembre 1867 sposò a Vienna Regina Rohnthal. Dal matrimonio non nacquero figli. La serenità fu breve: a Natale di quello stesso anno fu colpito da una grave malattia, «un’affezione di nervi», che ne compromise per sempre la salute. Nonostante la sofferenza fisica che in alcuni momenti lo costringeva all’immobilità, continuò a svolgere la sua attività dando alle stampe ben 336 scritti – come risulta dalla bibliografia curata da una delle allieve più care, Elise Richter – che abbracciarono differenti aspetti della filologia romanza dalle indagini intorno al francese antico agli studi sull’antico catalano, alla lingua italiana.
Lorenzo Renzi (1964-65, p. 369) lo definisce «il primo filologo italiano nel senso moderno del termine, e, con l’Ascoli, anche il nostro primo linguista». Il suo interesse per le lingue romanze era stato certo favorito dall’ambiente familiare, in cui accanto all’ispano-giudaico tradizionalmente parlato dai sefarditi si parlava il veneziano, retaggio della presenza della Serenissima a Spalato fino al 1797, e dagli studi di letteratura italiana, di latino e di greco antico (anche se per quest’ultimo egli stesso confessava anni dopo di essere rimasto «all’abbicci») compiuti nel ginnasio spalatino.
Una volta a Vienna apprese velocemente il tedesco tanto da poter pubblicare tra il 1857 e il 1859 i suoi primi lavori e dare alle stampe, a soli 25 anni, un’eccellente grammatica destinata agli studenti tedeschi, Italienische Sprachlehre in Regeln und Beispielen, für den ersten Unterricht bearbeitet (Wien 1860), che ebbe fino al 1900 ventisei riedizioni curate dall’autore. L’opera, testimonianza dell’ideale didattico rigidamente razionale che ispirava Mussafia, dava particolare rilievo alla sintassi in cui egli «riconosce[va] le peculiarità della lingua non meno che nella fonetica e nella morfologia» (Renzi 1964-65, p. 381).
Già docente, ottenne il dottorato in filosofia ad honorem il 27 giugno 1869. Sulla base dei materiali raccolti da Antonio Morri per il suo Vocabolario romagnolo-italiano (Faenza 1840), pubblicò nel 1871 la sua Darstellung der romagnolischen Mundart, definita da Graziadio Isaia Ascoli «la prima analisi compiuta che di un dialetto italiano la scienza può vantare» (Archivio glottologico italiano, II [1874], p. 400).
A Vienna insegnò per ben 100 semestri e si ritirò dalla sua attività non per l’età, ma per i problemi di salute peggiorati dalla perdita della vista da un occhio. Malgrado ciò, riuscì a porre le basi della cattedra di filologia romanza dell’Università di Vienna che nei decenni a cavallo tra Ottocento e Novecento sarebbe diventata la più prestigiosa in Europa.
Collaborò fin dalla fondazione con la rivista Jahrbuch für romanische und englische Literatur e con la Germanic di Franz Pfeiffer. In quegli anni i suoi contatti in Italia aumentarono e della cerchia di amicizie entrarono a far parte, accanto al collega di studi universitari, il veneziano Emilio Teza, e al ferrarese Giuseppe Valentinelli, allora entrambi bibliotecari, numerosi studiosi e letterati toscani: da Pietro Fanfani, nei confronti del quale faceva da tramite Giambattista Bolza, a Cesare Guasti e Bartolomeo Veratti, allo storico della letteratura italiana Alessandro D’Ancona, con cui avrebbe tenuto un lungo carteggio.
La sua consistente produzione, che a soli trent’anni annoverava più di 80 studi, gli valse l’elezione a membro della presidenza della Società dantesca di Dresda (Deutsche Dante-Gesellschaft) fondata nel 1865 in concomitanza del sesto centenario della nascita di Alighieri. Per l’occasione pubblicò una monografia di studi danteschi, con la quale ottenne la medaglia d’oro per la scienza e l’arte conferita dall’imperatore, e una serie di articoli. Nel 1866 fu nominato socio corrispondente dell’Accademia delle scienze di Vienna (Wiener Akademie der Wissenschaften) nelle cui tre serie (Denkschriften der W.A.W., Sitzungberichte der W.A.W., Almanach der W.A.W.) pubblicò alcune delle sue opere più significative. Nel 1883 fu eletto socio dell’Accademia della Crusca e dal 1897 dell’Accademia dei Lincei. Attilio Maggiolo lo riporta anche tra i soci dell’allora Accademia galileiana di scienze, lettere ed arti, oggi Accademia patavina. Fu inoltre membro dell’Istituto veneto di scienze, lettere e arti di Venezia, dell’Istituto lombardo di scienze, lettere e arti di Milano e dell’Associazione transilvana per la letteratura e la cultura dei rumeni, fondata a Sibiu nel 1861.
Insignito di varie onorificenze sia in Italia sia a Vienna, nel 1900, per il suo ruolo di spicco nella vita culturale dell’Impero austro-ungarico, fu chiamato a far parte della Camera Alta (Herrenhaus).
Nel corso degli anni non venne mai meno il legame con la natia Dalmazia e con la città di Spalato, facendo giungere il suo contributo per i più indigenti e concorrendo al mantenimento della locale scuola italiana. Alla letteratura in lingua italiana in Dalmazia dedicò un saggio nel volume Dalmatien dell’opera Die österreichisch-ungarische Monarchie (Wien 1876).
A chi si ostinava a chiamarlo tedesco rispondeva “tedesco” poi no. Sono dalmata-italiano o italo dalmata, che si voglia dire; non altro». E, ironizzando sui suoi incarichi a Vienna, si definiva un «membro della Commissione in partibus infidelium» (D’Ancona-Mussafia, 1978, p. XIII). Animato da sentimenti italiani, partecipò allo scontro che vedeva opporsi in tutta la Dalmazia e anche nella sua Spalato quanti caldeggiavano l’unione della provincia alla Croazia e l’introduzione della lingua croata nell’istruzione scolastica e nell’amministrazione ai fautori dell’autonomia dalmata e del mantenimento della lingua italiana. Quando nel 1880 Vienna decise l’introduzione del croato come lingua d’insegnamento negli istituti scolastici medi di Spalato, Mussafia accettò di far parte accanto ad altri illustri studiosi dalmati, tra cui Antonio Lubin e Luigi Cesare Pavissich, della deputazione incaricata dall’amministrazione comunale autonomista di difendere la causa della lingua italiana, ma senza successo. In seguito caldeggiò con efficacia in un discorso alla Camera alta l’istituzione di una Università in lingua italiana a Trieste dal momento che con l’annessione del Veneto all’Italia era venuto meno l’Ateneo patavino.
Nel corso della sua lunga attività sostenne numerosi studenti e giovani studiosi, molti dalmati e istriani, fra i quali lo zaratino Edgardo Maddalena, che aiutò a ottenere un posto di lettore presso l’Università di Vienna, e il rovignonese Antonio Ive, che appoggiò nella pubblicazione di due studi e nella candidatura alla cattedra di filologia italiana presso l’Università di Graz. Un’attenzione che fu pienamente ricambiata, come testimonia la raccolta di scritti in suo onore Ad Adolfo Mussafia gli studenti italiani della Dalmazia: MDCCLV-MCMIV (Spalato 1904). Fra i suoi allievi vi fu Hugo von Hofmannsthal, che seguì i suoi corsi di letture dantesche, e le due sorelle viennesi Elise e Helene Richter che gli furono a fianco fino alla morte.
I carteggi con i grandi romanisti francesi Gaston Paris e Paul Meyer, con il linguista e glottologo Graziadio Isaia Ascoli, con Alessandro D’Ancona, i rapporti mantenuti con lo svizzero Adolf Tolber e il tedesco Karl Bartsch permettono di cogliere a tutto tondo le problematiche scientifiche dello studioso, dalle questioni più minute di lavoro e di studio ai grandi temi filologici, linguistici e letterari, il tutto in un clima di entusiasmo e anche di armoniosa collaborazione in un ambito cosmopolita. Un valido esempio fu la sua partecipazione al dibattito sulla grafia della lingua romena, sviluppatosi negli anni Settanta dell’Ottocento, in cui la questione linguistica e quella nazionale in un paese di recente formazione (ma non ancora indipendente) erano strettamente intrecciate.
Mussafia fu uomo dei suoi tempi e anche i suoi studi riflettono la fede «in un progresso ordinato dei diversi paesi e delle diverse classi sociali, di una reciproca pacifica collaborazione» (Renzi 1966-67, p. 77). Un’illusione tragicamente smentita dagli eventi che nulla toglie alla sua capacità di analisi dei piccoli fatti storici, la stessa che poneva nei suoi studi, dietro cui era però sempre sottesa una solida sintesi. Il gran numero dei suoi scritti, frutto di un lavoro di raccolta e di elaborazione di materiali certo favorito dagli anni trascorsi nella Biblioteca nazionale, resta di grande utilità per coloro che si avvicinano al medioevo romanzo.
Invano sperò che gli venisse offerta una cattedra in Italia, il cui clima mite riteneva più adatto alla sua malferma salute. Di questi tentativi si ha notizia attraverso i suoi carteggi: nell’arco di dieci anni dal 1866 al 1876 se ne possono contare quattro. E forse a questa speranza si deve l’aver rinunciato nel 1872 a un’offerta vantaggiosa economicamente e prestigiosa sul piano scientifico, una cattedra presso l’Università di Strasburgo che veniva proprio allora rifondata dopo il recente passaggio della città nel Reichsland di Alsazia-Lorena dell’Impero tedesco. Erano in quel momento in campo due alternative: si parlava di Pisa e di Firenze, ateneo questo che torna più volte nei progetti mussafiani. Alla sua rinuncia non fu comunque estranea la volontà di non prendere parte, lui filologo romanzo, all’umiliazione della Francia.
Nella ricerca di un clima più mite nel 1903 si trasferì a Firenze, dove morì il 7 giugno 1905.
Opere: alcuni dei contributi più significativi di Mussafia sono raccolti nel volume di Scritti di filologia e linguistica, a cura di A. Daniele e L. Renzi, Padova 1983. All’introduzione dei due curatori si rinvia per ulteriori riferimenti bibliografici.
Fonti e Bibl.: E. Richter, Bausteine zur romanischen Philologie. Festgabe für A. M., zum 15. Februar 1905, Halle a.d.S. 1905, pp. IX-XLVII; L. Renzi, Il carteggio M. con Elise e Helene Richter, in Atti dell’Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, CXXII (1963-64), pp. 497-515; Id., A. M. a sessant’anni dalla morte, ibid., CXXIII (1964-65), pp. 369-403; Id., Gli studi di rumeno di A. M., in Omagiu lui Alexandru Rosetti la 70 de ani, Bucureşti 1965, pp. 745-750; Id., Dall’epistolario di A. M. con Gaston Paris e Paul Meyer, in Atti dell’Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, CXXV (1966-67), pp. 75-88; Id., Gli studi danteschi di A. M., in Dante e la cultura tedesca. Convegno di studi danteschi, a cura di L. Lazzarini, Padova 1967, pp. 141-149; A.L. Prosdocimi, Carteggio di Graziadio Isaia Ascoli ad A. M., in Archivio glottologico italiano, LIV (1969), pp. 1-48; A. Maggiolo, I soci dell’Accademia patavina dalla sua fondazione (1599), Padova 1983, ad ind.; D’Ancona-M., a cura di L. Curti, Pisa 1978; Ž. Muljačić, Novi Podaci o splićaninu A. M., prvom redovitom profesoru romanistike u Beču, in Građa i prilozi za povijest Dalmacije, XIII (1997), pp. 301-324; Id., Uno pseudoenigma concernente la biografia di A. M., primo ordinario di filologia romanza all’Università di Vienna, in Estudis Romànics, LVI (2002), pp. 211-215.