COZZA, Adolfo
Nacque ad Orvieto il 4 giugno 1848 dal conte Giovanni, cultore di lettere classiche e poeta, e dalla contessa Maria Martinelli Pontici, abile disegnatrice. Iscritto al collegio della Sapienza di Perugia, si dedicò nella prima giovinezza allo studio degli autori classici e del disegno; trasferitasi la famiglia a Firenze verso il 1862, il C. si dedicò alla scultura frequentando lo studio di G. Duprè. Ardente mazziniano e garibaldino, appena diciottenne, prese parte alla campagna del Trentino del 1866. Nello stesso anno rientrato a Firenze, modellò con gusto classico le sue prime due statue: un Angelo della resurrezione e Camoëns (cfr. Discorsi..., 1911, p. 10, fig. 5), opere sfavorevolmente accolte dalla critica contemporanea. Carattere ribelle ed irrequieto, decise perciò di abbandonare la scultura e tornò ad Orvieto con la giovane moglie Adina Arnaud, dedicandosi a studi di matematica e di meccanica.
Questo nuovo indirizzo di studi lo portò a formulare numerose invenzioni (ne brevettò 35), da un freno idraulico per convogli ferroviari e per eliche motrici di navi, per cui fu pure invitato a Londra, a un goniografo con dispositivo per riportare gli angoli misurati sulla carta, a una bascula per cui fu premiato all'Esposizione di Parigi del 1878, a un ortottero, di cui conseguì il brevetto nel 1904. Nel 1896 ebbe l'approvazione del ministero per i Lavori pubblici a un grandioso progetto di porto per Ostia; ma il C. non lo portò mai a compimento, approfondendolo e modificandolo più volte durante l'intero arco della sua vita. Ancora sua fu l'idea di collegare la città di Orvieto con la sottostante stazione tramite una funicolare (Discorsi..., 1911, pp. 21 s., 33-37, figg. 9-11 e 16-20); questa fu effettivamente costruita nel 1888, per una lunghezza di 560 m, con pendenza del 27% e con tracciato passante in galleria (120 m) sotto la fortezza. Negli stessi anni si dedicava, nella città natale, ad opere di restauro che, a varie riprese, realizzò per il duomo: nel 1884 restaurò il Toro bronzeo (simbolo dell'evangelista Luca) di L. Maitani, sporgente dall'alto di uno dei pilastri della facciata, che nel 1835 era caduto al suolo frantumandosi. Per la ricostruzione utilizzò i resti dell'originale integrando le parti mancanti con lamine di rame sbalzate e cesellate. Al 1886 risale invece il restauro di alcuni capitelli delle absidi laterali all'interno del duomo, mentre nel 1889 modellò il bassorilievo in bronzo con Il miracolo di Bolsena, fuso da A. Nelli per l'architrave della porta laterale nord. Nel 1899 e nel 1909 presentò progetti per le porte della facciata (cfr. G. Cirinei-A. Satolli, Il Duomo delle porte, in Bollettino dell'Ist. stor. artistico orvietano, XXVII-XXVIII 11971-72], ad Indicem).
Ma è nel campo archeologico che la sua attività ha lasciato una impronta più duratura: il 23 nov. 1881, in una lettera indirizzata al ministero della Pubblica Istruzione, Direzione generale Antichità e belle arti (Cozza, 1973, p. 432), si faceva promotore della redazione della Carta archeologica d'Italia;ottenuta l'approvazione del direttore generale F. Barnabei, nel 1882 si iniziarono gli scavi nel territorio compreso tra Orvieto e Bolsena, volendo limitarsi, in un primo momento, a realizzare una Carta archeologica dell'Etruria, quale saggio dell'opera più generale; tra il 1883 e il 1884 gli scavi si estesero ai territori Falisco e Tarquiniese e a parte della Sabina.
Nella compilazione della carta e nelle esplorazioni archeologiche ad essa finalizzate il C. fu affiancato dall'opera degli archeologi A. Pasqui e R. Mengarelli; ai lavori sopraintendeva G. F. Gamurrini. L'opera però si arrestò nel 1897 e non venne più portata a compimento, anche perché l'interesse degli archeologi venne polarizzato dai reperti della necropoli falisca e dei templi di Apollo e di Giunone Curite, rinvenuti dal C. tra il 1886 e il 1888 presso Civita Castellana. Da quel momento tutti gli sforzi si concentrarono nella realizzazione del Museo di Villa Giulia a Roma che venne nel 1889 ideato ed organizzato da F. Barnabei (che ne assunse anche la direzione), proprio allo scopo di raccogliere le antichità preromane delle civiltà etrusca e falisca. Sempre a Villa Giulia, nel cortile del museo, il C., che nel frattempo si era trasferito con la famiglia a Roma, realizzò a grandezza naturale la ricostruzione, tuttora esistente, del tempietto di Alatri.
A Roma il C. riprese la sua originaria attività di scultore; divenuto amico di G. Sacconi, collaborò con lui nella progettazione del monumento a Vittorio Emanuele II, assumendo la direzione artistica dei lavori nel 1905 circa, per un breve periodo in cui sostituì l'amico ammalato. Delle sculture modellate dal C. per il monumento ricordiamo: due Vittorie di gusto ellenizzante sul lato orientale, motivi decorativi con testa di gorgone e festoni, più volte ripetuti sui lati, il trofeo sottostante le finestre frontali con uno scudo decorato al centro con una testa di leone, i capitelli dei pilastri con teste muliebri, l'ornato con due Aquile reggenti un festone nella gradinata del terzo ordine (cfr. Discorsi ..., 1911, figg. 26-28, 43-46).
Sue ultime opere furono le quattro statue colossali poste, dopo la sua morte, sui timpani del portico del Foro delle regioni, all'Esposizione romana del cinquantenario della proclamazione del Regno d'Italia (Roma. Rassegna ill. d. Esposiz. del 1911, II[1911], 4, pp. 4, 10) e la decorazione di villa Lubin (in villa Borghese) destinata all'Istituto internazionale di agricoltura (attuale sede del C.N.E.L.).
Il C. modellò a bassorilievo il fregio marmoreo sopra gli archi del portale di ingresso, con l'allegoria del Trionfo dell'agricoltura, e dipinse anche due grandi tele murali nella sala delle riunioni (attualmente riposte nelle cantine del palazzo; cfr. Discorsi..., 1911, figg. 30, 33, 35, 47, 52). Era la prima volta che si cimentava in un'opera pittorica; nel primo quadro raffigurò simbolicamente la Storia dell'agricoltura antica fino alladecadenza della civiltà greca e romana;il secondo, che doveva rappresentare Il rifiorire arabo e medioevale dell'agricoltura dal suo sorgere ai nuovi sviluppi, rimase incompiuto.
Proprio mentre stava dipingendo la figura di Leonardo da Vinci fu colto da malore e cadde dall'impalcatura morendo: era il 16 ag. 1910.
Fonti e Bibl.: L. Fumi, Il duomo di Orvieto, Roma 1891, pp. 9, 96, 309, 440, 442 ill., Discorsi e cenni comm. in onore di A. C., Orvieto 1911; G. Natali, Il Leonardo del sec. XIX, in Il Piccolo (Roma), 6-7 maggio 1914; M. Venturoli, La patria di marmo 1870-1911, Pisa 1957, pp. 194 ss.; L. Cozza, Storia della Carta archeol. d'Italia (1881-1897), in Forma Italiae, s. 2, Doc. 1, Firenze 1973, pp. 429-59 passim;U.Thieme-F. Becker. Künstlerlexikon, VIII, pp. 35 s.