ADITO (ἄδυτον, adãtum)
È, propriamente, il luogo dove non si può entrare, che è spesso detto anche ἄβατον; e significa, comunemente, la parte più riposta di un santuario, nella quale non possano entrare che i soli sacerdoti (Serv., Ad Aen., II, 115). Ma ἄδυτα, cioè inaccessibili, erano spesso interi recinti o parti di un tempio, o boschi o antri sacri, sia che fossero riservati alle persone addette al culto, sia che fossero interdetti a chi non avesse, preventivamente, compiuto il rito della purificazione. Gli aditi, nei quali stavan riposti gli oggetti più santi del culto secreto, o le sacre reliquie, erano spesso sotterranei e sottratti alla vista dei fedeli, specialmente se dentro di essi si compivano riti e misteri religiosi, ai quali potevano esser ammessi solo gl'iniziati. Alcuni aditi avevan la forma di cripte, contenenti le tombe degli eroi, con i quali era collegata la istituzione del culto o la fondazione del santuario. Fra tutti il più famoso è, nella tradizione degli antichi scrittori, l'adito sotto la cella del tempio di Apollo a Delfi, dentro il quale la sacerdotessa (Pythia) rendeva gli oracoli, dal sacro tripode. L'adito vero e proprio era ivi preceduto da uno spazio, nel quale i fedeli potevano entrare, per aspettare il responso del Dio, ad essi dettato dal sacerdote. L'esplorazione profonda della cella, durante gli scavi della missione archeologica francese, non ci ha fatto conoscere la disposizione di codesti locali sotterranei dei quali parlano gli scrittori antichi. Tutto era stato distrutto, forse intenzionalmente, nei primi tempi del Cristianesimo.
Nel santuario di Esculapio ad Epidauro ἄδυτον o ἄβατον era il nome del luogo consacrato, nel quale giacevano gli ammalati, aspettando la guarigione miracolosa.
"Αδυτον poteva anche significare la parte retrostante alla cella (ναός), nella quale era esposta la statua del culto. Di questi aditi dietro la cella pochi esempî sono ricordati, principalmente da Pausania; altri ne lasciano riconoscere le rovine, negli ultimi tempi esplorate, dei santuarî di Eleusi, di Oropos (tempio di Anfiarao), di Samotracia (tempio dei Cabirî). Ma principalmente nei templi di Selinunte è osservabile, in modo chiaro, l'adito dietro la cella bipartita. Questa disposizione è regola quasi costante in tali templi, la cui pianta ha forme singolari, tradizionalmente conservate per antico rito.
Bibl.: Sull'ἄδυτον in generale, v. C. F. Schömann, Griechische Altertümer, 4ª ed., II, Berlino 1902; e, principalmente, K. Bötticher, Die Tektonik der Hellenen, II, Berlino 1881, p. 581 segg. Per le importantissime notizie degli antichi sull'adito del tempio di Apollo a Delfi è sempre indispensabile P. Foucart, Ruines et histoires de Delphes, Parigi 1865, p. 73 segg., dove sono discusse tutte le fonti; per gli scavi, v. E. Bourguet, Les ruines de Delphes, Parigi 1914, p. 248 segg. Per gli aditi nei templi di Selinunte, v. R. Koldewey e O. Puchstein, Die griech. Tempel in Unteritalien u. Sicilien, Berlino 1899, p. 79.
Nel tempio di Gerusalemme esisteva un luogo sacrosanto ove penetrava solo il Gran Sacerdote nel giorno della espiazione. Si chiamava questo luogo il dĕbīr ("ambiente posteriore"), o più comunemente hòdesh ha-qudashim ("santissimo", letteralmente "santo dei santi" , donde Sancta Sanctorum), ed era separato a mezzo di veli tesi da un altro ambiente meno sacro detto hêkal. Sembra che nel dĕbīr vi fosse la pietra di posizione (èbèn sěṭiyâh) su cui poté un tempo essere collocata l'arca dell'alleanza. Il carattere misterioso di questo luogo ha dato origine, presso scrittori pagani, a varie dicerie (p. esempio che vi fosse venerato il dio a testa asinina). (v. tempio).
Poiché il cristianesimo presume la partecipazione di tutti i fedeli all'agape, non vi è luogo a parlare, almeno in una prima fase, di ambienti riservati a pochi. Solamente più tardi, dovendosi dividere le più grandi masse di popolo dal luogo ove si celebra il sacrificio divino, poté stabilirsi un luogo separato. Ma la parola ἄδυτον è di uso estremamente raro nei testi cristiani. Essa è riferita genericamente all'area del presbiterio (Kaufmann, Handbuch d. christl. Archäol., 3ª ed., Paderborn 1922, p. 167). Un caso di vero e proprio penetrale potrebbe qualcuno riconoscere nella cappella del Sancta Sanctorum al Laterano in Roma. In verità essa rappresenta la cappella privata pontificia e quindi originariamente ha un carattere alquanto diverso. Il fatto dell'esservi custodita la famosa immagine acheropita (v.) del Salvatore e del contenere un gran numero d'insigni reliquie, rese col tempo sempre più misteriosa questa cappella cui, forse nel più hasso Medioevo, s'interdisse l'accesso tranne che in un sol giorno dell'anno e riservatamente agli uomini. Una scritta dell'aula avverte: Non est in toto sanctior orbe locus. La costruzione attuale, sostituita ad altra più antica, è un gioiello di architettura e di decorazione gotica da attribuirsi al pontificato di Nicolò III (1277-1280).
Bibl.: Stengel, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl. der class. Altertumswiss., I, col. 441; E. Saglio, in Daremberg e Saglio, Dictionnaire des antiquités, I, pp. 91-92; H. Lesêtre, in Vigouroux, Dictionnaire de la Bible, V, 2, p. 2066; Benzinger in Cheyne, Encyclopaedia Biblica, col. 4931; H. Grisar, Die Römische Kapelle Sancta Sanctorum und ihr Schatz, Friburgo 1908; Kaufmann, Handbuch der christl. Archäologie, 3ª ed., Paderborn 1922, p. 167; C. Cecchelli, Il Tesoro del Laterano, in Dedalo, VII (agosto 1926-gennaio 1927).