ADDIS ABEBA (in amarico addís abäba, ossia "nuovo fiore"; A. T., 116-117)
È la capitale attuale del regno d'Etiopia, nello Scioa, a 9° 1′ 42″ lat. N. e a 38° 47′ 13″ long. E. (legazione inglese); si estende su un altipiano, a circa 2650 m., aperto a sud e sud-est, verso la valle dell'Ḥawash, riparato a nord e a est dai monti di Entotto e di Ekka. La vasta area occupata dalla città consta di una serie di piccole alture divise da vallecole, nelle quali all'epoca delle piogge scorrono torrenti rovinosi (Gamela, Gabana). La località non era abitata ed era nota solo per una sorgente calda, allorché nel 1899 Menelik, cedendo alle preghiere della regina Taitù, abbandonò la residenza di Entotto, poco più a nord, appollaiato sull'aspro culmine di un monte, e trasferì qui la capitale, in situazione ben riparata dai venti freddi del nord e con clima saluberrimo. La città si è da allora sviluppata assai rapidamente; fu estirpata la boscaglia, furono aperte strade là dove non erano che sentieri appena segnati, furono costruiti edifici pubblici e privati, furono fatte estese piantagioni di eucalipti. Naturalmente nessun piano regolatore disciplinò lo sviluppo della città, che pertanto ha fisonomia completamente diversa da quella delle città europee. Ai piedi delle alture che dominano la valle del Cabana si allineano, una presso l'altra, le legazioni europee, in graziosi edifici circondati da giardini; più a NO., su un'altura isolata, tra il Gabana e il Gamela, a poca distanza dalle sorgenti calde, che prime attrassero l'attenzione di Menelik, è il ghebì o residenza del re, che comprende, oltre il palazzo principale, molti edifici adiacenti adibiti ai servizî di corte e un gran numero di piccole costruzioni che formano nell'insieme un vero e proprio quartiere ricinto da un muro. Nel ripiano che fronteggia le legazioni estere, si trovano l'ospedale ed uno spiazzo per riviste e parate. La città vera e propria è a NO. del ghebì, disposta intorno alla grande piazza del mercato; quivi si trovano alcuni cospicui edifici pubblici, come la banca, i palazzi dei rās e di altri personaggi influenti, le abitazioni dei commercianti stranieri, le ville dei mercanti indiani e un paio di alberghi. Quivi è anche la chiesa di S. Giorgio costruita da un Italiano. Tutto intorno, su una vastissima estensiove, si stendono, in un confuso ammasso, le abitazioni indigene, capanne di paglia coniche o primitive casette di pietra, qua e là anche tende che ospitano il seguito di qualche personaggio cospicuo di passaggio alla capitale. La stazione della ferrovia è un po' fuori di città, a sud delle sorgenti calde. Dopo l'apertura di quest'ultima (1915) anche la viabilità in città è migliorata: si sono costruite buone strade rotabili e ponti.
Molto caratteristico è il mercato del sabato, che raduna sulla grande piazza molte migliaia di venditori e di clienti convenuti anche da lontano, e nel quale si fanno scambî ed affari di grande portata.
La popolazione della città è assai fluttuante, anche in dipendenza degli arrivi e delle partenze dei grandi capi coi loro armati: si calcola a 40-50 mila indigeni, oltre a 15-20 mila soldati; gli Europei (esclusi i Levantini e gli Armeni) sono forse 200.
Pace di Addis Abeba. - Dopo la battaglia di Adua del 1° marzo 1896 e la liberazione del presidio di Adigrat, avvenuta il 4 maggio successivo, rimaneva da concludere la pace col negus Menelik e provvedere alla liberazione dei 1752 prigionieri italiani condotti nello Scioa.
Per questo scopo, fino dal 7 marzo il maggiore Salsa era stato mandato al campo del negus. La base sulla quale il negus intendeva trattare era l'abolizione del trattato di Uccialli (2 maggio 1889); il confine sarebbe rimasto intanto quello del Mareb-Belesa-Muna, precedente alla guerra; la restituzione dei prigionieri differita fino alla conclusione del trattato di pace. Il governo italiano (ministro Di Rudinì) conveniva nell'abrogare il trattato di Uccialli, purché il negus si fosse impegnato a non accettare il protettorato di qualsiasi altra potenza. Il 13 aprile il negus ruppe le trattative.
Il 6 ottobre 1896 ad Addis Abeba, dal maggiore Nerazzini, plenipotenziario, vennero riprese le trattative col negus: il quale, il 26 ottobre, annunziò al re Umberto la conclusione della pace.
Col nuovo trattato, quello di Uccialli venne annullato; l'Italia ríconobbe l'indipendenza assoluta e senza riserve dell'impero etiopico. Contemporaneamente venne determinato che nello spazio di un anno sarebbero state stabilite le frontiere definitive tra l'Etiopia e l'Eritrea rimanendo per intanto la linea Mareb-Belesa-Muna; veniva aperta la via ad accordi commerciali.
Lo stesso giorno, sempre fra il maggiore Nerazzini ed il negus Menelik veniva firmata la convenzione per la liberazione dei prigionieri; questi dovevano venire concentrati ad Harrar per essere consegnati al plenipotenziario italiano, non appena il trattato di pace fosse stato ratificato. Venne stabilito inoltre che il governo italiano dovesse rimborsare al negus le spese da lui incontrate pel mantenimento dei prigionieri.
Tanto il trattato quanto la convenzione furono ratificati dal re Umberto il 6 gennaio 1897 e comunicati al Parlamento dal ministro Visconti-Venosta, il 24 maggio successivo.
Nel 1897 continuarono le trattative per i confini, opponendosi il negus, specialmente per le insistenze dei grandi rās, alla linea Mareb-Relesa-Muna in modo definitivo. Il 24 giugno di quell'anno venne concluso ad Addis Abeba dal maggiore Nerazzini un trattato di commercio, ed il negus Menelik fece una proposta di confine a nord della linea del Mareb-Belesa-Muna. Il governo italiano volle continuare le trattative, e finalmente il 10 luglio 1900 una convenzione sottoscritta dal capitano Ciccodicola, allora rappresentante di S. M. il re d'Italia ad Addis Abeba, riconosceva come confine definitivo fra l'Eritrea e l'Etiopia la linea Tomat-Todluk-Mareb-Belesa-Muna.
Bibl.: Atti parlamentari (libri verdi): "Avvenimenti d'Africa", 3ª parte, presentata il 27 aprile 1896; "Trattato di pace fra l'Italia e l'Etiopia e convenzione per la restituizone dei prigionieri di guerra", presentato il 24 maggio 1897; F. Martini, Relazione sulla Colonia Eritrea (anni 1900-1901).