SCULTORI, Adamo
– Figlio di Giovan Battista da Verona e di Osanna da Acquanegra, la sua nascita è tradizionalmente collocata a Mantova intorno al 1530, ma il dato non è supportato da documenti archivistici (L’opera incisa di Adamo e Diana Scultori, 1991, p. 28).
Come la sorella Diana (di cui v. la voce in questo Dizionario), ricevette i primi rudimenti nell’arte incisoria nella bottega del padre, il quale lavorò a fianco di Giulio Romano a Mantova e si distinse come incisore, scultore e stuccatore. L’apprendistato di Adamo cominciò da bambino; la sua prima opera nota, la Vergine che allatta il Bambino, priva di data e derivata da un bulino di Giovan Battista, indica con orgoglio la giovane età dell’autore, undici anni, accanto alla firma «ADAM SCULPTOR». Il primo documento che lo attesta attivo come incisore è una lettera datata 31 dicembre 1547, con la quale il padre inviò al cardinale Antoine Perrenot de Granvelle, insieme ad alcuni disegni, un bulino del figlio, nel tentativo di promuoverne la carriera e procurargli il favore di un potente protettore (Lettere…, 1977, pp. 47 s.; Lincoln, 2000, pp. 119 s.). Data e contenuto della lettera sembrano supportare la possibilità che la nascita di Adamo sia effettivamente da collocarsi in anni non troppo distanti dal 1530.
Un breve riferimento alle sue doti di incisore, capace di intagliare in rame «divinamente», compare nella seconda edizione delle Vite di Giorgio Vasari, dove è tuttavia citato genericamente come uno dei due figli di Giovan Battista, l’altro essendo in realtà l’allievo più dotato di quest’ultimo, ovvero Giorgio Ghisi (1550-1568, 1984, V, p. 424). L’errata notizia della parentela tra Giovan Battista e Giorgio Ghisi ha indotto in passato a estendere il cognome Ghisi anche ad Adamo; più occasionale appare l’uso del cognome Speroni (D’Arco, 1840, p. 36). Benché ricerche archivistiche abbiano rivelato che Giovan Battista si chiamava De’ Spinchieris (Rebecchini, 2002, p. 73), la critica propende ad adottare per Adamo il cognome Scultori, derivato dalla professione del padre. Tuttavia, egli non utilizzò mai tale cognome per firmare le proprie opere, e la forma onomastica «Adam de Scultoribus» compare per la prima volta in documenti datati 1582 (Masetti Zannini, 1980, p. 187; Pagani, 1992, p. 74).
Incerta è la data del suo trasferimento a Roma. La presenza nel secondo stato della Vergine con Cristo morto, derivata dal gruppo marmoreo della Pietà vaticana di Michelangelo, dell’indicazione che l’opera fu stampata nella città papale nel 1566 ha indotto alcuni studiosi a considerare questo come termine ante quem per il suo arrivo a Roma (L’opera incisa di Adamo e Diana Scultori, 1991, pp. 29, 114 s.). Altri posticipano l’evento ai primi anni Settanta del Cinquecento (Witcombe, 2008, p. 263) e considerano il frontespizio del Rosario della Sacratissima Vergine Maria di Luigi Granata, che reca in basso al centro, dentro un cartiglio, la firma di Adamo e l’indicazione che l’esecuzione dell’incisione avvenne a Roma nel 1573, la sua prima opera romana (Tosetti Grandi, 2002a, pp. 60, 64, con l’errata indicazione di Adamo come stampatore). Questa seconda ipotesi sembra essere supportata dal fatto che il suo nome cominciò ad apparire in documenti redatti a Roma solo dopo il 1573. Il 10 febbraio 1574 Adamo sposò Aurelia Intelli (o Antelli) nella chiesa romana di S. Stefano del Cacco, nel rione Pigna (Pagani, 2015, pp. 551 s.). Dall’unione nacquero cinque figli: Marco (1574); Giulia (1576); Cesare (1582); Giulio Cesare (1583); e Felice (1587 circa).
A Roma, Adamo integrò l’attività di incisore con quella di mercante di stampe e stampatore, per la quale sembra essersi servito inizialmente della collaborazione dello stampatore Giacomo Gherardi (Witcombe, 2008, pp. 263, 282 s.). Nei primi mesi del 1576 entrò brevemente in società con il francese Antoine Lafréry, che aveva in passato stampato almeno due dei suoi bulini (L’opera incisa di Adamo e Diana Scultori, 1991, pp. 114-117); con lui condivise una bottega in cui si trovavano lastre incise, stampe e «anticaglie» (Masetti Zannini, 1980, pp. 212-214). L’impresa si sciolse già nell’aprile 1576 e, al termine di una burrascosa contrattazione, Adamo rilevò la quota di società di Lafréry per 800 scudi. L’anno successivo, il suo nome emerse tra i possibili istigatori di furti e atti di sabotaggio ai danni della nuova bottega aperta da Lafréry (Witcombe, 2008, p. 295). La sua attività di stampatore proseguì almeno sino al 1584 (Pagani, 1992, p. 75). Nel frattempo, nel 1578 Adamo venne accolto nella Congregazione dei Virtuosi al Pantheon (ibid., pp. 84-85, doc. 7). L’8 febbraio 1582 testimoniò al processo intentato contro un certo Agostino, accusato di furto, e confermò che il libro rubato apparteneva allo stampatore Mario Labacco (Bertolotti, 1881). Quest’ultimo dovette appartenere alla sua cerchia di frequentazioni romane, malgrado i loro rapporti non sembrino essere sempre stati cordiali. Come emerge dagli atti di un processo, nell’estate del 1577, Labacco e Michelangelo Marrelli avevano raffigurato Adamo appeso a testa in giù sulle pareti di una taverna a Tivoli (Witcombe, 2008, p. 300).
Adamo morì a Roma il 21 o il 22 maggio 1587 (Pagani, 2015, p. 552).
La moglie Aurelia si risposò il 28 febbraio 1593 con il lorenese Cristoforo Blanco, anche lui incisore, stampatore e mercante di stampe (Pagani, 2015, p. 553). La mancanza di sufficienti mezzi economici impedì ai due figli sopravvissuti di Adamo (Felice e Cesare o Giulio Cesare: i documenti non sono chiari a questo proposito) di versare in questa occasione alla madre la dote pattuita di 300 scudi. Come risulta dal contenuto di un contratto datato 23 dicembre 1613, la dote fu pagata solo vent’anni dopo sotto forma di rami incisi provenienti dall’eredità di Adamo. È in realtà probabile che Blanco fosse già entrato in possesso di questi rami nel 1593 e che il contratto rappresentasse solo un atto formale, allo scopo di tutelare il diritto dotale di Aurelia (pp. 555 s.).
Il più completo catalogo delle incisioni di Adamo è stato ricostruito da Paolo Bellini (L’opera incisa di Adamo e Diana Scultori, 1991; da integrare con le osservazioni in Pagani, 1992, pp. 76-82), il quale gli attribuisce 109 bulini certi, ordinati cronologicamente, 62 dubbi, e 7 opere stampate come editore. Bellini propone di distingue la produzione di Adamo in tre fasi sulla base delle firme presenti nelle sue opere (L’opera incisa di Adamo e Diana Scultori, 1991, pp. 32 s.). Accettando che la sua data di nascita sia da porre intorno al 1530, egli colloca la prima fase mantovana, caratterizzata dalla firma «ADAM» per esteso, tra il 1542 al 1547. Insieme alla Vergine che allatta il Bambino, appartiene a questo periodo un’altra opera di traduzione, le Due donne moresche, ispirata a un’invenzione di Enea Vico (Pagani, 1992, p. 78). La seconda fase mantovana, durante la quale Adamo adottò il monogramma composto dalle lettere «A» (con le aste laterali parallele) e «S» sovrapposte, si collocherebbe tra il 1547 e il 1562. Risalgono a questa fase bulini ispirati a disegni e invenzioni di Giulio Romano, come Ercole e una donna (Iole?) seduti (L’opera incisa di Adamo e Diana Scultori, 1991, pp. 44 s.; Pagani, 1992, pp. 76 s.) e i Due amorini su un carro (L’opera incisa di Adamo e Diana Scultori, 1991, pp. 48-50; Pagani, 1992, p. 77). Infine, la terza fase, contraddistinta dal monogramma di «A» (con aste laterali convergenti) e «S» sovrapposte, si sarebbe estesa dal 1563 sino alla sua morte. Appartengono a questo gruppo bulini di soggetto mitologico, riproduzioni di statue antiche, e la serie di Studi di figure da Michelangelo, tratta dagli affreschi della Cappella Sistina (L’opera incisa di Adamo e Diana Scultori, 1991, pp. 64-103; Pagani, 1992, p. 77).
Fonti e Bibl.: C. d’Arco, Di cinque valenti incisori mantovani del secolo XVI e delle stampe da loro operate, Mantova 1840, pp. 36-39; A. Bertolotti, Artisti lombardi a Roma nei secoli XV, XVI, XVII, I, Milano 1881, pp. 212 s.; G. Albricci, Le incisioni di A. S., in I quaderni del conoscitore di stampe, 1974, n. 22, pp. 36-45; Lettere di artisti italiani ad Antonio Perrenot di Granvelle: Tiziano, Giovan Battista Mantovano, Primaticcio, Giovanni Paolo Poggini, ed altri, a cura di C. Greppi, Madrid 1977, pp. 47 s.; G.L. Masetti Zannini, Stampatori e librai a Roma nella seconda metà del Cinquecento, Roma 1980, pp. 187, 212-214, 262-270; S. Massari, Incisori mantovani del ’500. Giovan Battista, Adamo, Diana Scultori e Giorgio Ghisi dalle collezioni del Gabinetto nazionale delle stampe e della Calcografia nazionale (catal.), Roma 1980, pp. 9-11, 27-77; L’opera incisa di Adamo e Diana Scultori, Vicenza 1991, a cura di P. Bellini, pp. 28-29, 40-161; V. Pagani, A. S. and Diana Mantovana, in Print Quarterly, 1992, vol. 9, pp. 72-87; E. Lincoln, The invention of the Italian renaissance printmaker, New Haven 2000, pp. 118-120; G. Rebecchini, Sculture e scultori nella Mantova di Giulio Romano. 1. Bernardino Germani e il sepolcro di Pietro Strozzi (con il cognome di Giovan Battista Scultori), in Prospettiva, 2002, n. 108, pp. 65-79 (in partic. p. 73); P. Tosetti Grandi, All’origine dell’impresa degli accademici Eterei: un’ipotesi per Giulio Romano, in Quaderni di Palazzo Te, 2002a, n. 10, pp. 59-65; Ead., Antichità romane e riflessioni neoplatoniche nelle stampe di A. S., in Grafica d’arte, XIII (2002b), 52, pp. 3-12; Andrea Mantegna e cinque valenti incisori mantovani nella Fondazione d’Arco (catal., Quistello), a cura di G. Arcari, Mantova 2003, pp. 70-83; C.L.C.E. Witcombe, Print publishing in sixteenth-century Rome. Growth and expansion, rivarly and murder, Londra 2008, passim; V. Pagani, L'inventario dei rami dell'incisore lorenese Cristoforo Blanco, 1620, in Annali della pontificia insigne Accademia di belle arti e lettere dei Virtuosi al Pantheon, XV (2015), pp. 551-566.