ASMUNDO, Adamo
Appartenente a una famiglia borghese di origine maltese trasferitasi in Sicilia al tempo del Vespro, nacque a Caltagirone da Federico verso la fine del sec. XIV.
Studiò a Padova, dove il 19 febbr. 1410 fu creato dottore in diritto civile dallo Zabarella. Rientrato in Sicilia, vi acquistò assai presto fama di valente giurista e il 10 nov. 1416 fu nominato avvocato fiscale dei Real Patrimonio con un salario di 80 oncie annuali (nel documento di nomina viene qualificato come uno "de principalibus doctoribus huius Regni").
Funzionario colto e capace, l'A. restò per tutta la vita nell'amministrazione siciliana, mantenendovi sempre una posizione di altissimo rilievo: per tre volte giudice e poi nel 1430 luogotenente della Gran Corte, nel 1434 diventò maestro razionale del Tribunale del Real Patrimonio.
Il re Alfonso, del quale egli fu stretto e fidato couaboratore, gli affidava spesso incarichi di natura particolarmente delicata: così, nel 1432 l'A. partecipò all'inchiesta sull'amministrazione dei precedenti viceré condotta da Bartolomeo Scayo e nel 1437 rivide i conti dell'amministrazione del Regno (una revisione dei conti del maestro portolano Raimondo Campredon avvenuta in data imprecisata è segnalata in un documento del 17 febbr. 1451).
Il 26 luglio 1432 fu chiamato a far parte di un regio consiglio straordinario incaricato del governo dell'isola in assenza di Alfonso, impegnato nella spedizione delle Gerbe, e il 29 novembre dello stesso anno fu nominato presidente del Regno insieme con Pietro Felice. L'A. restò nell'alta carica fino a tutto il 1434, spostandosi continuamente per le varie città dell'isola. In questo periodo si adoperò attivamente, insieme a Battista Platamone, per l'istituzione dello Studio di Catania, guadagnandosi la riconoscenza dei Catanesi, che nel 1444 gli concessero la cittadinanza.
Secondo varie testimonianze, l'A. sarebbe ritornato alla presidenza del Regno ancora nel 1439 e nel 1449, ma tali notizie sono, allo stato attuale delle ricerche, piuttosto incerte. Sicura è invece la sua missione a Messina come "vicerré particulari" negli anni immediatamente, precedenti il 1440. Inviatovi dal viceré Ruggero Paruta, col compito di riportare l'ordine nella città dilaniata da gravi contrasti di fazioni, l'A., che già nel 1433 come presidente del Regno non si era mostrato molto tenero verso i privilegi messinesi, vi condusse, a quanto pare, una politica di dura repressione: senza tener conto dei secolari privilegi della città, egli cercò di limitare lo strapotere dell'oligarchia senatoria, appoggiandosi sui ceti popolari e collocando nei posti chiave dell'amministrazione cittadina uomini di sua fiducia. Tale politica, tendente forse anche a stabilire una sorta di l'arvata signoria personale sulla città (i Messinesi accennano una volta alla "comitiva sua" e un'altra volta ai "suoi figli... sospetti et oddiusi alla cittati"), non mancò di suscitare fortissime resistenze che arresti, processi e condanne non valsero a superare. Alla fine infatti l'A. fu costretto ad abbandonare la città, che ottenne da Alfonso nel 1440 la sua destituzione e la cassazione di tutti gli atti emanati durante il suo periodo di governo.
Tipico esponente di quella "nobiltà civica" che veniva emergendo nel corso del sec. XV, l'A. consolidò le fortune della sua famiglia, oltre che con gli uffici, con l'esercizio di attività commerciali e agricole (nel 1435 risulta socio in affari con un mercante catanese, certo Pietro Gallo) e con l'acquisto di feudi. Dal cognato. Guglielmo Rosso acquistò i feudi di Callura e Lamia, dei quali s'investì nel 1441, e da Giovanna de Taranto il feudo di Salomone, del quale s'investì il 7 luglio 1444.
Dovette morire poco prìma del 1459, dato che il 18 giugno di quest'anno la vedova, Adriana Filingeri, s'investì, come tutrice del figlio Nicolò Antonio, dei feudi.
Dell'attività di giurista svolta dall'A. resta traccia solo in citazioni di giuristi dei secc. XV e XVI (Guglielmo De Perno e Pietro Cumia), dalle quali si apprende che scrisse dei Consilia sull'interpretazione degli statuti messinesi e un commentario di diritto feudale.
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