acrostico
. Soltanto piuttosto recentemente sono stati indicati alcuni a. nell'opera dantesca: nessuno era stato notato dai commentatori antichi.
Sarà opportuno dir subito che alcune di tali indicazioni sono certamente da respingere, come quella che vuol vedere nelle iniziali delle prime quattro terzine del poema NATI.
Il Medin in Pg XII 25-63 lesse l'a. VOM, e molti dei commentatori moderni hanno accolto la proposta. In tali versi v'è la descrizione degli esempi di superbia punita, che sono in tutto tredici, a ognuno dei quali è dedicata una terzina: le prime quattro terzine cominciano con Vedea e contengono esempi di violenza contro la divinità; il secondo gruppo è di quattro terzine inizianti con la particella vocativa O, con esempi di violenti che furono la rovina di sé stessi; il terzo gruppo è di quattro terzine che si aprono con Mostrava, con esempi di violenti contro il prossimo; i tre gruppi sono chiusi da una tredicesima terzina riassuntiva, in cui i tre versi cominciano rispettivamente con le parole Vedea, 0, Mostrava. La disposizione delle iniziali delle terzine viene così ribadita e la probabilità dell'a. si rafforza. L'a. VOM è l'uomo, creatura miserabile e superba insieme (superfluo è ricordare che nella grafia del tempo di D. non c'era distinzione fra u e v).
Il Flamini lesse l'a. LUE in Pd XIX 115-141, e alcuni commentatori moderni hanno accolto la proposta. In tali versi si elencano le opere spregevoli dei reggitori d'Europa, registrate nel libro della giustizia: le prime tre terzine cominciano con Lì, poi altre tre con Vedrassi, e finalmente tre con E, componendo appunto LVE, " a indicare che i cattivi principi sono la peste della cristianità " (Sapegno).
Inoltre J.P. Th. Deroy (Un acrostico nella preghiera di san Bernardo, in Miscellanea dantesca, edita dalla Società Dantesca nei Paesi Bassi, Utrecht-Antwerpen 1965, 103-113) ha visto il nome Iosep nelle iniziali di Pd XXXIII 19-31, dove l'a. " ci apre gli occhi per vedere... delle allusioni al sangue reale di Giuseppe, alla sua funzione di guardia, alla sua esitazione, al suo dubbio, cioè ai suoi movimenti umani nell'avvicinamento del ministero ".
Non mancano gli scettici anche verso gli a. più probabili (VOM e LVE): " A me pare, in verità, che trovar due soli acrostici in tutto il poema, ed in luoghi che non hanno tal significato o importanza che possa farli considerare a parte, conduca a riconoscere che di questo artificio Dante era schivo, e se alcuna volta può sembrar che v'incorra, è un semplice effetto del caso " (P. Savi-Lopez, in " Bull. " X [1902-3] 328).
Bibl. - A. Medin, Due chiose dantesche, in " Atti e Mem. Accad. Padova" XIV (1898) 98 ss.; F. Flamini, Appunti d'esegesi dantesca, in Miscellanea di studi critici... Arturo Graf, Bergamo 1903, 645-654; E. Morpurgo, Matelda, in " Neophilologus " XXXIV (1950) 80-81; W. Arensberg, The cryptography of D., New York 1921.