ACROMATISMO (dal gr. ἀ privativo e χρῶμα "colore")
Un'immagine ottica, per essere il più possibile simile all'oggetto, tra gli altri requisiti dovrebbe avere quello dell'acromatismo, ossia dovrebbe avere dimensioni indipendenti dalla lunghezza d'onda λ della luce, cioè dal suo colore; soltanto allora infatti l'immagine di un oggetto bianco è una figura bianca a orli non iridati. Ciò in pratica non si verifica rigorosamente mai; salvo un caso da poco studiato, quello delle immagini fornite da un reticolo circolare a frequenza costante (reticolo del Ronchi).
Gli specchi sferici dànno immagini che vengono considerate acromatiche, ma che non sono tali nel senso rigoroso della parola; perché ad una sorgente luminosa puntiforme corrisponde come immagine una figura di diffrazione composta di un dischetto centrale (in assenza di aberrazioni) contornato da anelli; e le dimensioni dell'uno e degli altri sono proporzionali a λ. In conseguenza, la figura di diffrazione rossa è doppia di quella violetta perché la lunghezza d'onda dei raggi dell'estremo rosso è quasi doppia (700 mμ) di quella dell'estremo violetto, sicché il dischetto centrale, che è la parte più importante della figura, presenta gli orli rossastri, quando la sorgente emette luce bianca. Per la stessa ragione l'immagine di un oggetto bianco esteso viene ad avere l'orlo leggerissimamente colorato in rosso; ma questa colorazione è così piccola che non se ne tiene conto in pratica, ed i sistemi catottrici vengono considerati acromatici.
Il caso è ben diverso per le lenti semplici o combinate (v. aberrazione dei sistemi ottici). L'aberrazione cromatica, per le prime, fa sì che l'immagine di una stella bianca sia un dischetto coll'orlo ora rosso ora violetto, e col centro ora violetto ora rosso, a seconda della posizione rispetto alla lente del piano, normale all'asse, su cui si fa l'osservazione. La curva di colore, che rappresenta la distribuzione dei fuochi lungo l'asse in funzione della lunghezza d'onda, è una linea ad andamento sempre crescente o decrescente (v. fig. 2 della voce aberrazione dei sistemi ottici). La distanza fra i fuochi corrispondenti alle due radiazioni fondamentali C (λ = 656 mμ) e F (λ = 486 mμ), molto prossimamente uguale alla differenza fra le distanze focali fC e fF della lente per queste radiazioni, divisa per fD, distanza focale relativa alla luce gialla del sodio (λ = 589 mμ) dà l'inverso del numero ν di Abbe caratteristico della sostanza di cui è fatta la lente, ossia:
Se questo ν è grande, come nei vetri del tipo crown, per cui raggiunge valori dell'ordine di 60, l'aberrazione cromatica è assai ridotta; mentre è assai più notevole coi vetri più dispersivi, del tipo flint, per i quali ν si aggira intorno a 35.
Nell'osservare una figura così complessa, come quella di una stella bianca attraverso ad una lente semplice, si finisce per fissare l'attenzione sopra il dischetto di minima aberrazione cromatica, che è quello in cui ha luogo la massima fusione dei colori. (fig.1). Un semplice calcolo dimostra che il diametro δ di questo dischetto è dato, con molta approssimazione, da D/2 ν, essendo D il diametro della lente. Il fatto che δ non dipenda dalla distanza focale indusse i costruttori dei primi cannocchiali a lenti semplici a fare gli obbiettivi con distanze focali lunghissime; e questo perché mentre l'immagine ingrandiva, restava costante l'ingrossamento dei singoli elementi per causa dell'aberrazione cromatica.
Si erano costruite lenti perfino con 40 m. di distanza focale, quando si trovò che, combinando insieme due o più lenti dalle caratteristiche opportune (fig. 2), si poteva ottenere un sistema affetto da una aberrazione cromatica anche molto inferiore a quella di una lente semplice di uguale apertura e distanza focale.
Il problema s'imposta così: una lente sottile, di cui si conoscono i tre indici fondamentali nC′, nD′, e nF′, il numero di Abbe ν′ e le rispettive distanze focali fC′, fD′, fF′, viene unita a un'altra lente, di cui si conoscono ancora nC″, nD″, nF″, ν″, fC″, fD″ e fF″; si tratta di determinare quale relazione deve sussistere fra queste grandezze perché il sistema complessivo abbia la stessa distanza focale per la radiazione C e per la F.
Intanto per ciascuna lente valgono le note relazioni:
e se fC e fF, indicano le distanze focali del sistema finale per le radiazioni C e F, si ha anche
La tesi proposta si introduce nel calcolo ponendo
ossia
espressione che, tenendo conto delle eguaglianze precedenti, si può scrivere
o anche
Questa relazione suol chiamarsi la condizione di acromatismo del sistema di due lenti sottili accostate; però è un modo di dire un po' esagerato, perché in realtà essa esprime la condizione perché siano uguali le distanze focali per i due colori C e F, ma non è detto che siano uguali le distanze focali per tutti i colori; anzi, per il noto comportamento dell'indice di rifrazione, è subito palese che nessun'altra distanza focale può avere lo stesso valore di fC e fF.
Il calcolo riportato vale per la C e la F, essendo queste le radiazioni per cui lo si fa correntemente in pratica; ma è evidente che può ripetersi per qualunque altra coppia di colori dello spettro luminoso.
Siccome i numeri di Abbe sono positivi, per soddisfare alla condizione di acromatismo occorre che le due distanze focali siano di segno contrario, ossia il sistema deve esser composto di una lente convergente e di una divergente. Perché poi la distanza focale definitiva risulti positiva, occorre che la distanza focale della lente convergente, e sia fD′, sia inferiore al valore assoluto di fD″; e in conseguenza ν′ > ν″: cioè la lente positiva deve essere di un vetro tipo crown e la negativa di un vetro tipo flint. È anche chiaro che con un tipo unico di vetro non si può fare un sistema acromatico; infatti se ν′ = ν″, è anche fD′ + fD″ = 0, ossia la condizione di acromatismo è raggiunta solo quando li sistema non ha più distanza focale.
A questo proposito è interessante un particolare storico: l'aver Newton creduto ed enunciato che ν è un numero indipendente dalla qualità delle sostanze fece ritenere per molto tempo impossibile l'acromatismo, e ritardare di quaei un secolo la costruzione degli obbiettivi acromatici.
L'acromatismo si può ottenere anche con un sistema di lenti fatte con una stessa qualità di vetro, purché poste a distanza conveniente. In generale si può dimostrare che, quando due lenti, di cui ν′ ε ν″ sono i numeri di Abbe, si trovano alla distanza d una dall'altra, se è soddisfatta la condizione
dove fD′ e fD″ sono le distanze focali di ciascun elemento per la luce del sodio, sono uguali le distanze focali fC e fν del sistema complessivo. In particolare, se ν′ = ν″, la condizione diventa:
A questo tipo di acromatizzazione si ricorre comunemente per la costruzione degli oculari.
La curva di colore tracciata per gli obbiettivi acromatici a due lenti ha l'andamento caratteristico della fig. 3. A differenza delle curve di colore delle lenti semplici, che sono o sempre crescenti o sempre decrescenti, questa presenta un minimo (o un massimo) in corrispondenza di un certo colore, per il quale si dice che è acromatizzato l'obbiettivo. Quando lo strumento a cui è destinata la combinazione acromatica deve servire per osservazioni in luce bianca, si acromatizzano le sue parti ottiche per la radiazione per cui l'occhio è più sensibile, verso il giallo-verde (550 mμ) ed appunto per questo scopo si eguagliano le distanze focali per le radiazioni C e F, come si è fatto nei calcoli precedenti. Quando invece lo strumento è dedicato a scopi fotografici, dovendosi realizzare il massimo concentramento delle radiazioni attiniche, l'acromatizzazione si fa per una luce violetta.
Ma in quest'ultimo genere di strumenti, dovendosi impiegare un maggior numero di lenti per correggere le altre aberrazioni, si dispone di un maggior numero di variabili e di numeri di Abbe e si può ottenere che anche tre o più distanze focali risultino identiche; cioè la curva di colore presenta dei massimi e dei minimi in modo che una retta parallela all'asse delle λ la taglia in tre o più punti.
Negli strumenti per le osservazioni visuali in generale però si rifugge da queste complicazioni, per il maggior costo delle parti ottiche, non compensato dai vantaggi che se ne ritraggono. Infatti l'acromatismo ordinario ben calcolato è più che sufficiente per la maggior parte degli usi pratici e, mentre il migliorarlo non accresce di molto la potenza dello strumento, l'aver messo una lente di più sul cammino della luce ne porta via una frazione tutt'altro che trascurabile.
Accanto all'acromatismo, di cui si è trattato fin qui, riferentesi ad immagini di stelle (e non si tien conto della colorazione inerente alla figura di diffrazione, accennata a proposito degli specchi concavi, perché è trascurabile di fronte agli effetti dell'aberrazione cromatica), si parla anche dell'acromatismo del campo di un sistema ottico, che si ha quando le diverse immagini monocromatiche di un oggetto esteso hanno eguali dimensioni e posizioni, cosicché il loro insieme dà luogo a una figura bianca a orli non iridati. Questo risultato è raggiungibile solo con approssimazione, perché richiede che la distanza focale del sistema ottico resti costante al variare della lunghezza d'onda della luce, cosa che è impossibile, per il residuo di aberrazione cromatica sull'asse. Le due specie di acromatismo sono strettamente legate fra loro.
Lo studio pratico dell'acromatismo si riduce allo studio del residuo di aberrazione cromatica, ossia alla costruzione di una curva di colore. Per tracciare la quale si ricorre ai metodi accennati sotto la v. aberrazione dei sistemi ottici.