ACRIDÎ (dal gr. 'ακριδίον, diminutivo di 'ακρίς "locusta", usato da Dioscoride; lat. scient. Locustae; fr. sautériots, sauterelles, criquets; ted. Feldheuschrecken; ingl. locusts, crickets e specie in America, grasshoppers)
Insetti costituenti un sottordine di Ortotteri. Segnalati fin dall'antichità e menzionati più volte nella Bibbia, con nomi diversi, (ebr. Arbeh) come uno dei più temuti flagelli dell'agricoltura. Il Geoffroy nel 1762, chiamò Acridium le specie piu rappresentative di cavallette, e tale parola servì poi a denotare tutto il gruppo: Acridiidae. I nomi "grillo" e "locusta" furono man mano nell'uso scientifico riservati ai due altri gruppi di Ortotteri saltatori. Ma nell'uso volgare c'è tuttora confusione; gl'Inglesi, per es., persistono a chiamare "locuste") gli acridî, anche nel linguaggio colto.
Gli acridî sono facilmente distinguibili per la brevità delle antenne, meno lunghe della metà del corpo; per i tarsi di 3 articoli, per i grossi femori del 3° paio di zampe, e per l'ovopositore breve, che poco sporge dall'estremità dell'addome (in contrapposto al lungo ovopositore a forma di sciabola, caratteristico delle locuste).
La descrizione che segue completa questi caratteri diagnostici. Il corpo è subcilindrico o conico, più grosso in avanti, alquanto compresso sui lati, con i varî segmenti assai accostati gli uni agli altri, senza snodamenti notevoli. La testa, di solito, è grossa, tozza, con la bocca in basso e un'estesa fronte ornata di creste e rilievi sul davanti, con grossi occhi composti ai lati e quasi sempre tre ocelli frontali. L'apparato masticatore, limitato in avanti dal largo labbro bilobo, è robusto, atto a recidere e divorare le parti più tenere delle piante: le mandibole aguzze e fornite di denti sono particolarmente formidabili. Il pronoto, ossia la parte dorsale del 1° segmento toracico, è spesso carenato o crestato lungo la linea mediana, e si prolunga frequentemente sul mesonoto e anche più indietro, a guisa di uno scudetto protettore. Le zampe sono inserite lateralmente al tronco, terminano ciascuna con due unghie ricurve e aguzze, fra cui v'è di regola un cuscinetto elastico che funge da ventosa; anche gli altri articoli dei tarsi portano spesso al disotto cuscinetti adesivi; talché l'animale aderisce tenacemente senza sforzo a corpi con superficie liscia.
Le zampe posteriori (3° paio) sono conformate per il salto: il femore è assai rigonfio, muscoloso; le lunghe tibie portano due serie di spine sulla faccia inferiore e possono ripiegarsi sotto al femore, accolte in apposito solco. Una spinta vigorosa delle tibie sul terreno fa spiccare all'animale un poderoso salto, notevole per l'ampiezza dell'escursione, talché gli acridi sono, fra gli ortotteri, i migliori saltatori. Gl'individui di talune specie spiccano talvolta un volo rapido, diritto, sostenuto, che, nei migratori, può prolungarsi per centinaia di metri e, se favorito dal vento, anche per miglia e miglia. Gli organi del volo nel riposo aderiscono ai fianchi: le elitre sono diritte e pianeggianti, dalla consistenza di sottile pergamena e percorse da robuste nervature che le rendono più elastiche. Le ali, che nella posizione di riposo stanno ripiegate a ventaglio al disotto delle elitre, sono ialine o translucide, raramente incolori, il più delle volte fuligginose, spesso di tinte delicate, o di un bel colore rosso o turchino con orlature e macchie nere. Tanto le elitre che le ali in talune specie sono ridotte, rudimentali e anche assenti. L'addome termina con una lamina sopranale e un'altra subanale (resti del 10° segmento), tra le quali sta, nelle femmine, l'ovopositore; ai lati della lamina sopranale sporgono i cerci, due appendici coniche non articolate, presenti in ambo i sessi. Non esistono stili.
Caratteristico è il canto stridulo, dal ritmo regolare, che gli acridî maschi di molte specie fanno sentire nelle giornate estive e che è prodotto dal rapido soffregare dei femori posteriori sulle elitre. Nella produzione del suono le elitre fanno perciò la parte del violino e i femori quella dell'arco. Nelle specie più musicali, i femori presentano nella faccia interna una costa sporgente (archetto) striata di una fine dentellatura microscopica, con dentelli a forma di ferro di lancia. Maschi e femmine posseggono un paio di organi cordotonali auditivi (De Geer, 1804), uno per ciascun lato del 1° segmento addominale: essi appaiono come depressioni più o meno accentuate, nel cui fondo è tesa una membrana chitinosa elastica (timpano) ricoprente un'ampia cavità timpanica formata da apposite dilatazioni delle trachee. Un nervo si attacca largamente al timpano in una regione ricca di elementi specifici di senso.
Gli acridî abitano di preferenza i campi coltivati e i prati. Il colorito del loro corpo e delle elitre, giallo, rugginoso, verde o grigiastro, li nasconde facilmente alla vista, per cui esso è considerato come colorazione protettiva. Nell'estate avanzata e nell'autunno, dopo l'accoppiamento, le femmine depongono le uova entro piccole buche sotterra, in mucchietti bene ordinati, circondati da una sostanza organica protettiva, ch'è secreta liquida sotto l'aspetto di una schiuma e che all'aria rapidamente indurisce. Le buche sono scavate per mezzo dell'ovopositore: questo è costituito da quattro gonapofisi principali, pezzi chitinosi corti e robusti terminanti in punta, i quali, accostandosi e divaricandosi alternamente, assecondati da contrazioni elicoidali dell'addome funzionano da congegno perforatore. Dispositivi automatici assicurano poi alle uova, entro al nidamento, la posizione più favorevole per la facile uscita delle larve al momento della schiusa, che ha luogo in primavera. Per lo più gli adulti muoiono in autunno. Tutti gli acridî sono fitofagi; ma non tutti sono ugualmente temibili per le coltivazioni. È ben noto che in certe annate talune specie si moltiplicano in così gran numero da giungere a devastare ampî territorî. A volte, intere popolazioni di acridî, spinte da un oscuro istinto, che forse si desta nelle annate di maggiore prolificazione, movendosi a schiere sterminate, compiono vere migrazioni, facendo ovunque il deserto sul loro passaggio. Classica è la descrizione mosaica dell'invasione delle cavallette in Egitto (Esodo, X, 13-15) secondo cui "il paese ne fu coperto ed oscurato", e "in tutto l'Egitto non rimase alcun verdume sugli alberi, né erba nei campi". Talvolta lo sciame si avanza per una fronte di chilometri e per una profondità che si misura a giornate di passaggio. In questi grandi voli migratorî, gli acridî più che dal proprio sforzo muscolare, sono portati dal vento, potendo essi gonfiarsi di aria e rendersi leggieri. Volano tutta la giornata, si posano la sera per ripartire l'indomani. Si fermano soltanto allorché è giunta l'ora di deporre le uova. Il luogo di arrivo di una banda può segnare, l'anno seguente, il punto di partenza di una nuova migrazione, che si inizia già nella vita larvale. In America sono state osservate "migrazioni di ritorno", nel corso delle quali le larve non conoscono ostacoli, e, sebbene sprovviste di ali, possono attraversare anche i fiumi. Le regioni dove il fenomeno migratorio e le invasioni raggiungono la massima intensità sono la Siria, l'India, l'Africa settentrionale e meridionale, gli Stati Uniti d'America e le Pampas dell'Argentina. Ma anche nei paesi dell'Europa centrale e meridionale, particolarmente in Sicilia, si devono lamentare periodiche invasioni di cavallette.
Tra le specie devastatrici delle nostre regioni, è anzitutto da notare la cavalletta migratrice, Pachytylus migratorius L. (Oedipoda migratoria) comune anche nell'Europa meridionale, ma specialmente propria dell'Asia Minore e della Siria, donde sembrano partire le più forti migrazioni. Caratteri della specie sono: corpo grigioverde, liscio; pronoto con carena mediana alquanto concava, non interrotta da solchi; elitre trasparenti più lunghe dell'addome; ali sfumate di giallo verdino; tibie posteriori gialle o leggermente rosse; cm. 51/2. Altra importante specie è la cavalletta migratrice europea, Pachytylus danicus L. (P. cinerascens Fabr.) simile alla precedente: ne differisce per la cresta del pronoto convessa, e per le tibie posteriori rosse; lunghezza fino a 6 cm. Comunissimo nell'Europa meridionale è l'Acridium aegyptium L., di cui si trovano talora individui sperduti fin nel centro delle nostre città. È la maggiore delle cavallette migratrici, potendo raggiungere 8 cm. di lunghezza: ha colorito grigio-cenere, pronoto solcato da tre solchi trasversi e ali ialine con sfumatura nera arcuata; femori con tre macchie nere caratteristiche; lamina sotto-anale tricuspide. Molto simile alla precedente è la Schistocerca tartarica L. (Sch. peregrina = Acridium peregrinum Oliv.), cavalletta migratrice dell'Africa settentrionale, la più temibile delle cavallette algerine, comune anche in Sicilia. Ma le cavallette che in Italia producono i maggiori danni alle messi sono due specie indigene di piccole dimensioni (circa 3 cm.): il Caloptenus (Calliptanus) italicus L., grazioso acridio dalle ali color rosa vivo e pronoto con tre carene, e lo Stauronotus (Dociostauros) maroccanus Thunb., che si distingue per il pronoto con carene laterali che, nel loro insieme, disegnano una specie di croce; tibie posteriori rosso-sangue; ali trasparenti. Quasi esclusivamente a questa specie sono ascritte talune devastazioni recenti avvenute in Sicilia.
La lotta contro le cavallette è tanto ardua, che ha assunto le proporzioni di lotta sociale condotta o sorretta dagli stati. Già nella antichità si ricorse alla leva in massa delle popolazioni per cacciare o distruggere gl'invasori. Per quanto i mezzi distruttivi si siano col tempo moltiplicati e perfezionati, non per questo il compito è divenuto agevole e sicuro. Anzitutto occorre iniziare la lotta sul luogo dove si è posato lo sciame e dove avvengono l'accoppiamento e la deposizione delle uova. Qui conviene procedere subito alla distruzione dei nidamenti oviferi, e ciò per prevenire un'invasione nell'anno seguente, assai più devastatrice della prima. Nella successiva primavera si dovrà poi sorvegliare la schiusa e la prima comparsa delle larve ancora poco agili, incendiando, dov'è possibile, i tratti incolti che costeggiano i campi coltivati, o anche concentrando, mediante battute, verso apposite fosse, o contro ripari e reticolati, grandi quantità di larve, che così potranno agevolmente esser distrutte. Nel dopoguerra si sono più frequentemente utilizzati con qualche successo i cosiddetti "lancia fiamme"; e, nell'America del Nord, anche i gas afissianti lasciati cadere da aeroplani. Senza apprezzabile risultato, invece, rimangono finora i numerosi apparecchi di cattura escogitati, come pure i tentativi di utilizzare i nemici naturali delle cavallette, in particolare taluni imenotteri e taluni funghi microscopici parassiti, distruttori di uova e di adulti, per quanto sia probabile che tali agenti costituiscano efficaci fattori naturali di limitazione.
Numerosissime sono le specie di acridî, distribuite su tutto il globo: si calcolano a parecchie migliaia, ma solo un paio di centinaia sono proprie dell'Europa. Nonostante questo grande numero, l'organizzazione e la fisionomia del gruppo presentano una grande uniformità. Tuttavia non mancano forme che si allontanano dal consueto. Così, numerosi sono gli acridî con elitre ed ali ridotte o rudimentali, e tra questi il Pamphagus marmoratus Burm., il più grosso dei nostri ortotteri (10-12 cm.), che in Europa vive soltanto in Sardegna e in Sicilia. È di un bel verde, marmorato di giallo o di bruno, con elitre ridotte a piccoli scudetti coriacei, con movimenti pesanti che mal lo difendono dai predatori. Fra le numerose specie di Pamfagidi africani, citiamo la spinosa Xiphocera asina dell'Africa meridionale. Caratteristiche e frequenti da noi le Tryxalis dalla testa stretta e allungata elevantesi a guisa di cono, al cui apice stanno gli occhi e le antenne (es.: Tryxalis nasuta L.). Le piccole Tetrix si distinguono per il pronoto allungato posteriormente fino a ricoprire l'addome e la mancanza di cuscinetti tra le unghie dei tarsi. Gli Xerophyllum africani e i Cladonotus di Ceylon, affini alle Tetrix, devono la loro singolarità appunto alla grandezza, alla forma e agli ornamenti del pronoto. Forme ancora più aberranti sono rappresentate dai grandi Pneumora e Methone dell'Africa meridionale.
Bibl.: La bibliografia degli Acridî si confonde in grandissima parte con quella degli Ortotteri. Sulla lotta contro le cavallette, oltre le opere generali, vedansi: Munzo, Locust plague and its suppression, Londra 1900; Sander, Die Wanderheuschrecken und ihre Bekämpfung, Berlino 1902; Künkel d'Herculais, Invasions des Acridiens en Algérie, Algeri 1903-1905, 2 voll.; De Stefani, Cavallette, loro invasioni e lotta contro di esse in Sicilia, in Giornale di Sc. Nat. ed Econom., XXX (1913); Lunardoni, La lotta contro le cavallette in Sicilia, in Boll. d. Ministero di Agr. Ind. e Comm., XII, serie B (1915).