ACQUI (A. T., 24-25-26)
Città del Piemonte (provincia di Alessandria) al piede di amene colline, presso la riva sinistra della Bormida, a 164 m. s. m. È il centro abitato più importante dell'alto Monferrato, sin dalla più remota antichità. La popolazione del comune era di 15.293 ab. nel 1921, e quella del centro capoluogo di 10.294. Nel 1734 Acqui aveva 4199 ab., 6097 nel 1774, 6352 nel 1839, 11.153 nel 1881, 14.495 nel 1911. Ha vie ampie e bellissimi viali e non manca di edifici notevoli, quali la cattedrale dell'Assunta, del sec. XI; a tre navate, con un campanile dugentesco. Dell'antica costruzione si conserva solo l'abside e la crociera. Ha un bel portale scolpito nel 1848 dal luganese Antonio Pilacorte; nell'interno, un trittico del pittore catalano Bartolomeo Rubeus; nella cripta, recentemente restaurata, il sarcofago del vescovo Guido, morto nel 1070. Notevoli i resti dell'antico castello (sec. XIII), trasformato in carcere giudiziario. Un monumento ai caduti della grande guerra, di Pietro Canonica (1926), e un monumento all'esploratore Giacomo Bove (1852-87), compagno del Nordenskjöld nel viaggio della Vega, di Eugenio Baroni, si trovano nel giardino pubblico. Il monumento allo statista Giuseppe Saracco, opera di Giulio Monteverde, è nella piazza Vittorio Emanuele.
Nelle vicinanze di Acqui si osservano avanzi grandiosi di un acquedotto romano; nell'ambito della città sussistono inoltre numerosi ruderi romani, fra cui gli avanzi della via Julia Augusta, delle terme, di una piscina marmorea. A Castelletto Molina è un grandioso castello del sec. XV ben conservato, con le quattro torri di angolo, merli e feritoie, e grandi sale nell'interno, decorate con bei soffitti ed affreschi. Notevole è pure Castello Cremolino, del sec. XIV, con le sue torri, il ponte levatoio, ecc.
Acqui è notissima per le sue sorgenti clorurato-sodiche solforose, termali: in città, da sotto un'edicola in marmo dell'architetto G. Cerruti, scaturisce la "Bollente", grandiosa polla d'acqua a 75°; oltre la Bormida sgorga il gruppo delle "acque calde" (da 45° a 55°), delle quali si utilizza anche il fango, depositato per sedimentazione in appositi bacini.
La cura principale di Acqui è quella dei fanghi, la cui applicazione viene integrata dal bagno termale: questo può però costituire anche una cura a sé. I fanghi ed i bagni di Acqui vengono impiegati nelle affezioni muscolari e dei nervi, specie se d'origine uricemica, nelle malattie ginecologiche, nelle dermatosi, nei catarri dell'albero respiratorio. Degli stabilimenti termali, le Nuove Terme trovansi in città, mentre le Vecchie terme sono oltre Bormida, ove pure è uno stabilimento militare ed uno per indigenti, che dipendono direttamente dal ministero della guerra e dal ministero dell'interno. Le Vecchie e le Nuove Terme sono invece di proprietà del comune di Acqui. Le terme acquensi sono celebrate sin dai tempi più antichi, come dimostrano le vestigia di terme romane che ancora rimangono. Presentemente godono di grande rinomanza e sono frequentate largamente da Italiani e stranieri durante tutto l'anno.
Storia. - Acqui si chiamava anticamente Aquae Statiellae, ed era compresa nella regione IX augustea. Il nome appare in Strabone (Geogr., V, 1, 11, p. 217), presso Plinio (Nat. Hist., XXXI, 2, 4), in iscrizioni (Corpus inscr. lat., V, p. 850) e negli itinerarî. Fu il centro principale dei Liguri Statielli. Ignorasi se fosse nello stesso posto o nelle vicinanze l'oppidum Carustum, nel quale gli Statielli opposero l'ultima e vana resistenza ai Romanì (173 a. C.). Vi passò, nel tratto da Vada Sabatia a Dertona, la via Aemilia Scauri che, restaurata da Augusto, prese il nome, attestato da miliarî, di Iulia Augusta. Fiorì per le copiose sorgenti termali e per la sua posizione sulla sinistra della Bormida, allo sbocco di importanti valli. Un' altra via infatti conduceva, già negli ultimi tempi della repubblica romana da Aquae Statiellae ad Augusta Taurinorum, per Alba Pompeia e Pollentia. Durante l'impero fu municipio ascritto alla tribù Tromentina. Il suo territorio confinava con quelli di Alba Pompeia, Hasta, Forum Fulvii, Libarna, Genua. Le iscrizioni nominano un pontefice, un augure e dei seviri.
Verso la fine del sec. IV, con S. Maggiorino (Maiorinus, non Maioranus come in Ughelli, Italia sacra, IV, p. 327) suo primo vescovo, Acqui divenne sede di vescovado; nel V fece parte della provincia delle Alpes Apenninae; sotto i Longobardi, fu parte importante del ducato di Asti; coi Franchi, assurse a capo di estesa contea, nella quale ebbe i natali il celebre conte, poi marchese, Aleramo, segnalatosi nelle lotte contro i Saraceni. Più tardi, Acqui prese parte alla Lega lombarda; lottò colla nuova città di Alessandria e col suo vescovo per motivi giurisdizionali; contro gli Astigiani e i Genovesi ricorse agli aiuti e alla protezione di Bonifacio I marchese di Monferrato. Nel 1234, Federico II impose pace ai nemici esterni della città; ma divamparono le lotte intestine tra le famiglie dei Blessi e dei Bellingeri, ferocemente nemiche. Nel 1239, insieme con Alba, Acqui guerreggiò per l'imperatore contro i Genovesi; dal 1260 al 1273 rimase sotto la signoria di Guglielmo VII di Monferrato; nel 1273 fu espugnata da Carlo d'Angiò, al quale la strappò nel 1277, abbattendo i guelfi, Guglielmo VII. Risale a quell'anno la prima redazione degli Statuti.
Seguirono, dopo la tragica morte di Guglielmo VII, aspre lotte dei Guelfi di Acqui e di Asti contro il marchese Giovanni, sino alla pace del 1299. Ma dal 1300 al 1313, Acqui è di nuovo dei marchesi di Monferrato; anzi si atteggia a capitale dell'Alto Monferrato. Alla morte di Giovanni, sorsero contese per la successione tra Manfredo di Saluzzo e Teodoro Paleologo, chiamatovi per testamento dal defunto marchese e confermato nel 1310 dall'imperatore Arrigo VII. Roberto d'Angiò si impadroni poi di Acqui nel 1313 e la tenne fino al 1345, quando la città ritornò ai Monferrato. Ma, tra il 1431 ed il 1436, fu occupata dai Visconti di Milano. I Monferrato riuscirono a insignorirsene nuovamente con l'aiuto di Amedeo VIII di Savoia, dal quale ricevettero in feudo il contado. Dopo il 1435, fino al 1708, rimase sotto i Monferrato, pur soggiacendo alle vicende della lotta tra Francesi e Spagnuoli. Nel 1566 divenne sede del senato ducale, sino a che, il 1708, passò definitivamente sotto casa Savoia.
Bibl.: G. B. Moriondo, Monumento Aquensia, Torino 1790; V. Scati, Studî sulle antichità acquensi, in Atti della Società archeologica e belle arti, V, Torino 1887, fasc. i; F. Savio, Gli antichi vescovi d'Italia, ecc., Il Piemonte, Torino 1899, p. 16 segg.; C. Chiaborelli, Acqui: terme e dintorni, Acqui 1927; Corp. inscr. lat., V, p. 850.