ACQUE PUBBLICHE (I, p. 411; App. I, p. 19)
PUBBLICHE Il cod. civ. italiano 1942 dichiara (art. 822) che appartengono allo stato e fanno parte del demanio pubblico, fra gli altri beni, "i fiumi, i torrenti, i laghi e le altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia" e cioè dal testo unico 11 dicembre 1933, n. 1775, le cui disposizioni, (v. App. I, p. 19), circa i caratteri distintivi delle acque pubbliche (art. 1 e 103), dovrebbero perciò ritenersi sostanzialmente invariate. Senonché occorre tener presenti anche la norma scritta nel capoverso del detto art. 822, secondo la quale fanno parimenti parte del demanio pubblico, se appartengono allo stato, insieme con altri beni, gli "acquedotti", e il successivo art. 824, che dichiara soggetti al regime del demanio pubblico i beni della specie di quelli indicati nel secondo comma dell'art. 822, se appartengono alle provincie o ai comuni.
Il nuovo cod. civ., quindi, distingue due diverse categorie di beni demaniali: quelli, indicati nella prima parte dell'art. 822, che appartengono sempre allo stato, in quanto per la loro natura fanno parte del demanio pubblico; e quelli, elencati nella seconda parte del medesimo articolo, che sono pubblici, se ed in quanto appartengono allo stato (o alla provincia o al comune); il che importa una sostanziale alterazione di alcuni dei concetti fondamentali fin qui accolti in tema di demanialità e determina, nel campo dei beni demaniali in genere ed in quello particolare delle acque pubbliche, alcune conseguenze praticamente importanti.
Così, anzitutto, era vivamente discusso se esistesse un demanio idrico comunale e quale ne fosse il contenuto: la più recente giurisprudenza ne escludeva la giuridica possibilità, considerando che se un'acqua ha l'attitudine ad un uso di pubblico generale interesse, appartiene al demanio dello stato; altrimenti è un bene privato (del comune o di altri). Questa soluzione è divenuta oggi ineccepibile per il motivo che, se l'art. 824 cod. civ. dichiara soggetti al regime del demanio pubblico i beni, appartenenti alle provincie od ai comuni, della specie di quelli indicati nel secondo comma dell'art. 822, resta con ciò tassativamente escluso che possano esservi beni demaniali del comune o della provincia della specie di quelli indicati nel primo alinea dell'art. 822, fra i quali le acque pubbliche.
Non così per gli acquedotti, che, essendo menzionati nella seconda parte dell'art. 822, possono, in virtù del richiamo contenuto nell'art. 824, formare oggetto del demanio pubblico della provincia o del comune, se appartengono a questi enti. Gli acquedotti, perciò, possono appartenere allo stato, alla provincia o al comune e sono soggetti al regime del demanio pubblico, ma possono anche appartenere ad altro ente o a persone private, rivestendo la condizione giuridica di beni privati.
Nella generica espressione di "acquedotti" sembra certo che debbano comprendersi tutti i canali che comunque adducono acque, pubbliche o private, per qualsiasi uso: potabile, di bonifica, d'irrigazione, di produzione di forza motrice. E devono ritenersi demaniali gli acquedotti anche se convogliano acque appartenenti ad altri soggetti, sulle quali l'ente pubblico, proprietario dell'acquedotto, abbia acquistato un diritto reale: viene in applicazione, in questa ipotesi, l'art. 825, che dichiara soggetti al regime del demanio pubblico i diritti reali che spettano allo stato, alle provincie ed ai comuni su beni appartenenti ad altri soggetti.
Ma poiché, come si è avvertito, gli acquedotti fanno parte del demanio pubblico solo se sono in proprietà di un ente pubblico, ne deriva che l'indagine circa la loro appartenenza all'ente stesso, da risolversi con i criterî del diritto privato, deve costituire il precedente logico dell'affermazione della demanialità: se la suddetta indagine si conclude nel senso che l'ente pubblico è proprietario dell'acquedotto in virtù di uno dei titoli di diritto privato, in base ai quali si acquista la proprietà, l'acquedotto, se anche conduca, in ipotesi, acque che per la loro natura sarebbero private, diventa soggetto al regime della proprietà pubblica; altrimenti esso è un bene privato anche se, in ipotesi, trasporti acque pubbliche.
La suddetta indagine, inoltre, può porre in luce una situazione più complessa, come nel caso in cui sull'acquedotto, di proprietà dell'ente pubblico, si siano costituiti, per titolo o per prescrizione, diritti di altri soggetti. La possibilità giuridica della costituzione di questi diritti non è esclusa dall'art. 823 cod. civ., per il quale "i beni che fanno parte del demanio pubblico sono inalienabili e non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi, se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano": perché, come si è già osservato a proposito di questa categoria di cose demaniali, esse non appartengono necessariamente allo stato (o alla provincia, o al comune), ma possono essere anche di proprietà privata e quindi deve ammettersi, per logica conseguenza, che l'ente pubblico abbia pure potuto acquistare su di esse una proprietà limitata dai diritti di altri soggetti. Vuol dire, però, che, essendo l'acquedotto soggetto al regime del demanio pubblico (art. 825), i suddetti diritti degli altri soggetti si trasformano in diritti pubblici soggettivi di uso.
La materia delle derivazioni e utilizzazioni di acque pubbliche, che interessa in sommo grado l'economia nazionale, continua ad essere regolata dal testo unico 11 dicembre 1933, n. 1775, al quale soltanto lievi variazioni sono state apportate: con la legge 18 ottobre 1942, n. 1434 è stato chiarito, più che modificato, l'art. 55 concernente la decadenza dell'utente dal diritto di usare l'acqua pubblica; col decr. legge 2 agosto 1945, n. 638, è stata consentita la sospensione del pagamento dei canoni per gli impianti di utilizzazione di acque pubbliche, danneggiati, distrutti o non attuati a causa della guerra; col decr. legge 30 settembre 1947, n. 1276, si è stabilito che le agevolazioni previste nell'art. 73 per la costruzione di serbatoi e laghi artificiali possono essere concesse anche con un provvedimento amministrativo successivo al decreto di concessione; col decr. legge 7 gennaio 1947, n. 24, i canoni dovuti, a termini degli articoli 35 e 36 del testo unico, per le derivazioni di acque pubbliche ad uso potabile e di irrigazione sono stati decuplicati con decorrenza dal 1o gennaio 1947, mentre la misura del canone per le derivazioni ad uso di forza motrice, che era stabilita in lire 12 annue per ogni cavallo dinamico nominale, è stata elevata, con la medesima decorrenza, a lire 164 per ogni kW.
Ma la regolamentazione delle utilizzazioni idrauliche, organicamente fin qui disciplinata per tutta l'Italia, ha subito notevoli mutamenti nelle regioni (la Sicilia, la Sardegna, il Trentino - l'Alto Adige, il Friuli - la Venezia Giulia e la Valle d'Aosta) alle quali, in virtù dell'art. 116 della costituzione della repubblica italiana, sono attribuite forme e condizioni particolari di autonomia, secondo statuti speciali adottati cton leggi costituzionali. Tutte le acque pubbliche, ad esempio, esistenti nel territorio della Valle d'Aosta, escluse quelle che abbiano già formato oggetto di riconoscimento d'uso sono date, per novant'anni, in concessione gratuita rinnovabile alla valle che le può subconcedere, seguendo la procedura e le norme tecniche stabilite per le concessioni dello stato, purché la loro utilizzazione avvenga entro il territorio statale e secondo un piano generale formato da un comitato misto di rappresentanti del Ministero dei lavori pubblici e del consiglio della Valle (art. 1 decr. legge 7 settembre 1945, n. 546). Ancora più accentuata è la frattura fra la legge generale dello stato e quella della regione nella Sicilia e nella Sardegna: nella prima l'assemblea regionale ha legislazione esclusiva su varie materie, fra le quali le acque pubbliche, in quanto non siano oggetto di opere pubbliche d'interesse nazionale (art. 14, lett. i dello statuto approvato col decr. legge 15 maggio 1946, n. 455, convertito nella legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2), e i beni del demanio statale, comprese le acque pubbliche esistenti nella regione, sono assegnati a questa, eccetto quelli che interessano la difesa dello stato o servizî di carattere nazionale (art. 32); nella seconda la regione ha la potestà legislativa ed esercita le funzioni amministrative in materia di esercizio dei diritti demaniali della regione sulle acque pubbliche e di produzione e distribuzione dell'energia elettrica (articoli 3,4 e 6 dello statuto approvato con la legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3). Questa frammentarietà della legislazione in un campo che, per la sua natura e le sue esigenze, richiederebbe un regolamento unitario, può essere fonte di complicazioni ed inconvenienti che potranno essere eliminati o almeno attenuati col graduale assestamento del nuovo ordinamento costituzionale.
Bibl.: Pacelli, Le acque pubbliche, 3ª ed., Padova 1934, p. 203 segg.; R. Alessi, Osservazioni in ordine alle disposizioni concernenti i beni pubblici, in Il diritto dei beni pubblici, 1941, p. 167 segg.; C. Petrocchi, Acque pubbliche e regionalismo, in Riv. amministr. della Repubblica italiana, 1948, n. 1.