ACQUATINTA (fr. aquatinte: sp agua-tinta; ted. Aquatinta; ingl. aquatint
È un disegno inciso su una lastra di metallo per mezzo di un acido che agisce direttamente, oppure attraverso una speciale preparazione detta grana.
Questa maniera d'incisione si adopera spesso associata all'acquaforte e alla vernice molle (v.), alle quali serve di complemento, e delle quali l'incisore si giova quando gli occorre uno schema lineare a cui appoggiarsi. Nella sua forma pura, più rara per le difficoltà dell'esecuzione, essa ha l'apparenza d'un disegno all'acquarello. Priva del segno definito, vale pel gioco sapiente di ben sagomati ed equilibrati valori di chiaroscuro. Nella sua varia tecnica, ogni artista può trovare i mezzi di espressione che più gli convengono, dalla estrema semplicità delle morsure dirette al complicato calcolo della sovrapposizione delle grane. Si può fare un'acquatinta applicando l'acido col pennello sul metallo nudo, limitandone il campo d'azione volta per volta con la vernice liquida, e lavando come per l'acquerello; oppure dipingendo la lastra con una pasta di zolfo e olio, che la morderà in proporzione della quantità adopetata e della durata dell'applicazione. Queste maniere dànno toni fini e piacevoli, ma d'intensità relativa, perché ad un certo momento i mordenti tendono a distruggere gl'incavi già fatti; senza dire, poi, che è assai difficile dirigerli con precisione. Inoltre, reggono poco alla tiratura.
Grane. - Per aver risultati sicuri, pieni e durevoli, si usa interporre, fra il mordente e la superficie da incidere, una grana. Le grane possono essere positive o negative. Le prime si ottengono cospargendo con regolarità il metallo di una polvere resinosa (bitume, colofonia, copale, mastice), capace di aderirvi col calore, e di proteggere dal mordente i punti di aderenza degl'innumerevoli granellini, ma lasciandolo agire negl'interstizi liberi. Possono venir preparate per via secca, agitando con forza dentro una cassa cubica di legno la resina, e deponendo subito in quella cassa la lastra pulitissima, sulla quale la polvere si deposita lentamente; poi la lastra si estrae senza scosse, e si riscalda sul rovescio, ottenendo l'aderenza dei granellini per fusione parziale; oppure per via umida, ricoprendo la lastra di una sostanza resinosa sciolta in un liquido volatile (benzina, alcool, cloroformio), che, asciugandosi, lascerà la resina aderente in piccoli grani alla superficie; il calore completerà l'aderenza.
Le grane negative consistono nell'ottenere una regolare e minuta bucherellatura dello strato di vernice di cui si ricopre la lastra. La più usata, bella e solida, è quella al sale. Si prepara la lastra con un sottilissimo strato di vernice bianca; mantenendola calda, vi si fa cadere il sale ben secco, della grossezza voluta, che si regola passandolo attraverso uno staccio di tela metallica. I piccoli cristalli attraversano la vernice, che, naturalmente, deve avere uno spessore minore del loro diametro, e si fermano a contatto del metallo. Se ne aiuta la penetrazione cuocendo la grana, cioè scaldando la lastra finché la vernice lo comporta; quindi si lascia lentamente raffreddare, e s'immerge nell'acqua che scioglierà tutto il sale, lasciando la vernice cosparsa d'innumerevoli forellini, attraverso i quali l'acido morderà. Tali grane variano di effetto secondo la forma, la grossezza e la specie dei cristalli del sale adoperato (cloruro di sodio, solfato di soda); secondo il grado di calore a cui furono sottoposte; secondo la fluidità della cera e lo spessore del suo strato; secondo la quantità del sale e l'altezza dalla quale vien lasciato cadere.
Altre grane si ottengono passando sotto il torchio calcografico la lastra verniciata, coperta con qualche cosa capace di bucherellarla regolarmente, come, ad es., carta vetrata o sabbia; nettandola, prima di farla mordere dall'acido, con un pennello morbido. Queste grane risultano aride e poco sensibili al modellato, non essendo i forellini sufficientemente vicini fra di loro.
Le grane sono suscettibili di sovrapposizione, purché ciascuna sia morsa a parte. La grana che segue dev'essere, però, più fine della precedente, nel qual caso le darà fusione e mistero; nel caso contrario, la guasterebbe. Due grane uguali tendono a distruggersi. In ogni caso, la collaborazione delle grane va sempre un poco a detrimento della loro freschezza. L'uso di grane della stessa natura, più grosse nei primi piani, decrescenti negli altri, delicate sul cielo, può dare un eccellente aiuto prospettico.
Morsura. - Se il disegno non fu in precedenza inciso, lo si ricalca sulla lastra, granita o no, servendosi di carta da trasporto assai sensibile e di una matita tenerissima, badando, se si lavora sulla granitura, a non premere troppo, essendo la preparazione leggerissima e fragile oltre ogni dire. Indi, col pennello imbevuto di vernice, si ricoprono le parti più luminose che non debbono avere morsura di sorta; se la lastra è granita, s' immerge nell'acido (mordente olandese: v. acquaforte), e vi si lascia per il tempo necessario ad ottenere il valore dei piani che seguono in ordine di forza; si ricoprono questi, sempre disegnandoli col pennello, e si raggiungono i successivi, e così di seguito, finché, esaurita tutta la scala dei valori, rimarranno scoperti solo i massimi scuri che hanno avuto una morsura uguale alla somma delle morsure parziali; su di essi si lascia l'acido indugiare ancora per il tempo necessario. La rimorsura al rullo è possibile solo con grane grosse. Per qualche indispensabile ritocco si fa ricorso a piccoli rulletti di acciaio graniti in varia misura, adoperabili a secco sul metallo nudo, oppure sulla vernice, con susseguente morsura. Se la loro granitura non è molto dissimile da quella della lastra, si riesce a nascondere abbastanza bene il loro intervento.
La tiratura dell'acquatinta è delicatissima. Si deve usare carta il più possibile morbida; inchiostro scelto con cura come colore e come fluidità. La velatura è da evitare, e così pure la mano dell'operaio calcografo, ch'è incallita e dura. È la mano dell'artista, che, raccogliendo tutta la sua sensibilità, deve dare al rame inchiostrato l'ultima carezza, prima di lasciarlo alla stretta del torchio.
Per la storia di quest'arte, v. incisione su metallo.