Acquacoltura
La cattura e l'allevamento del pesce destinato all'alimentazione umana sono una delle attività più antiche poste in essere dagli uomini per la propria sopravvivenza. Mentre per altri alimenti di origine zootecnica si è rapidamente passati dall'attività di caccia a quella di allevamento, nel caso dei prodotti ittici tale processo è stato assai più lento e complesso. La gran parte dei prodotti ittici che entrano nella dieta alimentare, infatti, è ancora frutto dell'attività di cattura, mentre solo una quota ancora relativamente modesta, sebbene in forte espansione, proviene da allevamenti con finalità alimentari. L'a., come utilizzazione delle acque, sia dolci, sia marine, per l'allevamento di pesci, crostacei, molluschi, e per la coltura di piante acquatiche, si è andata affermando con relativa lentezza rispetto ad altre forme di allevamento animale. Ciò può essere ricondotto innanzitutto all'oggettiva difficoltà di allevare specie geneticamente così distanti da quella umana e con equilibri biologici delicatissimi. Inoltre l'abbondanza di risorse ittiche, disponibili nei mari che coprono gran parte della superficie terrestre, ha reso meno urgenti i problemi di alimentazione. Negli ultimi decenni del 20° sec., tuttavia, le condizioni generali si sono notevolmente modificate. In primo luogo la diffusione e il miglioramento delle innovazioni tecnologiche introdotte nel comparto dell'a. hanno migliorato l'affidabilità dei processi produttivi e i risultati economici. In secondo luogo il progressivo depauperamento delle risorse ittiche naturali non solo ha indotto un rilevante aumento dei prezzi del pesce catturato, rendendo più conveniente il pesce di allevamento, ma ha anche reso necessarie, sul piano politico, misure tese a limitare lo sfruttamento delle risorse marine e a proteggere l'ecosistema. Infine, sul fronte della domanda, si è assistito a una progressiva internazionalizzazione degli stili alimentari e alla diffusione del consumo del pesce anche in regioni nella cui tradizione esso era assente. Nel periodo 1993-2003, infatti, la produzione ittica realizzata nell'Unione Europea attraverso l'attività di cattura in acque marine mostra una sostanziale stabilità, mentre il prodotto derivato dall'attività di allevamento evidenzia una forte tendenza all'aumento.
In questo comparto produttivo la Cina e altri Paesi asiatici detengono i primi posti in graduatoria, mentre l'Italia e l'Europa, pur essendo forti consumatori di prodotto ittico allevato, svolgono un ruolo piuttosto modesto. Il mercato ittico europeo, e in particolare quello italiano, fa ampio ricorso alle importazioni anche dal continente asiatico, ed è lecito attendersi una maggiore competitività di prezzo sia per le specie d'importazione sia per quelle allevate con una tecnologia produttiva ormai consolidata e divenuta patrimonio diffuso del know-how fra i Paesi produttori, come le specie eurialine che tollerano ampie variazioni di salinità nell'ambiente acquatico in cui vivono (per es. spigole e orate). Alle importazioni di pesce allevato si sommano quelle di prodotto pescato, che mostrano una crescente vivacità specie nei mercati europei, anche grazie a un notevole miglioramento del sistema di trasporti. La competitività fra le imprese del comparto a. all'interno dell'Unione Europea è condizionata da vari fattori, fra i quali vale la pena ricordare il costo dell'energia nonché il carico fiscale e il costo del denaro. (v. tabb. 1 e 2).
Per quanto riguarda l'Italia, a fronte di una presenza di aziende attive soprattutto nel Nord-Est e nelle isole, va pure considerata la quota modesta di imprese che, pur iscritte nel registro delle attività di a., non hanno ancora dato seguito, per diversi motivi, a tale progetto. La presenza di queste imprese inattive, rappresentata da 59 unità (di cui 49 in acqua salmastra e 10 in acqua dolce), pari a circa un quarto di quelle attive, testimonia non solo l'ingente impegno finanziario richiesto per le immobilizzazioni strutturali di un allevamento ittico (strutture d'allevamento quali vasche, condotte e canalizzazioni; infrastrutture quali sistemi di distribuzione di mangime, ossigeno e elettricità; attrezzature quali reti, griglie e mastelli), ma anche la complessa burocrazia che governa la nascita di un'impresa acquacolturale, specialmente sul terreno delle garanzie ambientali. L'a., inoltre, esige specifiche professionalità in campo biologico, non facilmente reperibili sul mercato del lavoro.
La necessità da parte della grande distribuzione di rispondere in maniera soddisfacente alle richieste dei consumatori in materia di garanzia di prodotto ha determinato nei confronti degli allevatori la crescita di domanda di prodotto qualificato, a prezzi prefissati, di taglia e caratteristiche di livrea omogenee, in grandi quantitativi e con continuità di fornitura. Si è dunque richiesto al settore produttivo di far fronte a una forte domanda di qualità, omogeneità e continuità. Gli allevatori si sono, quindi, trovati nella necessità di sviluppare ulteriormente e gestire una filiera produttiva organizzata secondo uno schema industriale. Nell'esame di questo tipo di produzione ci sono tre elementi fondamentali di cui è necessario tenere conto. Il primo di questi fattori è che l'a. fa parte a pieno titolo del settore delle produzioni agricole. La sua filiera produttiva dipende pertanto dal substrato di produzione (allevamento) e dalle più generali condizioni ambientali e climatiche dell'area di collocazione dell'impianto. Il secondo elemento è che la produzione di animali vivi (almeno fino alla cattura in vasca, gabbia, bacino) comporta certamente la capacità di mantenere una certa elasticità nei processi produttivi in modo tale da essere in grado di fornire le necessarie risposte a eventuali bisogni manifestati dal pesce in allevamento. Molto spesso le variazioni in itinere degli interventi di gestione (per es. modifica dei contributi di ossigenazione in vasca o variazione delle quote di alimentazione fornite al pesce) sono dettate dall'insorgere di problemi di tipo ambientale e/o climatico, ma, talora, anche in assenza di questi. Il terzo fattore che merita una riflessione è rappresentato dal fatto che le specie prodotte in a. sono da considerarsi 'selvatiche'. Lavorare con tali specie significa quindi operare con un 'materiale biologico' del quale si conoscono assai poco le possibili risposte alle condizioni di allevamento.
Nella letteratura corrente viene definito intensivo l'allevamento caratterizzato da un alto grado di affollamento, sebbene non venga indicato il limite di carico al di sotto del quale non si può più parlare di allevamento intensivo. Altrettanto generica è la definizione di estensivo in riferimento a un allevamento caratterizzato da un basso grado di affollamento. Il termine semintensivo si applica invece all'area, dai confini invero assai sfumati, lasciata scoperta dalle due definizioni precedenti. Sembra infatti evidente che l'entità della biomassa presente in allevamento - quindi il grado di intensività dell'impianto - dipende dalla quantità di alimento disponibile. Infatti, quando si intende aumentare in un determinato ambiente il carico ittico sino a superare i limiti imposti dalle naturali risorse alimentari, si dovrà inevitabilmente introdurre dall'esterno un supplemento alimentare commisurato ai risultati che si intende ottenere. Da questo punto di vista l'allevamento è definito estensivo o intensivo a seconda che esso tragga il proprio sostegno alimentare esclusivamente dall'ambiente o anche dall'esterno. Nell'allevamento estensivo, che si effettua in ambienti naturalmente vocati come valli e lagune, l'intervento diretto dell'uomo si limita alla semina (talvolta) e alla cattura del prodotto, mentre in termini di impiantistica il suo apporto, se necessario, consiste sostanzialmente nel miglioramento del sistema idraulico, nell'approntamento di aree utili per lo svernamento del pesce e nella messa in opera di sovrastrutture per la pesca del prodotto. L'allevamento estensivo può inoltre essere integrato o di contesto a seconda che vi si faccia uso o meno di elementi nutritivi supplementari, sia nella normale prassi di allevamento sia in caso di eccezionali condizioni climatiche. Il fine di un impianto di allevamento intensivo è invece quello di creare un ambiente di allevamento in cui sia possibile produrre quantità innaturali di prodotto fornendo condizioni sufficienti a supportare i carichi produttivi imposti. Il processo produttivo si differenzia da quello dell'allevamento estensivo (semina, pascolo, raccolta) soltanto per la sostituzione dell'alimento artificiale con quello naturale. A seconda delle condizioni ambientali naturali e delle specie allevate, gli impianti intensivi possono essere più o meno sofisticati in termini di tecnologia applicata; si va infatti da allevamenti quasi artigianali ad altri in cui la gestione di alcune operazioni (alimentazione, selezione, ossigenazione e pesca) è fortemente e talvolta totalmente automatizzata. Gli impianti intensivi possono essere ad alta tecnologia, quando sono dotati di sistemi di controllo e di gestione avanzati, quali: una rete computerizzata che consenta il monitoraggio in tempo reale di diversi parametri chimico-fisici delle acque (controllo) e che governi sistemi di ottimizzazione delle condizioni delle vasche (erogazione di ossigeno liquido, flusso idrico, ecc.); sistemi avanzati di diffusione dell'ossigeno liquido; strutture di allevamento in linea con le moderne concezioni studiate per produzioni ad alta densità; sovrastrutture per la cattura del prodotto. L'insieme di queste caratteristiche, sommate ovviamente alle capacità imprenditoriali e tecniche di gestione nonché alle qualità delle condizioni ambientali, possono consentire produzioni iperintensive, cioè densità molto elevate di prodotto per unità d'acqua.
Con l'espressione intensivi a media e bassa tecnologia si intendono gli impianti che sono in parte o totalmente privi dei sistemi sopra elencati e, quindi, caratterizzati da densità di prodotto per unità d'acqua anche molto inferiori a quella degli impianti sopra descritti. Bisogna infine tener conto della distinzione tra allevamenti intensivi 'a terra', cui si è fatto sinora riferimento, e 'a mare', praticati, cioè, in ambienti specificatamente circoscritti per l'allevamento (gabbie a mare) in particolari siti marini. Gli impianti intensivi 'a mare' mostrano complessivamente una maggiore attenzione nei confronti delle tecnologie e un frequente ricorso a consulenze esterne di biologi marini. Negli impianti 'a mare' gli eventuali problemi derivanti dallo stato del contesto (per es. le malattie dei pesci o i danneggiamenti alle gabbie) richiedono un'attenta cura del processo produttivo. In particolare, anche per quanto riguarda gli allevamenti di maricoltura gli elementi sopra riportati si traducono nella necessità, cui non si è ancora adeguatamente risposto, di organizzare un sistema produttivo che garantisca qualità, omogeneità e continuità nel prodotto fornito. Per quanto concerne la qualità, l'allevamento in gabbie marine sembrerebbe garantire appieno, almeno dal punto di vista ambientale, quel raggiungimento dei tradizionali obiettivi qualitativi richiesti dal mercato (sanitari, organolettici, di tracciabilità ecc.), che, in realtà, è strettamente legato alle caratteristiche chimico-fisiche dell'acqua di allevamento. L'eventuale presenza di inquinamento in mare costituisce per es. un forte fattore di rischio.
Per gli stessi motivi, anche l'obiettivo di produrre pesci la cui taglia e livrea sia sempre fortemente omogenea incontra, nell'allevamento in mare, maggiori difficoltà a essere stabilito secondo procedure rigidamente standardizzate. Lo stesso si può dire per la continuità di produzione: l'ampio spettro di fenomeni meteomarini possibili e la loro vasta scala di intensità rendono l'attività di maricoltura in gabbia difficilmente standardizzabile secondo le classiche metodiche che vengono adottate in attività industriali. Se l'organizzazione di uno schema industriale è difficoltosa per gli allevamenti 'a terra', lo è a maggior ragione per quelli in gabbia a mare. In questo caso, infatti, i rischi di rotture e/o danneggiamenti delle strutture di allevamento sono particolarmente sentiti. Anche allo scopo di raggiungere gli obiettivi sopra esposti, l'organizzazione delle attività produttive è realizzata con specifiche, rigide procedure tecnico-biologiche.
Come qualsiasi genere di intervento effettuato in aree naturali, anche quello che prevede la messa in produzione di gabbie a mare può determinare ricadute sull'equilibrio ecologico dell'ambiente in cui si opera, tali ricadute derivano soprattutto dal depositarsi sul fondale sottostante le strutture di allevamento, delle deiezioni e degli animali allevati e di una parte di mangime non consumato dal pesce in gabbia. Tali problematiche sono meno sentite ove la collocazione delle strutture di allevamento sia stata scelta ponendo particolare attenzione alla presenza di fondali non particolarmente 'a rischio' (in cui, per es., non vi siano le estese praterie di Poseidonia) e di livelli di corrente marina atti a garantire un sufficiente rimescolamento delle acque della zona.
Ismea, Panel agroalimentare per il monitoraggio dei canali distributivi e delle problematiche di approvvigionamento. Seconda rilevazione semestrale, Roma 2001.
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AE: agricoltura, alimentazione, economia, ecologia- Federazione dei lavoratori dell'agroindustria CGIL, 2002, 2.
Ismea, Rapporto annuale, 2 voll., Roma 2002; Ismea, Filiera pesca e acquacoltura, Roma 2003.