ACIDO (dal lat. acidus. agg.; fr. acide; sp. ácido; ted. Säure; ingl. acid)
Il nome di acido è molto antico, e venne riferito soltanto a quei corpi che al gusto palesano il cosiddetto sapore acido, come quello dell'aceto, dei limoni, ecc. L'azione solvente e corrosiva degli acidi era ben conosciuta agli antichi, come dimostra, oltre all'aneddoto di Cleopatra e delle perle, il racconto fantastico di Livio e Plutarco, a proposito di Annibale che si tracciava il passaggio attraverso le Alpi sciogliendo le rocce calcaree per mezzo dell'aceto.
R. Boyle nel 1684 riassumeva le proprietà delle sostanze acide nelle seguenti caratteristiche: 1. hanno sapore agro; 2. sciolgono molte sostanze (azione corrosiva); 3. precipitano lo zolfo dalle sue soluzioni alcaline; 4. cambiano in rosso il colore azzurro di molte sostanze vegetali; 5. perdono le loro proprietà acide se portate in contatto con alcali. Nel 1732 H. Boerhaave divideva gli acidi in acida vegetantia, derivati dalle piante, ed acida fossilia (chiamati poi da J. van Helmont nel 1736 "acidi minerali"), derivati da sostanze minerali.
Il concetto storico di acido è strettamente connesso a quello di sale e di base (v. base) poiché si ritenevano opposte le qualità degli acidi e delle basi e si era riconosciuto che l'attività degli uni neutralizzava quella delle altre; fin dal 1640 si parlava di saturazione, e, pochi anni dopo, il termine sale veniva usato per i prodotti risultanti dall'azione scambievole tra acidi e basi.
Per spiegare il fenomeno dell'acidità venne inizialmente (verso il 1700) supposta la presenza di un acido primordiale o primitivo che impregnava più o meno gli acidi, ma idee chiare sugli acidi si ebbero quando Lavoisier mise in evidenza il fatto sperimentale che, allorché certi elementi, come carbonio, zolfo, fosforo, vengono bruciati nell'ossigeno, l'ossido risultante forma un acido con l'acqua, e giunse, nel 1777, alla conclusione che "l'ossigeno è un elemento comune a tutti gli acidi, e la presenza di ossigeno costituisce o produce la loro acidità". Egli quindi riteneva l'ossigeno elemento essenziale di tutti gli acidi; lo stesso nome di ossigeno, dato a questo elemento, ha il significato di "principio generatore di acidi", concetto ripetuto nel nome tedesco Sauerstoff (sostanza acidificante) dato all'ossigeno. Lavoisier ritenne che la differenza tra i varî acidi dipendesse dalla natura della sostanza o delle sostanze unite all'ossigeno e chiamò base acidificabile semplice o composta la parte non ossigenata di un acido; gli acidi minerali sono comunemente composti ossigenati di una base acidificabile semplice, come il carbonio, lo zolfo, l'azoto, il fosforo.
Successivamente però Berthollet accertò (1787) che l'acido cianidrico (prussico) è un composto di carbonio, azoto, idrogeno, ma non contiene ossigeno, e alle stesse conclusioni giunse per l'acido solfidrico; H. Davy nel 1810-13 provò che per decomposizione dell'acido cloridrico (muriatico) si otteneva idrogeno e cloro e che l'acido iodidrico contiene idrogeno e iodio, ma non ossigeno. La teoria di Lavoisier dovette allora modificarsi e si distinsero gli acidi in due gruppi: acidi ossigenati (od ossiacidi) ed idracidi. Davy nel 1815 ammise la possibilità che l'idrogeno e non l'ossigeno determinasse il carattere acido; nello stesso anno Dulong, studiando l'acido ossalico notò che non vi era differenza essenziale tra acidi ossigenati e non ossigenati, e suppose che i sali di tale acido risultassero dalla sostituzione dell'idrogeno con un metallo.
Si riteneva anche, verso il 1826, che gli ossidi metallici contenessero un atomo di metallo per ogni atomo di ossigeno, e che una molecola di acido fornisse una molecola di sale neutro. T. Graham, dimostrò che questa ipotesi è erronea, in base alla esistenza di tre distinti acidi idrati dell'ossido fosforico P2O5; con la notazione moderna, i tre idrati erano: P2O5 • 3H2O, P2O5 • 2H2O, P2O5 H2O, cioè gli acidi ortofosforico, pirofosforico e metafosforico, riguardati come terfosfato, bifosfato e fosfato di acqua. Graham dimostrò inoltre che era possibile sostituire in questi tre acidi ciascuna delle molecole di acqua con una di ossido basico, cosicché si rendevano possibili tre sali di sodio dell'acido ortotosforico, due dell'acido pirofosforico, ed uno dell'acido metafosforico; così veniva mostrato:1) che gli acidi possono contenere l'equivalente di n molecole di acqua e questa può venire rimpiazzata da radicali basici per formare sali; 2) che il numero delle molecole di acido richieste per formare un sale neutro non è necessariamente eguale a quello delle molecole di base, come era stato dedotto dagli esperimenti di Richter e Berzelius. L'opera di Graham fu proseguita da J. von Liebig che nel 1838 dimostrò con esempî che le molecole di tutti gli acidi non sono equivalenti tra loro, e che cioè gli acidi possono essere mono-, bi-, tri-, ecc. basici, allorché essi contengono una, due, tre, ecc. molecole di acqua sostituibili col numero corrispondente di molecole della base (teoria degli acidi polibasici). Inoltre Liebig affermò che gli acidi sono composti particolari dell'idrogeno nei quali quest'ultimo può venir sostituito da metalli, come già avevano dedotto Davy e Dulong; la concezione fondamentale era sempre però il dualismo o polarità dei composti, secondo la teoria di Lavoisier, in quanto gli acidi venivano ad essere riguardati come combinazioni di radicali semplici o composti con l'idrogeno. Questo portava ad ammettere l'esistenza, come corpi isolabili, di un gran numero di radicali sconosciuti; ma poi, sviluppatasi la teoria unitaria di Laurent e Gerhardt, secondo la quale le molecole dei composti erano edifizî semplici e non risultanti da componenti separati ed opposti, gli acidi vennero ritenuti composti idrogenati, o meglio sali di idrogeno nei quali l'idrogeno può, in tutto o in parte, venire sostituito da metalli.
Assunta la ionizzazione in soluzione come ipotesi fondamentale, il concetto di acido venne espresso con altre parole: "ogni acido, allorché viene disciolto nell'acqua, fornisce ioni idrogeno". Ed infatti anche se sostanze comunemente non definite come acidi, p. es. KHSO4, forniscono, dissociandosi, l'ione idrogeno, questo impartisce ad esse carattere acido, e quindi vi è stretta correlazione tra i concetti di acidità e di formazione di ioni idrogeno. La basicità di un acido viene ad essere definita dal numero di ioni idrogeno che si originano nella completa dissociazione di una molecola dell'acido. Così abbiamo che l'acido cloridrico, dissociandosi secondo lo schema HCl = H• + Cl′, è monobasico, mentre l'acido solforico, che può fornire due ioni idrogeno, H2SO4 = 2H• + SO4″, è bibasico; si può però anche avere la dissociazione H2SO4 = H• + HSO4′. Trattando la soluzione di acido cloridrico, p. es. con zinco, si può, in base alla teoria della dissociazione elettrolitica, scrivere la reazione: Zn + 2H• + 2Cl′ = Zn•• + 2Cl′ + H2, cioè anche Zn + 2H• = Zn•• + H2, dimodoché in definitiva è avvenuto il passaggio delle cariche positive dall'idrogeno al metallo. Naturalmente esistono molti composti idrogenati, p. es. il metano, ma hanno funzione acida soltanto quelli che disciolti in un solvente ionizzante forniscono ioni idrogeno.
Passiamo ora a sviluppare alcuni concetti essenziali riguardanti la basicità degli acidi, la loro forza o energia, la determinazione della concentrazione degli ioni idrogeno e infine la costituzione degli acidi stessi.
Basicità degli acidi. - Gli acidi si distinguono, come già si è accennato, in monobasici, bibasici, tribasici, ecc. a seconda del numero di atomi di idrogeno sostituibili da metalli.
Se ci si riferisce ai sali che possono ottenersi con basi monoacide, si ha che gli acidi monobasici danno una sola specie di sali, mentre i bibasici, tribasici, ecc. - in generale gli acidi polibasici - formano tante serie di sali quante ne indica la loro basicità. Esempî:
Analizzando i sali metallici si può quindi avere un criterio, che del resto è stato il primo adottato, per dedurre la basicità di un acido. Tale deduzione è a volte resa incerta dalla esistenza di sali, che il Bruni ha chiamato "sali ultraacidi" (Zeitschr. f. phys. Ch., LXIX, 1909, p. 69), come KNO3. HNO3, ecc., che derivano da acidi tipicamente monobasici. È però da notare che il Bruni stesso ha trovato, applicando il metodo della curva di conducibilità alla neutralizzazione di acidi capaci di formare sali ultraacidi, che alla formazione di questi sali non corrispondono variazioni di direzione nella curva di conducibilità.
Anche certi derivati degli acidi (cloruri, amidi, eteri composti) possono (Gerhardt) prestarsi alla stessa deduzione; p. es. con un alcool monoatomico come l'alcool etinco, si ha:
Si può aggiungere che anche la formazione di anidridi dà la possibilità di distinzione tra acidi monobasici e polibasici, poiché nel primo caso non si ottiene mai più di un'anidride, mentre i secondi possono dare anche poliacidi anidridici (anidroacidi):
La basicità di un acido può venire stabilita con criteri termochimici (Thomsen), in quanto si è osservato che quando una molecola di acido viene trattata con soda caustica, la quantità di calore sviluppato è approssimativamente proporzionale alla quantità di soda sino a che questa quantità raggiunga 1, 2, 3, 4 molecole di soda a seconda che l'acido è monobasico, bibasico, tribasico, o tetrabasico: se la quantità di soda oltrepassa tale proporzione non si ha variazione apprezzabile nello sviluppo del calore. Alcuni esempî sono riportati nella seguente tabella; le quantità di calore sono espresse in centinaia di calorie.
Viceversa se si fa reagire una molecola di soda su un acido, la quantità di calore sviluppato è approssimativamente proporzionale alla quantità dell'acido fino a che questo raggiunge 1, 1/2, 1/3, 1/4, di molecola secondo la basicità dell'acido esaminato.
Altro metodo di determinazione della basicità degli acidi può aversi fondandosi sulla conducibilità elettrolitica dei loro sali (regola di Ostwald e Walden); considerando i sali di sodio e facendo la differenza D delle conducibilità equivalenti corrispondenti alle diluizioni v = 1024 e v = 32 si trova approssimativamente D = 10, 20, 30, 40 a seconda che l'acido è monobasico, ecc. tetrabasico. In altri termini si ha: basicità dell'acido = D/10, come mostrano alcuni esempî di acidi inorganici riuniti nella seguente tabella:
In generale si hanno con questo metodo risultati abbastanza netti a meno che non intervengano reazioni secondarie (p. es.: idrolisi).
Oltre che col metodo termochimico la neutralizzizione di un acido con una base si può studiare anche con altri metodi che possono portare a determinare la basicità: infatti si ha:
intendendo per peso equivalente la quantità di acido che contiene un grammo atomo di idrogeno sostituibile, od anche la quantità che satura un gr. equivalente (40 gr.) di soda caustica. Si può quindi per titolazione volumetrica dedurre la basicità; però è da osservare che alcuni acidi reagiscono con una basicità più bassa, mentre dànno sali ben definiti corrispondenti a basicità superiori, e che a volte si possono ottenere risultati diversi a seconda dell'indicatore che s'impiega (per esempio l'acido fosforico titolato col metilarancio si manifesta monobasico, mentre si mostra bibasico rispetto alla fenolftaleina). Invece degli indicatori sono stati impiegati metodi chimico-fisici, come quelli di seguire la titolazione con determinazioni di conducibilità elettrica, di forza elettromotrice od anche di abbassamento del punto di congelamento.
Diagrammi. - Nei due diagrammi qui riportati, che serviranno poi per altre considerazioni, è riprodotto l'andamento di alcune delle curve che si ottengono riportando come ascisse i centimetri cubi di soda aggiunti all'acido e come ordinate le conducibilità nel primo diagramma, le forze elettromotrici nel secondo. Nel primo diagramma la curva I è di un acido polibasico (H3PO4) e, come si vede, si hanno cambiamenti più o meno bruschi di direzione ogni volta che viene sostituito un atomo di idrogeno (punti B e C). La curva II è di un acido monobasico (acido salicilico) e la curva III rappresenta invece una curva di spostamento: è stato cioè preso fosfato di sodio, ed alla soluzione di questo è stato aggiunto acido cloridrico (i cmc. di acido sono riportati sulle ascisse); l'andamento mostra evidentemente trattarsi di un acido tribasico (acido fosforico). È da notare che le ordinate per le curve I e II corrispondono a 105 χ, per la curva III a
Nel secondo diagramma è riprodotto l'andamento delle curve di titolazione elettrometrica per un acido monobasico (HCl) e per un acido polibasico (H3PO4); qui il fenomeno della neutralizzazione è accompagnato da salti di potenziale, ed ogni salto corrisponde ad un atomo di idrogeno sostituibile.
Tra l'altro anche lo studio della variazione del punto di congelamento della soluzione col variare della quantità di soda caustica aggiunta alla soluzione di un acido, porta a risultati analoghi a quelli esposti; per esempio la curva che riproduee l'abbassamento del punto di congelamento di soluzioni di NaOH e H3PO4 mostra singolarità nei punti corrispondenti alla formazione di NaH2PO4, Na2HPO4 e Na3PO4.
È anche da accennare che sono state utilizzate altre reazioni come la seguente:
in base alla quale si può dedurre la basicità tenendo conto che per ogni molecola di acido monobasico si libera un atomo di iodio, che viene determinato volumetricamente.
Nonostante i numerosi criterî ora esposti è a volte difficile determinare la basicità di un acido con sicurezza; aggiungiamo quindi alcune recenti considerazioni - riguardanti le differenze tra acidi monobasici e polibasici - che portano tra l'altro a considerare un gruppo speciale di acidi, definiti poli-monobasici.
Weitz e Stamm (Berichte d. deutsch. Chem. Ges., LXI, 1928, p. 1144) hanno messo in evidenza che se si considera la solubilità dei sali alcalini e di ammonio in ammoniaca acquosa, si trova che per i sali di acidi polibasici in generale si ha un notevole abbassamento di solubilità (rispetto a quella che si avrebbe in acqua pura) mentre per gli acidi monobasici si ha innalzamento della solubilità o soltanto debole abbassamento. In altre parole si ha la seguente legge: gli acidi monobasici si differenziano dai polibasici per il fatto che i loro sali alcalini e di ammonio sono in grado di combinarsi (tanto in presenza che in assenza di acqua) con l'ammoniaca. Fanno eccezione l'acido fluoridrico, l'acido iodico e l'acido periodico che si manifestano polibasici; vi sono poi acidi, come il persolforico e il ditionico, che nei riguardi della regola enunciata si comportano come monobasici. Però questi differiscono costituzionalmente dagli altri in quanto sono formati da due metà (−SO4H), (−SO3 H), ciascuna delle quali è di per sé un gruppo acido monobasico; tali acidi vengono chiamati da Weitz e Stamm acidi polimonobasici. La serie degli anioni disposti secondo la crescente tendenza a formare aminoniacati è la seguente:
Per gli acidi inorganici gli stessi autori hanno enunciato anche la regola generale: i sali di bario degli acidi monobasici sono solubili in acqua, mentre quelli degli acidi polibasici sono difficilmente solubili o quasi affatto insolubili. Questa regola vale soltanto quando da un lato si considerino polibasici gli acidi fluoridrico, iodico e periodico, e d'altro lato si considerino monobasici gli acidi polimonobasici.
Altro criterio distintivo conosciuto da tempo per gli ioni mono o polivalenti è quello del potere precipitante sui colloidi; si è osservato che gli ioni polivalenti agiscono maggiormente (cioè bastano concentrazioni molto più piccole) che non gli ioni monovalenti. Anche qui gli acidi poli-monovalenti occupano una posizione speciale; però tra acidi mono- e polibasici non si ha col criterio della flocculazione un limite così netto come con i sali di bario o col comportamento rispetto all'ammoniaca.
Forza o energia degli acidi. - Essenziale per la natura degli acidi è il concetto della loro forza (affinità o avidità), e da lungo tempo si è parlato di acidi forti o deboli e si è posta la questione della forza rispettiva di due acidi. Anche le più semplici reazioni comuni ai varî acidi, come l'attacco di un metallo, di un carbonato, di un idrato, permettono di vedere che a concentrazioni equivalenti i varî acidi si comportano diversamente, cioè che tali reazioni avvengono con maggiore o minore rapidità a seconda dell'acido considerato.
Thomsen (1854) è stato il primo ad eseguire ricerche atte a stabilire numericamente tale concetto, basandosi sulla ripartizione di una base fra due acidi, in modo che tutte e tre le sostanze fossero presenti in quantità equivalenti. Egli determinò le tonalità termiche ottenute scindendo solfato sodico con l'acido in esame, e il sale sodico dell'acido con acido solforico. Assumendo l'acido nitrico uguale a 100, egli trovò p. es. le avidità relative:
Ostwald (1878) mostrò che invece delle tonalità termiche potevano servire allo stesso scopo determinazioni delle variazioni di volume o del potere rifrangente specifico delle soluzioni, e riuscì a trovare risultati analoghi, come mostrano i numeri riportati nella colonna IX della tabella seguente.
Sono state studiate anche molte reazioni che vengono catalizzate dalla presenza di acidi, e si sono ottenuti i risultati relativi contenuti nella tabella ora detta. Così:
1. l'inversione del saccarosio eseguita a concentrazione molecolare eguale e alla stessa temperatura (colonna I);
2. quasi tutti i processi di ossidazione e riduzione sono favoriti dall'aggiunta di acido: es. di questo sono la riduzione di HBrO3 con HJ (colonna II) e di H2CrO4 con HJ (colonna III), (Ostwald, 1888);
3. nella colonna IV si hanno i valori in minuti ottenuti facendo avvenire la reazione 2NH3 + 3Br2 = 6HBr + N2 in presenza dei sali d'ammonio degli acidi considerati, anziché di ammoniaca (Reich, 1888); si ha una scissione tanto più lenta quanto più è forte l'acido;
4. trasformazione, a 65°, della acetammide in acetato di ammonio (colonna V);
5. catalisi dell'acetato di metile (colonna VI);
6. capacità di soluzione dell'ossalato di calcio (colonna VII);
7. trasformazione del pirofosfito di sodio in fosfito di sodio (Amat), (colonna VIII).
Come facilmente si vede, anche se si hanno differenze tra i valori dei rapporti relativi in una stessa colonna, l'ordine in cui vengono a trovarsi i singoli acidi rispetto alla loro forza è quasi sempre lo stesso. Non può quindi restare dubbio che gli acidi entrino in tutte le reazioni con un proprio valore della affinità indipendente dalla natura del processo.
La determinazione di rapporti quantitativi esatti offre però grandi difficoltà poiché ciascun valore ottenuto è legato a particolari condizioni di esperienza e i coefficienti numerici che si potrebbero ottenere variano moltissimo con la concentrazione, della quale è difficile tenere conto quando p. es. essa varî durante l'esperienza.
Tutto questo viene a mettersi in una luce nuova quando si applichi la teoria della dissociazione elettrolitica, in quanto che le reazioni caratteristiche degli acidi che si trovano in soluzione, reazioni che sono comuni a tutti gli acidi e che solo dagli acidi possono venir presentate, vengono ricondotte al fatto che tale classe di corpi nella dissociazione fornisce una uguale specie di ioni, e precisamente l'ione idrogeno, H., al quale sono da attribuirsi le azioni chimiche proprie degli acidi. Se ora confrontiamo soluzioni equivalenti di diversi acidi, ciascuna di queste eserciterà tanto più energicamente l'azione propria degli acidi, quanto più sarà ricca di ioni idrogeno. In queste condizioni quindi il grado della dissociazione elettrolitica determina la forza degli acidi. Il grado di dissociazione a di un acido, risulta, a una determinata concentrazione alla quale corrisponda la conducibilità molecolare Λ,
La conducibilità Λ∞ a diluizione grandissima risulta pressoché uguale per i diversi acidi, e quindi la conducibilità degli acidi a concentrazioni equivalenti corrisponde, almeno approssimativamente, al grado della dissociazione elettrolitica o alla loro forza. Questo parallelismo messo in evidenza da Arrhenius e Ostwald (1885) permette anche un confronto delle conducibilità molecolari, relative ad alcuni acidi, con i risultati riportati precedentemente (colonna X della tabella).
Il grado di dissociazione varia però con la concentrazione, e precisamente aumenta quando la concentrazione diminuisce (per quanto in modo diverso per i diversi acidi), ed al limite, cioè a diluizione grandissima, soluzioni equivalenti dei più diversi acidi contengono la stessa quantità di ioni idrogeno, cioè sono della stessa forza. Conviene quindi riferirsi alla equazione fondamentale di equilibrio derivata dalla legge dell'azione di massa applicata al fenomeno della dissociazione: dato un acido monobasico HA che sia in soluzione parzialmente dissociato nei suoi due ioni H• ed A′, si ha la relazione:
E per la legge della elettro-neutralità si ha:
Se ora supponiamo che 1 gr.-molecola di acido sia disciolto in v litri, e che α sia il grado di dissociazione, cioé che vi siano 1 − α molecole indissociate, si ha:
In questa espressione (legge di diluizione di Ostwald) la costante k (costante dl'dissociazione) dovrebbe essere indipendente dalla diluizione v e dipendere dalla temperatura; per gli elettroliti deboli in soluzione acquosa si sono ottenuti ottimi risultati, come mostra la tabella seguente che si riferisce all'acido acetico a 25°:
È noto però che quasi tutti gli acidi inorganici più comuni (ad eccezione di quelli, come H2S, H3BO3, H2CO3, H2SO3, che sono deboli), allorché si calcola la costante a varie diluizioni, forniscono valori che raramente sono dello stesso ordine di grandezza. Così per l'acido cloridrico si avrebbe
Come è noto, sono state proposte per gli elettroliti forti formule empiriche, come quella di Rudolphi-van't Hoff
questa dà per l'acido cloridrico a 18°:
cioè si avrebbe una buona concordanza.
È da ricordare che il comportamento sopraddetto viene mostrato dagli elettroliti forti anche deducendo α dalla pressione osmotica o dalle grandezze ad essa proporzionali (abbassamento del punto di congelamento, ecc.):
Infatti per soluzioni diluite i valori di α dedotti nei due modi sono assai vicini. Nella formula ora scritta P0 indica la pressione osmotica (o le grandezze ad essa proporzionali) quale si dedurrebbe se non si avesse dissociazione, P il valore osservato, n il numero di ioni a cui una molecola dà origine nel caso della dissociazione completa.
Non è qui il caso di discutere le anomalie presentate dagli elettroliti forti; solo rammentiamo che secondo C. Drucker (Zeitschr. f. phys. Ch., XCVI, 1920, p. 381) conviene osservare che nell'intervallo di concentrazione avente un limite superiore di circa 0,02-0,01 mol/litro, e che si estende illimitato alle alte diluizioni, molti elettroliti forti, che sono indubbiamente anomali ad alte concentrazioni, seguono spesso la legge di Ostwald. Così accade per parecchi acidi la cui costante di dissociazione non è inferiore a 0, 1 (p. es.: per l'acido iodico si ha k = 0,2) e che dovrebbero esser considerati come forti elettroliti.
Ad ogni modo per le concentrazioni piuttosto elevate si è ricorso ad altre ipotesi che verranno discusse a proposito delle soluzioni di elettroliti (v. soluzione).
Prima di parlare dettagliatamente della costante di dissociazione è opportuno mettere in evidenza qualche deduzione che, in relazione alla forza degli acidi, si può trarre studiando le curve conduttometriche di neutralizzazione degli acidi. Dalla forma delle curve stesse si possono trarre deduzioni sulla forza relativa di acidi monobasici e sulla forza relativa delle varie dissociazioni graduali per un acido polibasico. Miolati (v. p. es.: Gazz. chim. it., XXXI, 1901, I, p. 93) ha considerato i varî casi per acidi forti e deboli, e per gli acidi bibasici ha osservato che si può immaginare che si comportino come l'unione: 1) di due acidi monobasici forti (che si potrebbero chiamare acidi forti); 2) di due acidi monobasici deboli (che si possono chiamare acidi deboli); 3) di un acido forte e di uno debole (che si potrebbero chiamare acidi misti). A. Thiel e H. Roemer (Zeitschr. f. phys. Ch., LXIII, 1908, p. 711) hanno ritenuto che si debbano considerare a parte gli acidi di media forza, i quali presentano nella curva conduttometrica di neutralizzazione un minimo prima del punto neutro. Quasi contemporaneamente Bruni e collaboratori (Zeitschr. f. Elektroch., XIV, 1908, pp. 701, 729, 823) hanno fatto numerose osservazioni al riguardo, discutendo e calcolando il minimo ora detto, minimo che era stato constatato e spiegato da Mazzucchelli (Rend. Società chim. di Roma, III, 1905, p. 80) in altro caso. Possiamo illustrare tali fenomeni servendoci del primo diagramma: mentre per gli acidi forti la curva della titolazione conduttometrica con NaOH possiede un minimo al punto neutro (punto B del tratto A B C della curva I), e per gli acidi deboli la curva stessa sale dall'inizio e al punto neutro mostra soltanto un cambiamento di direzione (punto C del tratto B C D della curva I), per gli acidi di media forza la curva discende fino ad un minimo e sale poi regolarmente fino al punto neutro (punto B della curva II) dove assume un andamento più ripido. Anche le curve di spostamento si prestano a considerazioni dello stesso ordine.
È quindi possibile dedurre qualitativamente, per confronto con acidi di forza conosciuta, la forza dell'acido in parola, e si è cercato, come accenneremo in seguito, di dedurre anche quantitativamente dalla posizione del minimo o dalla forma della curva, la costante di dissociazione dell'acido.
Quando si tratti di acidi polibasici, ciascun tratto di curva corrisponde alla neutralizzazione di una delle basicità, e quindi sulla scorta di quanto sopra è stato detto, si può dall'aspetto della curva nei varî punti dedurre qualitativamente, e a volte quantitativamente, l'energia dell'acido nella sua dissociazione graduale, purché le varie costanti di queste dissociazioni k1, k2, ecc. siano sufficientemente diverse fra loro.
La costante di dissociazione degli acidi. - La costante di dissociazione ha per i diversi acidi valori che oscillano entro larghi limiti, e può essere assai piccola, tanto da essere in certi casi difficilmente misurabile; riportiamo qui una tabella riguardante gli acidi più comuni:
Naturalmente nella tabella non figurano gli acidi forti per i quali, come si è detto, la teoria classica non permette il calcolo della costante di dissociazione.
Per quanto riguarda la determinazione di tale costante per gli acidi di media forza e per gli acidi deboli riassumiamo qui qualche punto più importante.
Alcuni metodi di determinazione si fondano sullo studio delle soluzioni degli acidi, altri su quello delle soluzioni dei sali degli acidi stessi.
Abbiamo già visto che per mezzo della formula (3) è possibile determinare k allorché si può ricavare il valore di α da misure di conducibilità, di pressione osmotica, e di grandezze ad essa proporzionali. D'altra parte ricordando la (2), si ricava dalla (1):
Ma [H A] = c − [H•], essendo c la concentrazione totale dell'acido e quindi otteniamo:
che, se l'acido è debole, diventa
Si può quindi, determinando la concentrazione degli ioni idrogeno nella soluzione, dedurre il valore di k.
In alcuni casi particolari si riesce anche a determinare [H A] per esempio studiando il coefficiente di ripartizione tra due solventi.
Anche lo studio delle soluzioni dei sali si presta a calcolare la costante, determinando il grado di idrolisi p. es. del sale di sodio dell'acido debole in esame; il grado di idrolisi x rimane in questo caso definito dalla semplice relazione
e poiché la costante di idrolisi è definita dalla relazione
dove kH2O) è la costante di dissociazione dell'acqua, ka quella dell'acido, avremo:
Per calcolare x si può determinare la concentrazione degli ioni ossidrili e si può anche servirsi di una determinazione di concentrazione di ioni idrogeno, in quanto che si ha:
dimodoché sostituendo nella (4) risulta:
Anche qui è possibile ottenere la costante di dissociazione determinando la quantità, separata idroliticamente, dell'acido debole (ad esempio col metodo della ripartizione tra due solventi), o servendosi della determinazione della concentrazione osmotica (quando l'idrolisi sia notevole); si può però anche servirsi di determinazioni di solubilità, deducendo la quantità totale di sale non idrolizzato. Si può anche considerare l'idrolisi di un sale di un acido debole con una base debole, e in generale per determinare l'idrolisi si può ricorrere a proprietà fisiche svariatissime.
Thiel e Roemer (loco cit.) da un lato e De Rohden (Journ. Chim. Phys., XIV, p. 261) dall'altro, hanno cercato di dedurre quantitativamente, dalle curve conduttometriche, la forza (cioè la costante di dissociazione) di un acido, neutralizzandolo con soda: si tratta di metodi grafici basati o sulla posizione del minimo della curva (Thiel), oppure considerando la tangente all'origine della curva come corrispondente al sale non idrolizzato, e l'asintoto come la conducibilità della base in eccesso (De Rohden/, in quest'ultimo caso l'ascissa del punto d'intersezione delle due rette rappresenta la quantità di base necessaria per la neutralizzazione esatta dell'acido.
Calcolo delle costanti di dissociazione per gli acidi polibasici. - È stato messo in evidenza (Ostwald) che la dissociazione degli acidi polibasici avviene gradualmente, cioè prima le molecole si scindono in ioni monovalenti e per ulteriori diluizioni si dissociano poi parzialmente in ioni bi- e polivalenti; considerando un acido H2A, possiamo scrivere le equazioni:
Per un gran numero di acidi bibasici la seconda dissociazione compare ad una diluizione grandissima, cioè k2 è molto piccola; in questi casi l'acido può venire considerato come monobasico e quindi si può calcolare k1 dalla conducibilità come per gli acidi monobasici. Se però k2 possiede un valore abbastanza grande, allora per mezzo della formula semplice si ottiene k1 soltanto alle alte concentrazioni; diluendo poi e ricorrendo alle misure di conducibilità, si può, conoscendo k1, calcolare k2. Naturalmente se k2 è molto grande allora non si può trascurare il suo valore neanche alle alte concentrazioni. Un'altra via per determinare k2 si ha nella misura della concentrazione degli H• del sale acido di sodio, e con questo mezzo si possono determinare anche valori di k2 assai piccoli.
Se il sale acido ha la formula NaHA, si possono avere in s0luzione diluita, prescindendo dai complessi, le seguenti sostanze:
e il problema è abbastanza difficile da risolvere; però se si suppone che i sali siano completamente dissociati e se le costanti sono abbastanza piccole, si ha con buona approssimazione: k1 • k2 = [H•]2.
Determinando quindi la concentrazione degli ioni idrogeno e conoscendo una delle costanti si può dedurre l'altra.
Dalla idrolisi dei sali di base forte con acidi deboli si può dedurre la seconda o la terza costante di dissociazione di un acido polibasico; tra i metodi che possono usarsi vi sono quelli basati sulla determinazione della [H•], impiegando soluzioni di sali puri, e a queste soluzioni aggiungendo gradualmente acido cloridrico. Per esempio E. Blanc (Journ. Chim. Phys., XVIII, 1920, p. 28) per l'acido fosforico ottiene partendo dal sale Na3PO4 e aggiungendo HCl, la curva III del primo diagramma; determinando la H• nei punti A, B, deduce il grado di idrolisi e da questo la k2 e la k3.
Si è insistito soprattutto sui metodi per i quali è sufficiente la determinazione della H• perché si tratta proprio dell'ione caratteristico degli acidi, ed è opportuno considerare un po' più dettagliatamente i metodi che possediamo per eseguire la determinazione stessa, tanto più che questa ha assunto un'importanza notevole anche al difuori della misura della costante di dissociazione degli acidi.
Determinazione della concentrazione degli ioni idrogeno. - 1) Metodo catalitico. - Mediante la misura delle velocità di alcune reazioni che vengono catalizzate dagli ioni idrogeno, si può determinare la concentrazione di questi ultimi. Citiamo qualche esempio:
a) Inversione del saccarosio:
Si dosa lo zucchero invertito polarimetricamente o ponderalmente.
b) Decomposizione dell'acetato di metile o di etile:
Si dosa volumetricamente la Vuantità di acido acetico formato.
c) Decomposizione del diazoacetato di etile:
Si misura gas-volumetricamente l'azoto sviluppato.
Queste reazioni sono tutte monomolecolari e quindi la costante C di velocità di reazione è data da:
dove α è la concentrazione iniziale della sostanza che si trasforma (p. es. acetato di metile), z è la quantità di sostanza scissa al tempo t (di solito espresso in minuti), z1 e z2 indicano i valori di z ai tempi t1 e t2. È possibile quindi determinare la costante seguendo l'andamento della reazione col tempo; però la presenza di sali neutri non è senza azione.
2) Metodo elettrometrico. - Il metodo principale e più generale di determinazione della concentrazione degli ioni idrogeno consiste nella misura della forza elettro-motrice di due soluzioni, aventi diverse concentrazioni in ioni idrogeno. Schematicamente la pila di concentrazione usata è composta come segue:
1. elettrodo a idrogeno (lamina di platino platinato saturata con idrogeno);
2. soluzione acida a concentrazione conosciuta in ioni idrogeno [H•]1;
3. soluzione acida a concentrazione sconosciuta di ioni idrogeno [H•]1;
4. elettrodo a idrogeno rigorogamente identico al precedente.
Se la soluzione [H•]2 ha la concentrazione 1 (normale), se E è la forza elettromotrice e T è la temperatura assoluta, la formula di Nernst in questo caso può scriversi:
da cui:
cioè la misura della forza elettromotrice di una pila di concentrazione dà a quella temperatura la concentrazione in ioni idrogeno. Data però la difficoltà di ottenere l'elettrodo normale a idrogeno, si è scelto l'elettrodo a calomelano, formato da mercurio e calomelano in presenza di una soluzione di cloruro di potassio satura, normale o decinormale, di cui è conosciuta la forza elettromotrice. La pila di concentrazione viene allora ad essere così costituita:
In questo caso la formula che ci dà
resterà semplicemente modificata nel senso di sottrarre dalla misura sperimentale E della f. e. m. totale, la f. e. m. EC dell'elettrodo a calomelano; si avrà cioè:
la forza elettromotrice viene normalmente misurata col metodo classico di opposizione o di compensazione di Poggendorff, servendosi di uria pila campione Weston, tna le modificazioni di dettaglio proposte dai varî sperimentatori sono assai numerose. Sperimentalmente bisogna poi tener conto delle correzioni da apportare e soprattutto della temperatura di esperienza e della pressione parziale dell'idrogeno sul liquido.
In quanto alle cause d'errore, esse possono molte volte venire eliminate eseguendo misure con soluzioni a contenuto in [H•] esattamente conosciuto, ma a volte la causa risiede nella soluzione che si esamina: infatti alcuni acidi (come H2S, HCN) rappresentano veleni per la superficie platinata che deve saturarsi di idrogeno, ed altre sostanze agiscono invece come attivatori della superficie stessa influenzando il grado di fissazione dell'idrogeno: altre sostanze che agiscono come ossidanti vengono ridotte, impedendo il raggiungimento della saturazione all'elettrodo. Inoltre bisogna tener conto della esistenza del così detto potenza ale di diffusione a contatto di due liquidi a diversa concentrazione, e infine del fatto che alcune soluzioni, conterenti ad esempio bicarbonati, acido carbonico, vengono modificate per gorgogliamento dell'idrogeno.
Un certo numero degli inconvenienti ora indicati può venire evitato facendo uso dell'elettrodo a chinidrone, ottenuto aggiungendo al liquido in esame una piccola quantità di chinidrone e immergendovi un elettrodo di platino a superficie brillante. Anche in questo caso è nota la differenza di potenziale tra l'elettrodo a chinidrone e quello a idrogeno immerso nella stessa soluzione. Sono anche stati proposti elettrodi a idiochinone e a chino-chinidrone.
3) Metodo colorimetrico. - Si chiama anche metodo degli indicatori, essendo basato sull'uso di indicatori che vengono aggiunti alle soluzioni in esame. Tale metodo, nel caso che si desideri sufficiente precisione, consiste: nella preparazione di soluzioni aventi una concentrazione in ioni idrogeno conosciuta e determinata col metodo elettrometrico nella scelta di materie coloranti appropriate, nel combinare, per mescolanza dei due componenti nominati, una gamma di colori corrispondenti ciascuno a una data concentrazione di ioni idrogeno, e finalmente nel confrontare queste colorazioni-campione col colore della soluzione sconosciuta. Per avere delle soluzioni che si prestino a campionature si ricorre a tamponi o stabilizzatori (in generale coppie acido-sale) caratterizzati dal fatto che la concentrazione in H• di tali soluzioni non varia sensibilmente anche per piccole aggiunte ulteriori di ioni H• od OH′. Di queste soluzioni è stato proposto un numero assai grande, ed operando con soluzioni preparate di recente e dosando esattamente le quantità di reattivo si possono ottenere risultati ahbastanza buoni, specialmente se l'apprezzamento del tono di colore si fa mediante colorimetri.
Le cause d'errore sono rappresentate soprattutto dalla presenza di sali la cui influenza non è stata ancora completamente studiata, dato il notevole numero di indicatori che si possono adoperare, ma come metodo ausiliario e di prima approssimazione può riuscire utilissimo.
In complesso ciascuno dei metodi per la determinazione della concentrazione degli ioni idrogeno può in certi casi offrire vantaggi sugli altri; il risultato sarà naturalmente tanto più vicino al vero quanto più sarà stato possibile applicare diversi metodi ed ottenere risultati concordanti.
Modi di esprimere l'acidità reale di una soluzione. - Se consideriamo una soluzione di un acido nell'acqua, occorre tener presente che oltre alle molecole indissociate dell'acido, ed agli ioni che derivano dalla dissociazione di questo, sono presenti nella soluzione anche ioni H• ed OH′ provenienti dalla piccola dissociazione dell'acqua secondo lo schema:
ed assumendo [H•] × [OH′] = k = 1 × 10-14 si ha:
Fino a che la soluzione contiene ugual numero di ioni H• ed OH′ essa sarà neutra, ed è acida se predominano gli ioni H•, cioè se si ha:
Gli ioni idrogeno presenti in eccesso nella soluzione determinano l'acidità attuale o reale di questa, mentre l'idrogeno legato nelle molecole inattive (ma suscettibili di dissociarsi fornendo ioni idrogeno) determina l'acidità latente, virtuale, potenziale o di riserva. La totalità poi degli ioni idiogeno, sia liberi che combinati in molecole indissociate, che si trovano nella soluzione determina l'acidità totale; nelle soluzioni estremamente diluite l'acidità totale si confonde con l'acidità attuale.
Specialmente dopo i lavori di Sörensen (1909), l'acidità attuale è stata messa in evidenza come assai importante ed utile a conoscersi in un gran numero di casi, e nelle misure, che possiamo definire ionimetriche, di concentrazione degli ioni idrogeno, ha una certa importanza anche il servirsi di unità comode ad usarsi; accenneremo quindi alle varie proposte che sono state fatte.
La notazione di Sörensen consiste nell'assumere come misura della concentrazione degli ioni idrogeno l'esponente cambiato di segno, o anche preso in valore assoluto, della potenza di 10 che esprime la concentrazione stessa; questo esponente di idrogeno o idrogènio denotato con PH, od anche (per comodità tipografica) con pH, assume valori numerici da 0 a 14 e la soluzione è acida quando PH 〈 7. Questa notazione offre qualche inconveniente, soprattutto perché il PH varia in senso inverso a quello della concentrazione in ioni idrogeno, cioè quanto più il PH è piccolo tanto più è acida la soluzione; inoltre si richiede grande attenzione nella valutazione della concentrazione, poiché una variazione, p. es. da 4 a 4,3 nel valore del PH, porta una diminuizione del 50% nella concentrazione (da 1 × 10-4 a 0,5 × 10-4) e se si tratta di acidi deboli piccole variazioni del PH portano forti variazioni delìa concentrazione.
Per ovviare in parte a questi inconvenienti Giribaldo (1925) ha proposto di rappresentare la reazione di una soluzione per mezzo del rapporto
e di prendere il logaritmo di questo, che chiameremo, con Kopaczewski, PR a corrispondenza tra [H•], PH e PR può dedursi dal seguente specchietto:
Con la notazione di Giribaldo l'acidità è indicata dal segno positivo, e la neutralità dallo 0, e di più si ha una netta distinzione dall'alcalinità, poiché volendo ricorrere a una rappresentazione grafica, il passaggio dalla acidità all'alcalinità è caratterizzato dalla inversione del segno delle ordinate, cioè la curva viene a tagliare l'asse delle ascisse.
Ad es. per l'acido cloridrico abbiamo:
Contro l'adozione del PR è stata mossa qualche obbiezione, ma altri (A. F. Richter) hanno proposto invece di introdurre per una soluzione tre grandezze che possiamo riferire ai concetti già esposti di acidità attuale, potenziale di normalità; si avrebbero così tre coefficienti che Richter indica con ra, rp, ed r0.
Infine accenniamo che E. T. Wherry (1927) ha introdotto il metodo aritmetico al posto del logaritmico; per avere il valore corrispondente al grado di acidità reale, cioè l'acidità attiva, viene assunto come unità il contenuto in ioni idrogeno (idrioni) di un litro di acqua = 0,0000001 gr. Si calcola poi logaritmicamente la quantità di queste unità che corrisponde al valore del PH, e da numero totale di idrioni così calcolato viene detratto il contenuto in ioni ossidrili.
Senza entrare in particolari, diciamo che questo metodo offre varî vantaggi, non ultimo questo, che una soluzione la quale possieda ad esempio l'acidità attiva 500 contiene 25 volte l'acido attivo di una soluzione che abbia l'acidità attiva 20.
Teorie di Werner e di Hantzsch sulla costituzione degli acidi. - Come abbiamo già visto, gli acidi possono aversi per unione dei cosiddetti ossidi acidi (anidridi) con acqua. Così p. es. si ha: SO3+ H2O = H2SO4. Considerando ora questo composto come capace di fornire in soluzione acquosa due ioni idrogeno H• ed il residuo SO4″, si può supporre che lo zolfo funzioni da atomo centrale e che tenga legati direttamente 4 atomi di ossigeno nella prima sfera (secondo la teoria di coordinazione di Werner) e indirettamente 2 atomi di idrogeno (ionogeni): si viene con questo ad attribuire allo zolfo nell'acido solforico il numero di coordinazione 4, e si può supporre che nella equazione soprascritta l'ossigeno dell'acqua venga ad unirsi per mezzo di una valenza secondaria all'atomo di zolfo centrale, mentre le valenze principali dell'ossigeno stesso agirebbero verso l'esterno come valenze dell'ione complesso SO4:
Si può anche stabilire una analogia tra gli acidi e le combinazioni metallo-ammoniacali, considerando p. es. i composti del fosforo:
Come si vede, l'assunzione di ossigeno passando da un composto all'altro avviene in modo da mantenere il numero di coordinazione 4 del fosforo, cioè ogni atomo di ossigeno che entra fa assumere carattere ionogeno a un atomo di idrogeno e l'ossidazione è finita quando tutti gli atomi di idrogeno sono diventati ionogeni.
Passando ora a considerare la ionizzazione, si osserva che gli atomi di idrogeno degli acidi hanno la capacità di addizionare molecole d'acqua, e si formano così combinazioni del tipo dei sali di ossonio, alle quali nel caso più semplice spetta la formula XH . OH2; ammettendo che l'idrogeno degli acidi addizioni l'ossidrile dell'acqua, otterremo ioni acidi idrati:
che potremo supporre anche originati dalla dissociazione del sale di ossonio XH • OH2:
Questa concezione permette di riguardare gli idracidi alogenici da un nuovo punto di vista, in quanto che nelle soluzioni acquose si viene ad avere: ClH + (OH′ + H•) → ClH • OH′ + H•. L'ione idrogeno non proviene dunque dall'acido, ma dall'acqua, e quindi gli idracidi non sono generalmente acidi, ma anidro acidi, che dànno origine ad acidi veri (aquoacidi) per addizione di acqua. Sono questi idrati che noi possiamo paragonare agli acidi ossigenati [SO4] H2, [Pt(OH)6]H2, [PtCl4(OH)2], H2 ecc., mentre gli idracidi alogenici suddetti si debbono ritenere corrispondenti alle anidridi di tali acidi (anidroacidi) quali SO3, Pt (OH)4, PtCl4, ecc. come risulta dalle seguenti equazioni di formazione dei singoli acidi veri:
che, dal punto di vista della teoria della dissociazione elettrolitica, assumono la forma:
Bisogna dunque fare una distinzione netta tra anidroacidi e aquoacidi, intendendo per anidroacido "quella combinazione che con acqua dà un idrato il quale in soluzione acquosa dà ioni idrogeno"; dal punto di vista elettrochimico gli anidroacidi sono "combinazioni che in soluzione acquosa legano gli ioni ossidrili dell'acqua e quindi spostano l'equilibrio di dissociazione dell'acqua fino ad un valore limite, caratteristico, della concentrazione degli ioni idrogeno". Un aquoacido o semplicemente un acido si chiama un idrato che in soluzione acquosa dà ioni idrogeno. A seconda della natura dell'atomo centrale degli anidroacidi si distinguono: 1°. idracidi (idracidi alogeni) idrogeno solforato, acido azotidrico, ecc.; 2°. ossidi, che agiscono come anidroacidi, i quali in soluzione stanno in equilibrio con i loro idrati o con i loro ioni come l'anidride carbonica, l'anidride solforosa, ecc.:
È possibile che anche gli acidi ossigenati come H2SO4, HNO3, ecc. funzionino da anidroacidi:
Successivamente, venne osservato (Hantzsch) che certi acidi forti, come l'acido nitrico (HNO3) e gli idracidi degli alogeni (es. HCl), non si comportano quasi affatto come acidi quando si trovino nello stato non ionizzato, cioè allo stato puro (anidro), o disciolti in solventi nei quali essi non si dissociano elettroliticamente; altri acidi invece, come il solforico, mantengono il loro carattere acido, ed anzi reagiscono meglio, quando si trovino allo stato concentrato non ionizzato.
Mentre questi ultimi acidi non manifestano variazioni nelle proprietà ottiche, sia nel passaggio dallo stato non dissociato a quello ionizzato, sia nella formazione di sali, gli altri mostrano variazioni nell'assorbimento della luce ultravioletta; da questo fatto Hantzsch dedusse che nel passaggio dallo stato non ionizzato a quello ionizzato doveva aversi un cambiamento di struttura, e distinse due tipi di acidi:
1. Pseudo-acidi con l'idrogeno legato non ionogenicamente;
2. Acidi veri con l'idrogeno legato ionogenicamente. Ad es.:
Nel caso degli pseudo-acidi l'idrogeno sarebbe legato ad un ossidrile, mentre negli acidi veri sarebbe legato ionogenicamente al complesso nella seconda sfera. Anche gli idracidi degli alogeni HCl, HBr, ecc. sono pseudo-acidi e otticamente diversi dai loro sali; qui però non si può avere una trasformazione in isomeri, ma, conformemente alla teoria di Werner, si ha la trasformazione in acido vero per addizione di acqua cioè per formazione di composti analoghi ai sali, potendo l'acqua considerarsi come acido e come base.
Ancora più recentemente (Berichte d. deutsch. Chem. Ges., LX, 1927, p. 1933) Hantzsch esclude la possibilità che si abbiano "acidi veri" aventi il legame ionogeno supposto dalla teoria di Werner, e ammette invece che tutti gli acidi siano disciolti parzialmente (quelli forti però quasi completamente, già a piccola diluizione) come sali di idronio e quindi quasi egualmente dissociati. Effettivamente però gli acidi più forti in soluzione acquosa sono molto diversamente forti in solventi non ionizzanti; e quindi la loro acidità vien determinata su basi chimiche per mezzo della loro diversa tendenza a formare sali, e precisamente dagli acidi più forti si ha la serie decrescente:
Inoltre dopo le ricerche sugli idracidi alogenici che si dimostrarono pseudo-acidi, e per i quali si dovette emettere la ipotesi che il "solvente" acqua reagisse come una "anidride basica" come l'ammoniaca (cioè che per addizione all'idrogeno acido si formassero sali di idrossonio X [H3O], analoghi ai sali d'ammonio X [H4N]), apparve sempre più probabile che tutti gli altri acidi fossero pseudoacidi contenenti ossidrili, e che quindi in generale sia da mettere in dubbio l'esistenza di acidi veri aventi le formule complesse di Werner. Così è stato dimostrato che molti acidi, ed anche i sali acidi, non sono tali allo stato solido, ma diventano acidi in soluzione acquosa.
Considerando sistematicamente gli acidi ossigenati monobasici, che per un atomo di idrogeno ionizzabile contengono un numero di atomi di ossigeno da 1 a 4, e si seguono disposti secondo la loro forza crescente nell'ordine XOH, XO2H, XO3H e XO4H, si trova che sono pseudo-acidi, e lo stesso vale per l'acido ipofosforoso HPO(OH), per l'acido selenioso OSe(OH)2 e per il fosforoso HPO(OH)2. Alcuni degli acidi appartenenti ai tipi descritti sono anche fortemente associati, come l'acido iodico HJO3, e l'acido metafosforico HPO3.
Si ha cioè, secondo Hantzsch: "non esistono in generale atomi di idrogeno legati ionogenicamente, nei quali l'idrogeno come tale avrebbe funzione analoga a quella di un catione metallico: soltanto per addizione di acqua, alcool, ecc. si hanno cationi del tipo dell'ione idrossonio".
Esclusa così la teoria classica della formazione di ioni idrogeno, in soluzione acquosa, dagli acidi, spariva la distinzione tra acidi veri e pseudo-acidi, e quindi in base ai fatti sopraesposti tali denominazioni debbono venire abolite, secondo Hantzsch, e gli acidi restano definiti come segue: "tutti gli acidi ossigenati sono combinazioni ossidrilate di atomi o complessi atomici negativi, nei quali l'idrogeno ossidrilico può venire sostituito da metalli più positivi con formazione di sali veri; essi possono anche addizionare sostanze non sature, come ammoniaca, combinazioni ossigenate apparentemente neutre ed anche solventi come l'acqua (e per gli acidi più forti anche alcool ed etere) formando sali di onio (Oniumsalzen)". Od anche: "Tutti gli acidi omogenei (idracidi alogenici, acidi ossigenati e tioacidi) sono, allo stato monomolecolare, non elettroliti; però hanno tendenza, crescente con la loro forza, alla formazione di sali, cioè di elettroliti: 1) per sostituzione dell'idrogeno con formazione di sali metallici; 2) per addizione all'idrogeno di composti non saturi, con formazioni di sali di onio".
Per considerare ancora qualche lato della questione della costituzione degli acidi, è da notare che le comuni formule di struttura degli acidi rimangono inalterate soltanto per ClH, BrH, JH, perché s0ltanto questi negli stati gassoso e liquido non sono apprezzabilmente associati, né lo sono in tutti i mezzi non ossigenati. Invece tutti gli acidi ossigenati sono notoriamente associati, il che è in relazione col fatto che essi possono considerarsi come derivati dell'acqua (che è fortemente associata); essi rimangono associati, a sufficiente concentrazione, anche in solventi non contenenti ossigeno, e sono allora, come l'acido fluoridrico, bimolecolari.
La conducibilità degli acidi associati può ricevere una spiegazione dal fatto che allo stato liquido l'acido nitrico associato bimolecolarmente si trasforma, per trasposizione di un atomo di idrogeno, in nitrato di nitronio, cioè l'acido nitrico omogeneo è in realtà un liquido pseudo-omogeneo, perché nell'acido nitrico bimolecolare, non conduttore di elettricità, è contenuto come elettrolito dissociato il nitrato di nitronio, corrispondente alla formula:
il che è analogo a quanto avviene per l'acqua, che allo stato bimolecolare, per trasposizione di un atomo di idrogeno, dà idrato di idrossonio, a cui è dovuta la debole conducibilità dell'acqua:
Generalmente parlando, gli acidi omogenei assoluti conducono l'elettricità soltanto quando dallo stato associato (almeno dimolecolare) passano allo stato di elettroliti, e quindi sono associati tutti gli acidi che allo stato omogeneo sono elettroliti.
Questi elettroliti dissociati rappresentano sali di acilio secondo lo schema:
p. es.: l'acido solforico omogeneo che in sé sarebbe un non-elettrolito associato, in stato dissociato contiene solfato acido di sulfurilio:
Anche l'acido fluoridrico liquido omogeneo contiene il fluoruro di fluoronio:
Praticamente si ha poi che HCl, HBr, HJ hanno allo stato liquido una conducibilità piccolissima e non sono elettroliti, mentre l'acido fluoridrico ha allo stato omogeneo una conducibilità notevolmente maggiore; allo stato di soluzione acquosa i tre acidi nominati sopra presentano una conducibilità elevata (per formazione di sale di idrossonio) mentre l'acido fluoridrico è un cattivo elettrolita.
Dal punto di vista elettrochimico Hantzsch enuncia poi il principio: "elettroliti sono soltanto i sali, non gli acidi".
In relazione alle vedute di Hantzsch ora esposte, è da osservare che, nella ediz. 1923 del trattato di Werner, Pfeiffer fa notare (p. 254, nota) che la dissociazionc dei sali di ossonio ammessa da Werner
può anche supporsi avvenire, analogamente a quella dei sali di ammonio:
dimodoché la teoria degli acidi di Werner indica una delle possibilità secondo cui può aver luogo la dissociazione elettrolitica del sale di ossonio; anche altri, come Bronsted, (Berichte d. deutsch. Chem. Ges., LXI, 1928, p. 2049) escludono che possa esistere il proton, ossia l'ione idrogeno (cioè il nucleo dell'idrogeno privo di elettrone), in soluzione come tale; in soluzione acquosa esso si unisce all'acqua per dare H3O +, e l'acqua funziona da base (v. base).
Poliacidi. - Gli acidi che contengono più radicali di natura acida si chiamano poliacidi, e tali sarebbero i cosiddetti piroacidi, come H2S2O7, cioè [O (SO3)2] H2, ma tale denominazione è stata più propriamente riservata agli acidi che hanno un più grande numero di radicali acidi. La formula generale è la seguente:
Se R ed R′ sono identici, anche riguardo alla loro valenza, si parla di isopoliacidi, se sono diversi, di etero-poliacidi. Questi a loro volta possono suddividersi in etero-poliacidi propriamente detti che nell'anione contengono solo parti anionogene, e in acidi complessi metallici se contengono anche ossidi metallici amfoteri come Cr2O3 Al2O3 e Fe2O3. Questo capitolo però, data la importanza che ha assunto dal punto di vista pratico e teorico, anche e soprattutto per le concezioni e le esperienze di italiani (specialmente Miolati), è trattato a parte (v. poliacidi).
In quanto agli acidi organici, anche essi sono trattati separatamente (v. organici, acidi).
Bibl.: Ladenburg, Handwörterbuch der Chemie, Breslavia 1892; Landolt, Tabellen, Berlino 1921; H. Lunden, Affinitätsmessungen an schwachen Säuren und Basen, in Sammlung-Abreos, XIV, pagg. 1-100; J. W. Mellor, A comprehensive treatise of inorganic and theoretical Chemistry, Londra 1922, I; L. Michaelis, Die Wasserstoffionen Konzentration, 2ª ed., Berlino 1922, p. 1; W. Kopaczewski, Les ions d'hydrogène, Parigi 1926; W. Nernst, Theoretische Chemie, Stoccarda 1926; I. M. Kolthoff, La détermination colorimétrique de la concentration des ions hydrogène, Parigi 1926.