CAMPOCASSO, Achille
Signore delle terre di Nebbio, poste tra capo Corso e il golfo di San Fiorenzo, le prime notizie a lui relative risalgono al 1553 allorché, al servizio di Genova, come altri esponenti della nobiltà corsa faceva parte, con il grado di capitano, della guarnigione della roccaforte di Bastia, agli ordini di Alessandro Gentile da Fabriano. Attaccata la fortezza da contingenti francesi guidati da Sampiero Corso, il C. e altri capi isolani che erano nella cittadella, tra cui Anton Matteo della sua stessa famiglia, Guidicello Grimaldi, Giacomo e Pierpaolo della Casabianca e Raffaele da Cassa, rivolsero le armi contro capi e soldati genovesi e aprirono le porte ai Francesi.
Negli anni seguenti, sino al 1557, quando ormai quasi tutta l'isola era controllata dai Francesi, il C. fu tra gli animatori della rivolta antigenovese. Ma nel 1557 una nuova spedizione ligure, al comando di Gerolamo Londrone, dopo aver riconquistato Bastia, proseguendo l'offensiva verso capo Corso sorprese al Cardo un gruppo di ribelli al comando del Campocasso. Questi preferì evitare lo scontro e trattò la resa tramite alcuni corsi dell'esercito genovese, ottenendo di ritornare al servizio della Repubblica con tutti i suoi compagni.
A questo ritorno del C. all'obbedienza genovese non dovette essere estraneo il profondo scontento contro i Francesi che si era diffuso tra i capi corsi, spesso esautorati dai precedenti poteri, che Genova aveva invece rispettato, e mai beneficiati dalle nuove conquiste territoriali che i Francesi si spartivano fra loro; del resto lo stesso Sampiero, proprio nel 1557, lasciava l'isola per contrasti col comandante dei Francesi, Giordano Orsini.
Tuttavia, l'anno dopo, nuovi accordi con i Francesi rendono possibile il ritorno in Corsica di Sampiero. Il C., e molti altri nobili che erano ritornati all'obbedienza della Repubblica, fuggono verso il loro capo riconosciuto, andando così ad ingrossare le file francesi. Ma la situazione si capovolge di nuovo nel 1559, col trattato di Cateau-Cambrésis, che affida l'isola al Banco di S. Giorgio. Sampiero salpa con i Francesi; il C. preferisce darsi alla macchia, motivando il suo gesto con l'asserita ingiustizia ed esosità della tassa introdotta dal Banco sui beni fruttiferi e infruttiferi.
La rivolta antifiscale delle popolazioni di Nebbio e di Balagna trovò così nel C. una delle sue guide principali, insieme con Raffaele di Campocasso, Guidicello e Bernardino da Cassa, destinato quest'ultimo a cadere in uno dei primi scontri con le truppe genovesi. Successivamente il C. trasferì la guerriglia verso il centro dell'isola, lungo la strada limitrofa al corso del fiume Golo; ma poi, forse perché ammonito da Sampiero a non esasperare la situazione prima di una più attenta e generale organizzazione della rivolta, preferì abbandonare l'isola e rifugiarsi in Toscana, dove Cosimo I si illudeva di un possibile dominio sulla Corsica.
Un agente genovese, Gerolamo Belmosto, in una lettera del 26 apr. 1563, informa la Repubblica della attività del C., che avrebbe organizzato in Toscana un gruppo di quattrocento corsi, pronti a passare nell'isola, e raccolto notevoli aiuti finanziari, che gli arrivavano da Roma e da Ferrara. Tuttavia, tra quella data e il 1564, il C. passò in Francia: infatti è a Marsiglia che il 9 giugno il C. si imbarca per la Corsica insieme con Sampiero, di cui diventa uno dei luogotenenti di fiducia. Sbarcati, coi compagni corsi e francesi, a sud-ovest dell'isola, nel golfo di Valinco, si dirigono verso il castello d'Istria, di cui si impadroniscono con facilità data l'esiguità della guarnigione, e dove si fermano parecchi giorni per organizzare la rivolta, radunando gente e mettendosi in contatto epistolare con i simpatizzanti.
La prima azione offensiva è del 20 giugno: Sampiero affida al C. il comando di un drappello per la conquista di una vicina torre del villaggio di Sollacaro; ma il C. e i suoi vengono ricacciati. Quindi i rivoltosi si dirigono in rapida marcia verso nord-est, cercando ormai lo scontro diretto con le truppe genovesi; scontro che avviene alla Venzolasca, a circa 9 miglia da Vescovato. Il C. con i suoi, fatto nascondere da Sampiero in un vicino bosco di castagni, doveva controllare i movimenti del comandante genovese Niccolò Negri. Infine lo scontro, durato tre ore, si concluse con la ritirata delle truppe genovesi, anche per la sollevazione di tutta la popolazione della zona.
Mentre a Genova si decide l'invio di rinforzi, che, al comando di Stefano Doria giungono in Corsica tra il luglio e l'agosto, Sampiero risale il corso del Golo, lasciando all'avamposto di Volpaiuola il C. e Napoleone da Santa Lucia. Questi, essendosi ingrossato il gruppo dei rivoltosi al loro seguito, decidono di opporsi all'armata genovese che, guidata dal Doria, aveva attaccato il Borgo e Bagnaria: ma il C. e i compagni vengono battuti. Rifugiatisi a Vescovato, preoccupati per il mancato arrivo di aiuti da Sampiero, che aveva probabilmente disapprovato la avventatezza dell'azione del C., decidono di far percorrere ad un reparto di cavalleria la valle del Golo per raggiungere il loro capo e sollecitarne il soccorso. Invece degli aiuti sperati, il 9 agosto approdano tra Bastia e Vescovato 9 galeotte turche, che seminano panico e morte tra la popolazione. Anche il C. cerca rifugio sulle alture, mentre Stefano Doria ne approfitta per occupare il 16 agosto Vescovato ormai sguarnita. Il C. non si dà per vinto: forse anche per riabilitarsi agli occhi di Sampiero, il 26 agosto sferra un attacco improvviso al campo genovese, insieme con Antonio di San Fiorenzo e un distaccamento di 300 soldati: anche questo attacco fallisce.
Il disappunto di Sampiero è grande; ma, d'altra parte, la sua tattica di attesa è criticata dal C. e dagli altri nobili corsi che vogliono l'azione decisiva. Sampiero si lascia convincere contro voglia ad attaccare il grosso dell'esercito genovese, e affida il comando di 3.000 uomini di fanteria e di 100 cavalieri prima interamente al C., poi, per metà, a Pier Giovanni di Ornano, scontentando entrambi.
Il C., individuata la posizione della cavalleria genovese, comandata da Andrea Centurione, e di due compagnie di fanteria a scorta di carri di munizioni, decide l'attacco: egli stesso è il primo a spronare il cavallo e a gettarsi nel fitto delle schiere genovesi; ma l'Ornano, invidioso di un successo il cui merito sarebbe andato al C., non fa muovere i suoi. Il Centurione, resosene conto, può manovrare in modo da mettere in fuga il C. e i suoi. Le rivalità tra i capi corsi esplodono; ma il C. e Antonio da San Fiorenzo riprendono immediatamente la guerriglia, spingendosi nelle loro scorrerie fino al villaggio di Oreto, dove sfuggono a un tentativo di sorpresa notturna organizzato dal Doria contro il loro campo.
Nell'ottobre, arrivati ingenti aiuti spagnoli ai Genovesi per sferrare l'attacco decisivo contro Sampiero, nel consiglio che questi tiene con i suoi luogotenenti il C. ne condivide il piano strategico: lasciare che i Genovesi oltrepassino Cervione, loro roccaforte, per assalirli alle spalle.
Dopo una prima sconfitta, il 29 ottobre i Corsi riportano una strepitosa vittoria che permette loro di riconquistare Vescovato e le terre limitrofe, mentre arrivano consistenti aiuti dalla Toscana. È allora, mentre le cose volgono al meglio, che improvvisamente il C., insieme a Lucio della Casabianca e ad altri ufficiali, defeziona, abbandonando Sampiero, cui rimprovera l'eccessivo autoritarismo. Recatosi di notte a Bastia, chiede perdono a Stefano Doria, che glielo condiziona all'impegno di uccidere Sampiero: alla reazione inorridita del C., il Doria non insiste e lo congeda con generiche e ambigue promesse. Il C. si ritira allora nelle sue terre di Nebbio, deciso a rimanere neutrale.
In seguito venne mosso rimprovero al Doria di non essersi mostrato più condiscendente col C., considerando non la sua volubilità ma l'enorme significato psicologico fra i Corsi di un suo definitivo cambiamento di fronte in quel momento. Che tale rimprovero fosse giustificato se ne ebbe la prova pochi mesi dopo, nel 1565, quando, Stefano Doria mandò alcuni contingenti genovesi a far incetta di grano nelle terre di Nebbio. Questa iniziativa, considerata dal C. come apertamente ostile, lo indusse a cambiare nuovamente partito. Egli infatti oppose resistenza alle requisizioni, assalendo le milizie inviate dal Doria per l'incetta. Queste replicarono mettendo a sacco le sue terre e catturando la madre del C. che venne imprigionata a Bastia. Così il ritorno del C. tra i ribelli diventava inevitabile.
Infatti, quando nell'agosto 1565 Sampiero, informato di un imminente attacco genovese contro Corte, decide di radunarvi i suoi, chiede al C., e ad altri che avevano defezionato, di raggiungerlo dimenticando i vecchi risentimenti; e il C. aderisce all'invito, al comando di sessanta uomini. Apparentemente l'accordo si ristabilisce: ma Sampiero non si sente più sicuro del C., tanto da lasciar cadere molte favorevoli occasioni di scontro nel timore di essere tradito, e il C. intuisce la sfiducia del suo capo e finisce col vivere una situazione insostenibile, mista di sospetto e di irritazione. Infine si decide ad abbandonare definitivamente Sampiero, chiedendo di ritornare all'obbedienza della Repubblica.
Nell'istanza di perdono presentata alle autorità genovesi, il C. giustificava la propria condotta affermando di aver preso le armi contro Genova per restituire libertà all'isola; ma, quando si era accorto che si precipitava verso un'altra dominazione straniera o una altrettanto odiosa tirannide interna, aveva riconosciuto preferibile il ritorno al governo genovese. Anche perché a Stefano Doria era stato sostituito Giovan Pietro Vivaldi, fautore di un atteggiamento di condiscendenza che favorisse le defezioni fra i Corsi, al C. non solo venne concesso il perdono, ma, ricevuto con festose accoglienze a Bastia, venne reintegrato nella carica di ufficiale e nominato capitano di una compagnia costituita da Corsi e da Genovesi.
Da allora il C. si mantenne fedele alla Repubblica, in difesa della quale combatté contro i suoi antichi compagni: tra l'altro, nei primi mesi del 1567, dopo che Sampiero era stato ucciso, le truppe del C., impegnate insieme a quelle di Gerolamo Roccatagliata in una azione in Balagna, vi uccisero uno dei capi ribelli, Ludovico di Casta. Quando poi nell'aprile 1569, fatti partire su due galee di Caterina de' Medici gli ultimi 300 ribelli, nell'isola ormai completamente pacificata venne radunata l'assemblea dei nobili per scegliere i dodici rappresentanti da inviare a Genova per ottenere in forma ufficiale il perdono della Repubblica, risultò eletto anche il C., che si presentò con altri ambasciatori al Senato della Repubblica il 7 e il 13 giugno di quell'anno. Infine nel 1571 quando a Genova i tumulti insorti tra nobili del vecchio e del nuovo "portico" erano sul punto di sfociare in aperta guerra civile, Agostino Doria, allora governatore di Corsica, inviò nel capoluogo ligure tre compagnie agli ordini del C., di Michelangelo d'Ornano e di Pietro Maria di Boniasca.
Non si hanno altre notizie del Campocasso.
Bibl.: M. Merello, Della guerra fatta da' Francesi e dei tumulti suscitati poi da Sampiero della Bastelica in Corsica, Genova 1607, pp. 62 s., 324, 339, 370, 385 s., 402, 437 s., 441, 448 s., 460, 491, 497, 501, 514, 520, 554, 557; G. Cambiagi, Istoria del Regno di Corsica, Firenze 1770, II, pp. 32, 126, 156, 167, 170 ss., 178, 187, 199, 240; A. P. Filippini, Istoria di Corsica, Pisa 1827, IV, pp. 284-29,; R. Russo, La ribellione di Sampiero Corso, Livorno 1932, pp. 22 s.; R. Quazza, Preponderanze straniere, Milano 1938, p. 55; R. Emmanuelli, Gênes et l'Espagne dans la guerre de Corse, Paris 1963, pp. 86 s., 94, 97, 110, 154, 175, 203, 208, 323, 329, 332, 340, 350, 366, 445.