BRUNI, Achille
Nato a Barletta il 23 dic. 1817 in una famiglia piuttosto agiata, da Bartolomeo, medico chirurgo, a diciassette anni pubblicava i primi frutti degli studi letterari compiuti al seminario di Trani (una manieristica dissertazione sui caratteri del rapporto epistolare: Precetti di lettere familiari, Napoli 1835), quando già da un anno era passato a proseguire la carriera scolastica in Napoli, dove in breve conseguì la laurea in legge.
Questa fase giuridico-letteraria fu solo il momento iniziale, culturalmente quasi obbligato, della sua formazione. Appena adolescente si era appassionato ai "prediletti studi agrari" seguendo qualche volta il padre, più spesso lo zio Vincenzo Casale, medici tipicamente versati nelle scienze naturali, nelle loro escursioni per l'agro barulense, e oltre. L'agricolturismo empirico del B., ultima espressione della tradizione pugliese dei "filosofi naturali", e la sua tendenza alla geografia agraria affondano appunto le loro radici in queste prime esperienze botaniche.
A Napoli seguì l'insegnamento di botanici quali G. Gussone e M. Tenore, controllandolo poi e applicandolo nei quasi annuali ritorni ai luoghi natii, a partire da quello forzato causato dal colera del 1837. Prese così consistenza il progetto descrittivo di quelle campagne, che leggerà ai consoci dell'Accademia degli aspiranti naturalisti nella tornata del 14 dic. 1843 (Cenno su lo stato attuale dell'agricoltura di Barletta, Napoli 1844), e poté instaurarsi una lunga consuetudine di ricerca comune con il suo maestro Gussone.
I saggi di piante rinvenute o coltivate dal B. ormai non solo nei fondi di amici proprietari barlettani, come i Bonelli, i De Martino, i Cafiero, ma anche nel Foggiano, lungo il lago di Salpi e fino al Gargano, e poi in seguito in quasi tutta la Terra di Bari e nel Leccese, passavano al Gussone per essere classificati e magari inviati ad illustri botanici stranieri. Così fu per l'Alyssumdeltoideum, oper quella pianta pratense a fiori composti battezzata col nome di Achillea mille folium;così per gran parte dell'erbario del B. finito al fiorentino Museo di storia naturale.
Il 1845, col VII Congresso degli scienziati italiani a Napoli, dove fu segretario della sezione di storia naturale, segna per il B. il suo definitivo orientamento agronomico. Se da un lato compare ancora accanto a G. Gasparrini, quale esperto estensore della parte "provinciale" della sintesi di notizie offerta agli scienziati convenuti (Breve ragguaglio dell'agricoltura e pastorizia del Regno di Napoli di qua del Faro, Napoli 1845), dall'altro sta il suo collegamento puntuale con gli ambienti governativi e ministeriali, dal cui interno, e quindi con un preciso taglio, verrà a realizzarsi quell'allargamento del campo di ricerca e della visione generale del ruolo dell'agronomia, per i quali il B. era ormai maturo e che ne segneranno in effetti tutta la futura esistenza scientifica e personale. Il lavoro commessogli sull'orticoltura delle storiche "paludi" ad est della città, i primi incarichi di insegnamento, la collaborazione a riviste come il Lucifero, il Poliorama, il Propagatore delle scienze naturali appartengono a questo momento di svolta.
Ove si prescinda dal curioso riferimento classico dell'operetta sul trattamento della pianta madre degli ovuli staccati per la creazione dei vivai (Ilcemento di Forsyth rivendicato a Catone dopo venti secoli, Napoli 1846), l'assenza di reminiscenze dei primi studi, anzi l'astio talora manifestato per ogni tipo di cultura che non fosse tecnico-pratica testimoniano della profonda, quasi univoca, dedizione del B. alla ricerca botanica e di un suo caratteristico culto della professionalità, abito che non dismetterà mai. È significativa la cura posta nell'appuntare con minute osservazioni di geografia botanica, frutto di una serrata fatica condotta principalmente nel decennio 1837-1847, quella Enumeratio plantarum ex Agro Baruletano provenientium posta già in appendice al Cenno sopraricordato (pp. 33-64) e ripubblicata più tardi insieme a tutta l'opera che, interamente rifatta, venne a costituire probabilmente il suo lavoro migliore: la Descrizione botanica delle campagne di Barletta (Napoli 1857). E se è vero che neppure a questa data egli andrà oltre la pura proposta di miglioramenti al suolo ed alle colture, che già aveva indicati nella regolazione delle acque dell'Ofanto, nel raddrizzamento dei tortuosi canali che davano luogo alla stagnazione, nella sostituzione delle improduttive "maggesi morte", nell'introduzione del prato artificiale o del vigneto misto a pioppi (Cenno, pp. 24-29), purtuttavia il quadro tracciato con sicurezza nella Descrizione non risulta privo di un suo spessore scientifico e se si vuole storico: basti guardare le pagine su quel paesaggio agrario e sul suo clima. Qualcosa di ben diverso dalla stereotipa descrittiva volta ad accreditare il mito della ricchezza rurale del Mezzogiorno cui il B. s'era adattato in precedenza (Dell'agricoltura e pastorizia del Regno di Napoli di qua del Faro, in Breve ragguaglio, pp. 61-145). Superiore indubbiamente anche all'esposizione, dichiaratamente scevra di ogni "trascendentalismo", ovvero male intesa erudizione botanica, dello stato della bassa pianura limitrofa a Napoli coltivata ad orto (Degli ortaggi e loro coltivazione presso la città di Napoli, in Annali civili del regno delle Due Sicilie, LXXXV [1847], pp. 33-46;LXXXVI [1847], pp. 152-164): èinteressante rilevare, ai fini di un discorso sull'inurbamento del B. nella capitale, come quasi sempre il confronto tra agricoltori pugliesi e napoletani riguardo alle rispettive pratiche agrarie sia qui istituito in chiave apologetica dei secondi, discendenti di quei privati intraprenditori che misero a coltura la zona scavandovi una serie di fossi per rialzare con gli sterri il terreno.
Divenuto nel 1850 professore di agricoltura nell'ospizio Francesco I di Giovinazzo, dal cui direttore don Michele Tansella fu subito preposto anche al locale Orto agrario, vi iniziò una brillante carriera d'insegnamento, inframezzando felicemente l'impegno didattico, non alieno da considerazioni metodologiche talora acute, alla sperimentazione delle colture (va ricordata ad es. l'introduzione della pratica delle aiuole convesse; ma si veda la sua approfondita Relazione degli esperimenti eseguiti nell'Orto agrario del R. Ospizio Francesco I di Giovinazzo,e dei pochi altri fatti per la scuola agraria di Cardito,dall'agosto 1850 all'agosto 1851, in Rivista agronomica, I [1856], pp. 17-28, 76-83).Nel 1853 passò a svolgere lo stesso incarico presso il R. orfanotrofio "A. Loffredo" di Cardito, vicino Napoli. Resasi vacante fin dal giugno 1854per la morte del Cua la cattedra di agricoltura nella facoltà di scienze naturali all'università di Napoli, che era stata di N. Andria e di N. Columella Onorati, opposto a numerosi concorrenti ma tutti "oscuri nomi", tagliato fuori l'unico degno antagonista, il Gasparrini, per i suoi trascorsi politici antiborbonici, invano proteso in una penosa petizione al re a far dimenticare l'esonero del 1849, il B.non poteva non riuscire, "in virtù de' suoi lavori agrarii pubblicati sin dal 1844e de' servigi resi al Real Governo sin dal 1845", com'egli stesso si espresse nella domanda formulata nell'agosto 1855. Dopoun travagliato espletamento, occorse però un intervento politico per risolvere a favore del B. la contesa; il decreto di nomina fu emanato in data 9genn. 1856.
Circondato dell'amicizia e della stima di uomini come E. Rocco, V. Torelli, il conte F. Viti, G. Volpicelli, e di giovani che uscivano dalla sua scuola come V. Cappelli, R. Colucci, A. Petruzzelli; socio di quasi tutte le società economiche del Regno, nonché dell'Accademia Gioenia di Catania e di quella d'Agricoltura, Arti e Commercio di Verona; collaboratore richiesto di giornali come L'Omnibus,L'Indicatore, la Rivista agronomica del Corsi, La Settimana; in auge presso il potere politico che fra l'altro gli affidò dal 1857la guida dell'introduzione della coltivazione delle nuove foglie di tabacco nelle province di Caserta e Salerno (con esito positivo, mercé l'allungamento da lui caldeggiato del periodo di stagionamento ad almeno 3 anni prima di consegnare il prodotto alla manifattura in Napoli: si veda lo scritto Della coltivazione del tabacco da fumo Virginia e Kentucky, Napoli 1860; 2edizione, Torino 1862);il B. non temette persino di contestare ora il suo rivale accademico Gasparrini sul suo terreno analitico, nella fattispecie la struttura del fico e del caprifico. Si dette inoltre alla rivalutazione di suoi vecchi lavori, come quello sull'orticoltura, che gli sembrava divenuto di attualità in rapporto alle operazioni avviate proprio in quegli anni dall'Amministrazione generale per le bonificazioni, ripubblicato quindi col sottotitolo Le paludi napoletane descritte ed illustrate sin dal 1846 (Napoli 1858).Infine legò il suo nome ad un'impresa editoriale presso Padoa e Vitale. continuata da Marghieri e Pellerano, vasta ma di compilazione, in cui peraltro i suoi contributi originali vanno ristretti alle sole annotazioni e parti firmate: Nuova enciclopedia agraria ossia Raccolta delle migliori monografie su' terreni,le piante,gli animali domestici e l'economia rurale (Napoli 1857-1859).
"L'Agricoltura vera sta nei campi io sostengo fortemente contro l'opinione dei palloni volanti". Questa affermazione del B. non risponde solo a ragioni di polemica spicciola, ma a tutta la sua impostazione. Definendo l'agronomia ("la scienza e l'arte di ottener prodotti") in termini di accentuato relativismo, e individuando nella positività dell'analisi ma unita al vantaggio nell'applicazione i due elementi inscindibili di una teoria agraria, il B. s'era da tempo battuto per la specializzazione a livello didattico delle varie branche di essa (Sulla necessità di una riforma nelle istituzioni agronomiche e nello studio di ciascun ramo dell'economia rustica, Bari 1852, pp. 6, 9-10, e v. l'interessante sinossi delle discipline proposta a p. 19). Era questa una direzione giusta, sulla quale, nella sostanza, camminerà la riforma degli studi botanici in Italia. C'è di più. Il richiamo frequente all'inveramento della teoria nella prassi, il suo rammarico di non poter disporre accanto alla cattedra universitaria di un orto agrario sperimentale esprimevano anche, in lui come in altri "provinciali" inurbati come il De Cesare, il dramma amaro dello scarto tra i grandi botanici arroccati nei loro gabinetti nella capitale e la carenza paurosa di istruzione agraria nelle campagne meridionali.
Eppure, quando si passa a considerare la posizione complessiva del B., bene adombrata nel convincimento che "il vero studio delle piante, agronomicamente parlando, è fondato sull'osservazione oculare dell'andamento della vegetazione e nella migliore applicazione pratica delle regole teoriche a ben governarle" (Istituzioni fondamentali di agricoltura, Napoli 1858, p. 11), la si ritrova scientificamente conservatrice, in un periodo in cui alla fine gloriosa della scuola linneana dei Tenore e dei Gussone si preparava a succedere, appunto col Gasparrini, il punto di vista "fisiologico" basato sull'esame al microscopio degli organi e funzioni delle piante, superandone la semplice descrittiva esteriore. Rimangono certamente validi alcuni apporti: in particolare su questo piano gli studi compiuti dal B. in materia di concimazione, che revisionarono teorie presentate troppo unilateralmente (Observations agronomiques sur la proportion absolue de l'azote dans les engrais et leurs équivalents sur la théorie emise par Boussingault et Payen, Naples 1858; cfr. anche Del valor comparativo de' letami, in L'Omnibus, 19 nov. 1856, p. 370). Anche qui, ove si pensi che l'applicazione della chimica costituiva la grande rivoluzione tecnica dell'agricoltura ottocentesca, affiora il limite conservatore. Probabilmente la stessa valutazione del B. come scienziato non può prescindere dall'ideologia tradizionalista, cattolica e pessimista, che lo animò ed a cui anche nei momenti migliori informò la sua pedagogia. Basti pensare alla concezione che ebbe della società agraria, distinta nelle classi dei proprietari, degli agronomi, dei fattori: "ad essi solamente è dato il grave incarico d'istruire e dirigere la quarta classe, la più estesa, la classe esecutrice, quella cioè de' contadini o campagnuoli che dir vorremmo" (Relazione ragionata delle Lezioni agrarie dettate nell'anno scolastico 1856, Napoli 1856, p. 5).
Con l'unità d'Italia, iniziò il periodo più difficile. Per ragioni di polemica accademica costretto a cercarsi uno spazio scientifico diverso da quello occupato dal "purismo" botanico, il B. si vide immediatamente impossibilitato a condurre avanti un discorso di politica agraria vincente, data la sua nota compromissione col passato regime. Soppressa la cattedra di agricoltura dalla riforma di De Sanctis ed Imbriani, che praticamente lo destituiva, proprio nel momento invece in cui il Gasparrini veniva ad occupare quella prestigiosa di botanica, dovette accontentarsi di scegliere tra un modesto posto di burocrate al ministero di Agricoltura e le peregrinazioni alla ricerca di una occupazione tra Napoli, Bari e Lecce. In questa ultima città assunse nel 1862 la direzione dell'Orto agrario e manifattura di tabacchi (cfr. Norme per la coltivazione dei tabacchi da fumo e del modo di prepararli, Napoli 1861 in cui si schiera contro la privativa; e Regole pratiche pel disseccamento e preparazione delle foglie di tabacco, Palermo 1869, dettate in vista dello sviluppo della tabacchicoltura in Sicilia), fondandovi pure un giornaletto, La falce fienaja. Con delibera della Deputazione provinciale di Bari, fu nominato nel 1868 professore di agronomia nel locale istituto tecnico, poi, con decreto ministeriale, di agronomia, estimo e computisteria agraria, incarico che tenne dal gennaio del 1873 all'ottobre del 1875.
Insofferente verso la nuova classe dirigente, si era attirato altri risentimenti anche nel capoluogo pugliese, sembra per via d'una pubblicazione che curava per conto della Camera di commercio, il Barese;eppure, aveva partecipato con calore alla battaglia per dotare la città d'un orto sperimentale. Qualche residua soddisfazione gli venne dalla didattica, anche se sempre gli si negò di insegnare alla scuola di agricoltura di Portici cui aspirava. Pubblicò infatti, per lo più nella forma discorsiva a lui cara, una Piccola guida per la classificazione delle piante ad uso dei giovani medici e farmacisti (Lecce 1867); delle Lezioni elementari di agricoltura (Bari 1868); un Manualetto agronomico (Napoli 1871). Rimasero invece inediti i materiali per un più ampio trattato agronomico cui da tempo attendeva, e che studiosi della successiva generazione come il Comes ebbero la ventura di leggere e di apprezzare.
L'impatto postunitario per il B. fu dunque particolarmente duro. Di esso comunque (vale a dire di una evoluzione, rispetto a quella di altri che pur essi agronomi si scoprirono allora "economisti", per tanti aspetti diversa ed opposta ma pur sottesa di un elemento comune: lo scontro con i problemi di fondo della realtà economica) ci rimane una ricca testimonianza: la sua collaborazione nel biennio 1863-64 a L'Industria italiana (nettamente più rilevante rispetto a quella ad altro giornale napoletano del periodo, La Bussola).Da essa traspare pienamente il senso del conservatorismo agrario del B., ormai costretto ad uscire allo scoperto sia sul terreno dell'analisi (cfr. soprattutto Vedute generali sull'agricoltura del Napolitano, I[1863], pp. 2-3, e la sostanziale difesa del latifondo nell'Esame pratico sulle terre abbandonate,sulle acque e sopra i latifondi,ibid., pp. 90-91), sia su quello delle proposte (ad es. l'alternativa frenante e nostalgica opposta all'affrancamento de IlTavoliere di Puglia,ibid., pp. 18-19, 26-27, 35-37; o il rilancio delle "colonie" agricole, in Vedute generali sulla ripopolazione delle campagne deserte,ibid., pp. 138-139, e dei letami in L'economia rurale in rapporto alla salute pubblica,ibid., p.66). Più ariose risultano, a conferma di una tendenza migliore alla geografia del paesaggio, le Passeggiate agronomiche per il Salento intraprese sullo scorcio dell'anno seguente. Assai poco felice invece, e si spiega, ridiventa a contatto con la discussa questione cotoniera.
Persa la moglie, continuò ancor per poco a peregrinare: ora ad Atri (1878) a dirigervi l'ennesimo Orto agrario, che dovette lasciare per il clima nocivo alla sua salute, ora a disimpegnare ispezioni di fondi commessegli da qualche proprietario. Di ritorno a Napoli da una di esse, compiuta nell'agro aversano, trovò la morte per apoplessia nella villa comunale il 29 genn. 1881.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Napoli, Assienti, n. 637, f. 73; Ibid., Ministero Pubblica Istruzione, fascio 291/8; Ibid., Consiglio di Pubblica Istruzione, fascio 630; A. Bruni, Dichiarazione dell'Autore, in Descrizione botanica delle campagne di Barletta, Napoli 1857, pp. 3-9; P. A. Saccardo, La botanica in Italia. Materiali per la storia di questa scienza, in Memorie del R. Istituto veneto di scienze,lettere ed arti, XXV (1895), 4, p. 222; V. Cappelli, Necrologia [di A. B.], in L'Omnibus, 20 febbr. 1881, pp. 45-46; A. Petruzzelli, A. B., in La Puglia agricola, IV (1881), pp. 60-62; E. Rocco, A. B., ibid., p. 23; R. Colucci, Il professore A. B., in L'Italia reale della domenica già Galiani, 6 marzo 1888, p. 258; S. Loffredo, Storia della città di Barletta, Trani 1893, II, pp. 229-230; A. Zazo, L'ultimo periodo borbonico, in Storia della università di Napoli, Napoli 1924, p. 517; L. de Rosa, La classe dirigente meridionale alla dimane dell'Unità, in Realtà del Mezzogiorno, IV (1964), pp. 377-378.