BENVOGLIENTI, Achille
Si ignora la sua data di nascita. Di professione medico (prima della guerra di Siena esercitava a Grosseto), fu accusato di avere opinioni ereticali da un calvinista incarcerato dall'Inquisizione di Siena, Fabio Cioni, notaio a Grosseto. Il 10 dicembre 1568 il comandante della guarnigione di Siena, Federigo Barbolani dei conti di Montauto, informava il principe" Francesco de' Medici della avvenuta cattura da parte dell'Inquisizione del B. e di Attilio Marsili (un terzo accusato, Leonardo Benvoglienti, risultò assente da Siena). Il fatto suscitò scalpore nella città, per il buon nome dei catturati, e resistenze da parte del governatore stesso, che non vedeva di buon occhio la persecuzione di casi ormai antichi.
Il B. confessò il 17 dic. 1568 di aver cominciato ad avere opinioni eterodosse in materia di fede ventiquattro anni prima, nel 1544, "quando de la religione ragionava e disputava ciascun liberamente": opinioni apprese attraverso la conversazione di Girolamo Pieri, da cui aveva avuto "la lettera che scrisse frate Bernardino Ochino alla balla di Siena", nonché attraverso la lettura delle opere dell'Ochino e del Pasquino in estasi del Curione. Il Cioni, nel denunziare il B. e il Marsili all'Inquisizione, li aveva accusati di aderire in materia di fede alle "opinioni de Giovanni Calvino eretichissimo": e in realtà il contenuto delle confessioni fatte dal B. all'inquisitore senese il 18 dic. 1568 è di carattere calvinista, anche se con un'accentuazione "spiritualistica". Riguardo all'eucarestia egli afferma, per esempio, di aver "creso qualche volta che nell'ostia sagra non vi sia realmente il corpo di Cristo, et ho tenuto conto che sia solumodo comemorazione et segno". Analogamente dichiara di aver creduto che la comunione debba essere data ai laici sub utraque specie, che le opere siano vane ai fini della salvezza, che l'autorità del papa sia eguale a quella dei vescovi, e così via. Conclude le sue confessioni asserendo di aver aderito a tali opinioni dopo lunghe incertezze: "e con tutto che io abbia tenuto come di sopra, non di meno spesso ho tante ragioni che mi han fatto tenere il contrario, e in effetto non ci so' stato mai fermo... E mi resolvei di tutte le dette opinioni e da poi in qua non ho più dubitato".
Da una lettera dei governatore di Siena a Francesco de' Medici (18 genn. 1569) risulta che la causa del B. era terminata "assai quietamente e bene", e dal canto suo il governatore si adoperava perché la condanna fosse moderata. Il principe, rispondendo il 23 gennaio, si rallegrava del buon esito del.processo del B., lodando il governatore di Siena per il fermo atteggiamento tenuto "nei confronti dell'inquisitore: "perchè le dimostrationi che fanno questi simili per saccenteria, con vituperar senza causa un gentilhomo et col tome la fama a tutta una città, non ci piace". In realtà il caso del B. non tra ancora risolto: da Roma (lettera del governatore di Siena del 12 febbr. 1569) il S. Uffizio imponeva di farlo abiurare in pubblico e di condannarlo quindi al carcere perpetuo, sia pure con la prospettiva di una prossima grazia. I suoi parenti si prepararono a rivolgere una supplica a Francesco de' Medici, avanzando tra l'altro dubbi sulla validità del processo; lo stesso inquisitore di Siena, trovando eccessivamente severa la deliberazione del S. Uffizio, soprattutto in rapporto al buon nome del B., scrisse una calorosa lettera a Roma invocando clemenza. Ma negli stessi giorni la risposta del cardinale di Pisa, Giovanni Ricci, all'inquisitore senese, tagliava corto ribadendo la deliberazione precedente. Anche Francesco de' Medici, scrivendo al governatore di Siena il 23 febbr. 1569, considerava il caso del B. ormai risolto, scoraggiando anticipatamente ogni supplica e invitando a lasciar la questione nelle mani dell'Inquisizione. Ma le suppliche dei congiunti del B., che tra l'altro allegavano una sua dichiarazione secondo la quale "con tutte le sue dubitationi non aveva avuto mai animo di partirsi da la Santa Chiesa", ebbero qualche effetto su Francesco de' Medici, che il 28 febbraio fece un passo a favore del B. presso il cardinal Pacheco. Questi il 10 marzo rispondeva annunciando che il S. Uffizio avocava a sé la causa dei B., il cui processo originale era stato richiesto da Siena; il 17 maggio il B. stesso, "benissimo incamuffato" per non suscitare clamori, partiva per Roma. Nonostante ciò i congiunti del B. non dovevano aver perso ogni speranza, se il 14 apr. 1570 Francesco de' Medici ammoniva il governatore di Siena di non voler più intromettersi nella faccenda. A quanto risulta, il 21 apr. 1570 il B. dovette pronunciare una pubblica abiura. Non abbiamo testimonianze sugli eventi successivi della sua vita, se non che nell'ottobre 1573 figura come lettore di medicina pratica presso lo Studio di Siena. Come medico dovette godere di buona fama, se è vero che Cosimo I, ammalato, lo fece chiamare, non sappiamo quando né come, unitamente a F. Buoninsegni.
Bibl.: I. Ugurgieri Azzolini, Le pompe sanesi, I, Pistoia 1649, p. 530; C. Cantù, Gli eretici d'Italia. Discorsi storici, II, Torino 1866, pp. 450 5.; P. Piccolomini, Doc. fiorentini sull'eresia in Siena durante il sec. XVI (1559-1570), in Bull. senese di storia patria, XVII (1910), 2, pp. 170-182; L. von Pastor, Storia dei papi, VIII, Roma 1924, p. 225 n. 3; D. Cantimori, Eretici italiani del Cinquecento. Ricerche storiche, Firenze 1939, p. 347 n. 1.