Acheronte
. Personaggio mitologico; fu concepito in una grotta di Creta da Cerere, e non volendo comparire alla luce del sole discese attraverso le fessure della terra nell'Averno; ebbe poi dalla ninfa Orfne il figlio Ascalafo (cfr. Ovid. Met. V 539-541). Secondo la mitologia classica è uno dei fiumi dell'Averno (gli altri sono Stige, Flegetonte, Cocito, Lete); e non di rado nei poemi latini lo si trova designato anche coi nomi di Stige o di Cocito (cfr. ad es. Aen. VI 323, 369, 374, ecc.), quasi quei nomi stiano a indicare genericamente il fiume dell'oltretomba. Propriamente l'A. è il fiume che segna l'ingresso nel regno dei morti, il limite che le anime di tutti i defunti devono varcare, inelusibilmente e irreversibilmente, sulla barca di Caronte (l'idea del traghetto fluviale come simbolo del passaggio all'altra vita è immagine assai diffusa nelle mitologie antiche, specie nella Nekyia egiziana). Il nome è probabilmente da *ἄχερος, " stagno ", "lago " (nei mitografi medievali tale etimologia viene banalizzata in " sine gaudio vel sine salute ", dunque in accezione anche spirituale; Fulgenzio [De Virgiliana continentia, ed. Helm, 98] spiega invece " sine tempore "). Al lutto si intonano le descrizioni nei poemi latini, tutte scandite sui toni della tristezza e dello squallore: Virgilio parla di un torbido gorgo di fango (Aen. VI 296-297), di " vada livida " (VI 320); Stazio di ‛ tristes ripae ' (Theb. I 93; cfr. anche IV 522), ecc.
Sono concetti e descrizioni che D. accoglie e rielabora, sia in generale riguardo all'idrografia dell'Inferno, sia in particolare riguardo al suo Acheronte. Nella Commedia i fiumi infernali (eccettuato il Lete - nella pronunzia medievale, Letè - posto da D. nel Paradiso terrestre) sono in definitiva uno solo, formato dalle lagrime - cioè dai dolori e dalle miserie dell'umanità - che sgorgano dalle fessure di una statua posta in una grotta di Creta; esse, scendendo lungo il baratro infernale fino al centro della terra, assumono di volta in volta nomi (appunto A., Stige, Flegetonte, Cocito) e aspetti diversi (palude livida, stagno fangoso, fiume di sangue bollente, lago ghiacciato): cfr. If XIV 97-138. Non pare plausibile l'ipotesi del Barbi (Con D. e i suoi interpreti, Firenze 1941, 92-102) che i quattro fiumi si formino, invece, indipendentemente l'uno dall'altro dalle quattro fessure esistenti in quella statua: le espressioni dantesche addotte al proposito non consentono tanto (v. infatti i rilievi di A. Camilli, in " Studi d. " XXVII [1943] 135-144). Del resto, la dipendenza dei fiumi infernali, già confusamente ricavabile nei poemi latini dalla interscambiabilità dei loro nomi, non è del tutto invenzione dantesca, ritrovandosi dichiarata in molti mitografi, da Servio al Vaticano terzo (" volunt Acheruntem de imo nasci Tartaro; huius aestuaria Stygem creare; de Styge nasci Cocytum "; Teodonzio, secondo l'attestazione del Boccaccio [Geneal. deor. III 16], dichiara altresì il Flegetonte figlio di Cocito). Anche l'A. dantesco è una trista riviera, una livida palude dall'onda bruna attraverso la quale Caronte traghetta i morti (If III 78-118); ma con questa importante differenza: che per gli antichi poeti tutti i morti (tranne la turba degl'insepolti) affluivano alle sponde di quel fiume per esservi traghettati; per il cristiano D. invece accorrono lì solo le anime dei dannati, il mal seme d'Adamo (tranne i vilissimi). Perciò al tema della tristezza e dello squallore proprio del regno della morte si aggiunge quello, ancor più cupo, della dannazione eterna, e gli aggettivi si caricano di un significato anche morale, già rilevabile nell'interpretazione pseudo-etimologica medievale; l'A. dantesco è il mal fiume (Pg I 88), la cui riva malvagia le anime desiderano (secondo uno spunto già virgiliano) lasciare per l'altra sponda, spinte da una forza troppo più grande di loro a voler pervenire al più presto al tormento che le attende. Infine, per gli antichi commentatori (Iacopo Alighieri, Ottimo, Benvenuto, ecc.), la fiumana ove 'l mar non ha vanto (If II 108) sarebbe appunto l'A., in quanto unico fiume che non finisce in mare; ma v. Pagliaro, Ulisse 101-109, e F. Mazzoni.
All'A. si collega poi il problema, considerato importante da vari studiosi, del se e del come D. sia stato traghettato al di là. All'estensore di questa voce tale questione pare mal posta: infatti chi è traghettato per l'A. è anima destinata alla dannazione (Quinci non passa mai anima buona), e perciò Enea, destinato al Limbo, potè essere accolto, secondo la narrazione virgiliana, nella barca di Caronte; non così D., che è anima viva e rivedrà nella seconda vita il regno della salvezza. Quindi il passaggio del fiume, che è " sine salute " in quanto è simbolo della morte spirituale, avviene per lui in modo del tutto straordinario e miracoloso (If III 130-136; IV 1-9); come, il poeta non precisa: ed è perciò del tutto inutile e gratuita ogni ipotesi. V. CARONTE; CERERE; COGITO; FLEGETONTE; LETE; STIGE; VEGLIO DI CRETA.
Bibl. - Per la mediazione medievale nella ricostruzione dantesca dell'idrografia dell'Averno classico è ancora utile l'articolo di H. T. Silverstein, D. and Virgil the mystic, in " Harvard Studies and Notes in Philology and Literature " XIV (1932) 51-82. Sulle varie ipotesi del passaggio dantesco dell'A. vedi la rassegna bibliografica di F. Mazzoni, in Saggio di un nuovo commento alla D. C. - Inferno. Canti I-III, Firenze 1967, 452-455. La suggestiva impostazione del Pascoli (che vede nello svenimento di D. una morte mistica) è ora ripresa e rielaborata da S. Battaglia, Esemplarità e antagonismo nel pensiero di D., Napoli 1967, 72-73.