accusativo preposizionale
L’accusativo preposizionale (detto anche oggetto preposizionale) è il fenomeno, diffuso in diverse parlate italiane e in varie aree romanze, per cui il complemento oggetto (➔ oggetto, costituito tanto da nomi quanto da pronomi, soprattutto personali) è preceduto dalla preposizione a: vai a chiamare a tuo fratello, ho incontrato a Maria, questa cosa a me non mi convince, senti a me. L’accusativo preposizionale è variamente distribuito negli italiani regionali (➔ italiano regionale), nelle varietà dialettali e nelle varietà diastratiche e diafasiche (➔ varietà). È frequente soprattutto nell’Italia meridionale e insulare, nei dialetti meridionali e nel parlato poco sorvegliato.
L’accusativo preposizionale si applica quando il complemento oggetto designa un’entità definita:
(1) ho incontrato a tuo padre / * ho incontrato a un po’ di gente
Per quanto riguarda i nomi comuni, un accusativo preposizionale è possibile anche con espressioni indefinite, purché abbiano un’interpretazione specifica. Nell’esempio (2) si presuppone che la persona molto brava esista davvero e che sia ben individuata e specifica:
(2) conosco a uno molto bravo
L’accusativo preposizionale ricorre in particolare nelle ➔ dislocazioni, sia con pronomi personali e altri pronomi, sia con nomi propri e nomi comuni, purché il referente sia umano (in questo caso è un tratto pan-italiano; Berretta 1989):
(3) a. e a te chi ti ha chiamato?
b. ma chi lo vuole a lui!
Il latino aveva un sistema di casi per segnalare le funzioni sintattiche (soggetto, oggetto, strumentale, causale, locativo, ecc.):
(4) Caesar eius dextram prendit (Cesare, De bello gall. I, 20)
«Cesare [soggetto nominativo] prende la sua destra [oggetto accusativo]»
Oltre che dal caso, la funzione dei complementi era indicata anche dalle preposizioni concomitanti:
(5) ad fines Belgarum pervenit (Cesare, De bello gal. II, 2)
«giunse nei territori [complemento di moto a luogo, caso accusativo con preposizione ad] dei Belgi [caso genitivo]»
Le lingue romanze (➔ lingue romanze e italiano, ➔ latino e italiano), che perlopiù hanno abbandonato il sistema dei casi, marcano le funzioni sintattiche con preposizioni (come nelle traduzioni dei due esempi latini qui sopra). In italiano due sole funzioni sintattiche, il ➔ soggetto e il complemento oggetto, sono prive di marca preposizionale. Nelle frasi transitive attive, ove entrambe le funzioni sintattiche sono presenti e prive di preposizione (esse comportano infatti verbi a due ➔ argomenti), gli argomenti si distinguono perlopiù in base all’ordine delle parole (6-7), oppure in base a criteri di natura semantica (8-9):
(6) Mario uccide Paola
(7) Paola uccide Mario
(8) Giovanni guarda un programma televisivo
(9) un programma televisivo, guarda Giovanni
Nelle frasi (6) e (7), in una lettura con intonazione neutra, il primo sintagma nominale (Mario in 6 e Paola in 7) è interpretato come soggetto del verbo uccidere e il secondo come oggetto. Invece nelle frasi (8) e (9) il soggetto, per ovvie ragioni semantiche, non può essere che Giovanni, cioè un soggetto umano che realizza l’azione del guardare, che si applica all’oggetto un programma televisivo (ovviamente l’oggetto può anche essere animato: Giovanni guarda Maria). Quindi, a prescindere dall’ordine dei due sintagmi, il ruolo di soggetto e oggetto in questo caso è definito dal significato del verbo. Inoltre, nella frase (9) l’intonazione non sarà neutra, ma marcherà il primo sintagma con una particolare curva intonativa, che segnala appunto l’anteposizione dell’oggetto. Sembra dunque che l’accusativo preposizionale, tipicamente associato a oggetti animati, sia utile a distinguere il soggetto dall’oggetto in casi ambigui, cioè quando essi hanno entrambi referenti umani: è a questa funzione di distinzione tra soggetto e oggetto che si riconduce l’origine dell’accusativo preposizionale (Diez 1874-1976; Meyer-Lübke 1895-1900), soprattutto quando l’oggetto preceda il verbo o almeno il soggetto.
Tale ipotesi non spiega però il fatto che la marca preposizionale dell’oggetto nei testi antichi coinvolge soprattutto i pronomi personali, cioè una classe di parole in cui la distinzione tra soggetto e oggetto si è conservata grazie a due serie di pronomi, soggetto e pronomi complemento (io/me, tu/te, ecc.; ➔ caso; ➔ pronomi). Pertanto in frasi come (10) e (11) la corretta assegnazione della funzione sintattica al pronome personale, pur variando l’ordine degli elementi, è sempre garantita dalla forma del pronome:
(10) a. io guardo Maria
b. guardo Maria io
c. Maria guardo io
(11) a. Maria guarda me
b. (proprio) me guarda Maria
c. guarda me Maria
Un’altra ipotesi (Rohlfs 1971 e 1984) collega la formazione dell’accusativo preposizionale a un’esigenza pragmatica di messa in rilievo. La preposizione nascerebbe in epoca abbastanza remota e non documentata all’interno della categoria dei pronomi personali come marca della topicalizzazione (➔ focalizzazioni). Da qui il suo uso come topicalizzatore si estenderebbe ai nomi per passare infine da una marca pragmatica a una marca di caso dell’oggetto.
L’origine e la diffusione dell’accusativo preposizionale probabilmente vanno forse considerate separatamente per i nomi e per i pronomi personali. I pronomi personali avrebbero sviluppato la marca preposizionale prima dei nomi e per ragioni di tipo pragmatico (dare rilievo informativo ai pronomi aumentandone anche la percepibilità con l’aggiunta di un’ulteriore sillaba, quella della preposizione a). La formazione e lo sviluppo dell’accusativo preposizionale nei nomi invece costituirebbe una manifestazione del riorganizzarsi del sistema dei casi con il recupero di una importante opposizione, fondamentale in latino, tra nominativo e accusativo.
L’accusativo preposizionale è caratteristico delle varietà meridionali italiane ma ricorre anche in area centrosettentrionale (Lazio, Toscana, Abruzzo, Umbria, Marche e in alcuni dialetti, ad es., triestino, genovese), soprattutto quando l’oggetto è anteposto, topicalizzato ed è un pronome personale (➔ analogia):
(12) e a me chi mi consola?
(13) a me chi mi protegge?
(14) a me mi convince poco
Benché più tipico del parlato può ricorrere anche nello scritto:
(15) a voi fa ridere uno che dice … («La Repubblica» 8 settembre 1989)
(16) a lui questa conclusione lo spiazzò («La Repubblica» 15 maggio 1989)
L’accusativo preposizionale si incontra già nei testi delle origini sia di area meridionale sia di area centrale, con oggetti che sono nomi o pronomi:
(17) lu re stava aspettando a Rugeri Lauria pri sicutari li Francisi (antico siciliano, citato da Monaci: 414)
(18) dove ella a me voglia per marito (Boccaccio, Dec. X, 10)
(19) da indi in là t’aspetta / pur a Beatrice, ch’è opra di fede (Dante, Purg. XVIII, 46-47).
Anche in epoche successive esso continua ad essere registrato sia in testi letterari (20) sia teatrali (21):
(20) e però se Vostra maestà vuole perdonare a colui che giustamente ha il detto Maestro Diego ucciso (Masuccio Salernitano, Il Novellino, 120)
(21) tu quanno vide a me t’haje da luvà la coppola (Eduardo Scarpetta, ‘O balcone’ e Rusinella, scena I).
Mentre le varietà meridionali ammettono un ampio uso dell’accusativo preposizionale sia con nomi sia con pronomi e con una vasta gamma di verbi, nell’italiano medio il suo uso si diffonde nel parlato poco sorvegliato in una sola classe di verbi, i verbi psicologici (➔ psicologici, verbi). Questi ultimi hanno due ruoli semantici, quello relativo alla persona che vive l’esperienza descritta dal verbo (esperiente; ➔ argomenti) e quello relativo alla cosa o persona che attiva l’esperienza. L’esperiente in alcuni casi viene trattato come soggetto del verbo:
(22) a. (io) desidero un caffè
b. (io) percepisco un’atmosfera elettrica
ma in altri come oggetto:
(23) questa cosa mi attrae, mi disgusta, mi annoia, mi diverte
In quest’ultimo contesto il complemento oggetto può essere realizzato come accusativo preposizionale, dove, assumendo la preposizione a, finisce per avere la forma di un dativo:
(24) questa cosa a me (mi) attrae, a me (mi) disgusta, a me (mi) annoia, a me (mi) diverte.
L’accusativo preposizionale è attestato in molte lingue romanze (spagnolo, portoghese, rumeno, catalano, occitano, sardo, e vari dialetti italiani). La preposizione è a nella maggior parte dei casi, in rumeno è pe (dal latino per), ma in siciliano si trova anche da (Rohlfs, 1984: 79). Lo spagnolo standard è la lingua romanza in cui la diffusione del fenomeno è più importante. Anche in questo caso l’accusativo preposizionale è correlato a oggetti animati e definiti, ma s’incontra anche con personificazioni (25-27) (Fiorentino 2003: 132, da cui anche gli esempi successivi):
(25) ¿has visto a Dorotea? «hai visto Dorotea?» [nome di un marchio di penna]
(26) * ¿has visto Dorotea? [nome di persona]
(27) llamo a la muerte «invoco la morte»
Alcuni verbi come calificar «qualificare», preceder «precedere», seguir «seguire» hanno anche oggetti inanimati (28-30); alcuni nomi di città sono preceduti da a (31):
(28) un adjetivo califica a un sustantivo «un aggettivo qualifica un nome»
(29) el uno precede al dos «l’uno precede il due»
(30) los días siguen a las noches «i giorni seguono le notti»
(31) visitamos a Valencia «visitiamo Valencia»
In rumeno, dove un caso nominativo-accusativo si oppone a un genitivo-dativo, l’accusativo preposizionale è obbligatorio con i nomi propri (32), con i pronomi personali (33) e con i pronomi relativi, anche con oggetti inanimati (34-35):
(32) o aştept pe Maria «aspetto Maria»
(33) îl întreb pe el «interrogo a lui»
(34) Radu a cumpărat casa pe care am construit-o «Radu ha comprato la casa che ho costruito»
(35) aceasta e cartea pe care am cumpărat-o «questo è il libro che ho comprato».
Berretta, Monica (1989), Sulla presenza dell’accusativo preposizionale in italiano settentrionale: note tipologiche, «Vox Romanica» 48: 13-37.
Diez, Friedrich (1874-1976), Grammaire des langues romanes, II et III, Paris, Franck.
Fiorentino, Giuliana (2003), Prepositional Objects in Neapolitan, in: G. Fiorentino (ed.), Romance Objects, Transitivity in Romance Languages, Berlin, Mouton de Gruyter, pp. 117-151.
Meyer-Lübke, Wilhelm (1895-1900), Grammaire des langues romanes, Paris, Welter, 4 voll., voll. 2°-3° (vol. 1°, Phonétique, vol. 2°, Morphologie, vol. 3° Syntaxe, vol. 4° Tables générales; tit. orig. Grammatik der romanischen Sprachen, Leipzig, Fues, 1890-1902, 4 voll.)
Rohlfs, Gerhard (1954), Historische Grammatik der Italienischen Sprache und ihrer Mundarten, Bern, Francke, 3 voll., vol. 3° (Syntax und Wortbildung) (trad. it. Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, Torino, Einaudi, 3 voll., vol. 3°, Sintassi e formazione delle parole, 1969).
Rohlfs, Gerhard (1971), Autour de l’accusatif prépositionnel dans les langues romanes (Concordances et discordances), «Revue de linguistique romane» 35, pp. 312-334.
Rohlfs, Gerhard (1984), Von Rom zur Romania. Aspekte und Probleme romanischer Sprachgeschichte, Tübingen, Narr, pp. 61-80.