Accordi di ristrutturazione dei debiti
Dopo la riforma della legge fallimentare gli accordi di ristrutturazione hanno assunto un’importanza centrale tra gli strumenti di regolazione della crisi dell’impresa. Ne vengono qui delineati i caratteri essenziali, tenendo conto degli orientamenti assunti dalla Suprema Corte nell’ultimo anno. L’attuale visione si palesa contrassegnata dal tratto distintivo del modello di procedura concorsuale, in senso anticipatorio della prospettiva di riforma di cui alla l. n. 155/2017.
La disciplina degli accordi di ristrutturazione dei debiti nasce con la l. 14.5.2005, n. 80, di conversione del d.l. 14.3.2005, n. 35.
Essa è stata integrata e modificata una prima volta dal d.lgs. 9.1.2006, n. 5 e dal d.lgs. 12.9.2007, n. 169, (cd. decreto correttivo), e poi delineata in successione dal d.l. 31.5.2010, n. 78, conv. con modificazioni dalla l. 30.7.2010, n. 122, dal d.l. 6.7.2011, n. 98, conv. con modificazioni dalla l. 15.7.2011, n. 111, e dal d.l. 22.6.2012, n. 83, conv. con modificazioni dalla l. 7.8.2012, n. 134.
Il legislatore ha inteso seguire in tal modo il solco delle prepackaged bankrupcy, punto di riferimento del quale è, nell’esperienza statunitense, il noto Chapter 11. Tralasciando le assonanze e le differenze che nelle diverse prospettive del confronto internazionale pur si imporrebbero, può essere accettata l’affermazione che mediante gli accordi l’ordinamento giuridico ha inteso in qualche misura superare il concetto di indisponibilità dell’insolvenza, in favore di matrici idonee a tutelare il valore economico dell’impresa e dei complessi aziendali.
L’imprenditore in stato di crisi può domandare, depositando la documentazione di cui all’art. 161 l. fall., l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti stipulato con i creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti, unitamente a una relazione redatta da un professionista, designato dal debitore, in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, co. 3, lett. d), sulla veridicità dei dati aziendali e sull’attuabilità dell’accordo stesso, con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori estranei entro centoventi giorni dall’omologazione (in caso di crediti già scaduti a quella data) ovvero entro centoventi giorni dalla scadenza (in caso opposto).
L’effetto più importante derivante dall’omologazione dell’accordo di ristrutturazione è costituito dall’esenzione dalla revocatoria fallimentare per gli atti compiuti in esecuzione dell’accordo stesso; azione che naturalmente presuppone la dichiarazione di fallimento.
Da qui l’affermazione che gli imprenditori diversi dai cd. “fallibili” non avrebbero interesse a richiedere l’omologazione di un accordo di ristrutturazione, posto che tali soggetti non sarebbero comunque soggetti all’azione revocatoria fallimentare.
Sta di fatto che la platea dei legittimati all’accordo è stata definita dall’art. 23, co. 43, del citato d.l. n. 98/2011 in termini comprensivi anche degli imprenditori agricoli in stato di crisi o di insolvenza, ordinariamente esentati dal fallimento1.
L’accordo deve essere pubblicato nel registro delle imprese e acquista efficacia dal giorno della sua pubblicazione. Da tale data e per sessanta giorni i creditori per titolo e causa anteriore non possono iniziare o proseguire azioni cautelari o esecutive sul patrimonio del debitore, né acquisire titoli di prelazione se non concordati.
Entro i successivi trenta giorni i creditori e ogni altro interessato possono proporre opposizione e il tribunale, decise le opposizioni, procede all’omologazione in camera di consiglio con decreto motivato, reclamabile alla corte di appello ai sensi dell’art. 183 l. fall. entro quindici giorni dalla sua pubblicazione nel registro delle imprese.
Nel testo conseguente alla l. n. 122/2010 la disciplina degli accordi di ristrutturazione è stata integrata dalla possibilità di ottenere la prevista protezione patrimoniale anche prima della pubblicazione dell’accordo.
Il divieto di iniziare o proseguire le azioni cautelari o esecutive può essere richiesto dall’imprenditore anche nel corso delle trattative e prima della formalizzazione dell’accordo, depositando presso il tribunale competente la documentazione di cui all’art. 161, co. 1 e 2, l. fall. e una proposta di accordo corredata da una dichiarazione dell’imprenditore, con valore di autocertificazione, attestante che sulla proposta sono in corso trattative con i creditori che rappresentano almeno il 60% dei crediti, nonché da una dichiarazione del professionista attestatore circa la idoneità della proposta, se accettata, ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori con i quali non sono in corso trattative o che hanno comunque negato la propria disponibilità a trattare.
Simile allargamento non è privo di interesse.
L’istanza di sospensione, pubblicata nel registro delle imprese, produce l’effetto del divieto di inizio o prosecuzione delle azioni esecutive e cautelari, nonché del divieto di acquisire titoli di prelazione, se non concordati.
Dacché il tribunale, verificata la completezza della documentazione depositata, riscontrata, nell’apposita udienza, la sussistenza dei presupposti per pervenire a un accordo di ristrutturazione dei debiti con le previste maggioranze e delle condizioni per l’integrale pagamento dei creditori con i quali non sono in corso trattative o che hanno comunque negato la propria disponibilità a trattare, dispone con decreto motivato (esso pure reclamabile dinanzi alla corte d’appello) il divieto di iniziare o proseguire le azioni cautelari o esecutive e di acquisire titoli di prelazione se non concordati, assegnando il termine di non oltre sessanta giorni per il deposito dell’accordo di ristrutturazione e della relazione redatta dal professionista.
La Cassazione ha di recente chiarito che il provvedimento, con il quale il tribunale si pronuncia sull’istanza di divieto di iniziare o proseguire le azioni cautelari o esecutive, possiede natura cautelare. Esso, sebbene adottato a cognizione sommaria, non consegue a un controllo solo formale della documentazione richiesta, ma presuppone, da parte del giudice, una verifica anche sostanziale sulla ricorrenza dei presupposti per pervenire a un accordo di ristrutturazione con le maggioranze di cui all’art. 182 bis l. fall., oltre che delle condizioni per l’integrale pagamento dei creditori con i quali non sono in corso trattative o che hanno negato la propria disponibilità a trattare2. Dalla natura cautelare discende l’inammissibilità del ricorso per cassazione contro la decisione assunta dalla corte di appello in sede di reclamo.
Dal quadro sopra sintetizzato emerge con chiarezza la struttura bifasica dell’istituto, solo all’inizio rispondente alla dimensione propriamente privatistica, caratterizzata dalla conclusione dell’accordo tra il debitore e i creditori che rappresentano almeno il 60% dei crediti complessivi.
Alla fase privatistica segue difatti una seconda fase, di natura pubblicistica e procedimentale, incentrata sull’intervento del tribunale ai fini dell’omologazione dell’accordo.
In sostanza, a fronte delle comuni soluzioni stragiudiziali, l’accordo di ristrutturazione presuppone un’intesa con una parte significativa (qualificata) dei creditori quanto all’entità, ai tempi e alle modalità del soddisfacimento dei loro diritti ma richiede pure che, per gli effetti previsti, l’accordo sia depositato in tribunale, pubblicato al registro delle imprese e infine omologato. È quindi opportuno concentrare l’attenzione sul possibile contenuto dell’accordo, secondo le variabili declinate dalla disciplina positiva.
Sul piano contenutistico l’accordo di ristrutturazione non soggiace all’obbligo di rispettare in modo assoluto il principio della intangibilità dei diritti di credito, dettato in funzione di tutela della par condicio creditorum. Il debitore e creditori aderenti godono cioè di un’ampia libertà di prevedere le regole della ristrutturazione dei debiti dell’impresa.
Sono consentite, per esempio, la riduzione dell’esposizione debitoria così come la dilazione dei pagamenti o l’assunzione di debiti da parte di terzi.
La Suprema Corte ha recentemente chiarito che è possibile anche la conversione delle linee di finanziamento in apporti di capitale di rischio3.
Salve le specificazioni di cui si dirà, l’unica prescrizione è costituita dall’essere l’accordo idoneo ad assicurare il pagamento dei creditori estranei; cosa ben vero condizionante la successiva omologazione.
In tale prospettiva l’art. 182 bis l. fall. puntualizza che per «regolare pagamento» di tali creditori si intende il pagamento «integrale». Il che peraltro può avvenire, come s’è visto, entro centoventi giorni: a partire i) dall’omologazione dell’accordo, in caso di crediti già scaduti a quella data, ovvero ii) dalla scadenza dei crediti stessi, qualora questi non siano ancora scaduti alla data dell’omologazione.
La conseguenza da rimarcare è allora questa: che una specifica forma di condizionamento, quanto meno dal lato della dilazione del pagamento, si impone anche ai creditori estranei, in netta contrapposizione rispetto alla disciplina che annette al contratto forza di legge solo tra le parti.
Vi è poi una seconda forma di condizionamento, che attiene al profilo dell’acquisizione di garanzie. L’art. 33 d.l. 22.6.2012, n. 83, conv. con modificazioni dalla legge 7.8.2012, n. 134, all’art. 182 bis, co. 3, primo periodo, dopo la parole «patrimonio del debitore », ha aggiunto infatti le seguenti: «, né acquisire titoli di prelazione se non concordati».
Tale modifica sta praticamente a significare che, dalla pubblicazione dell’accordo con la maggioranza qualificata dei creditori, è a tutti impedito di garantire liberamente il credito.
Secondo l’art. 182 quater l. fall. i crediti derivanti da finanziamenti in qualsiasi forma effettuati in esecuzione di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato sono prededucibili ai sensi e per gli effetti dell’art. 111 l. fall., esattamente come accade per il concordato preventivo.
Sono inoltre parificati ai crediti suddetti anche quelli derivanti da finanziamenti erogati in funzione della presentazione della domanda di omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, qualora i finanziamenti siano previsti dall’accordo di ristrutturazione e purché l’accordo sia omologato.
Siffatte regole si applicano anche ai finanziamenti effettuati dai soci, fino alla concorrenza dell’80% del loro ammontare, in deroga alla disciplina della postergazione (artt. 2467 e 2497 quinquies c.c.). In particolare i primi due commi dell’art. 182 quater l. fall. vengono in rilievo quando il finanziatore abbia acquisito la qualità di socio in esecuzione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti.
Quanto ai crediti derivanti da finanziamenti i creditori, anche se soci, sono esclusi dal voto e dal computo della percentuale dei crediti prevista all’articolo 182 bis.
Il legislatore consente al debitore che presenta una domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti, ovvero una proposta di accordo ai sensi dell’art. 182 bis, co. 6, l. fall., di chiedere al tribunale di essere autorizzato, anche prima del deposito della prevista documentazione, a contrarre finanziamenti prededucibili ai sensi dell’art. 111, alla condizione che un professionista designato dal debitore, in possesso dei soliti requisiti di cui all’art. 67, co. 3, lett. d), verificato il complessivo fabbisogno finanziario dell’impresa sino all’omologazione, attesti che tali finanziamenti sono funzionali alla migliore soddisfazione dei creditori.
Siffatta autorizzazione può riguardare anche finanziamenti individuati soltanto per tipologia ed entità, e non ancora oggetto di trattative.
Peraltro il debitore, che presenta una domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione o una proposta di accordo, può chiedere al tribunale di essere autorizzato in via d’urgenza a contrarre finanziamenti, sempre prededucibili, funzionali a urgenti necessità relative all’esercizio dell’attività aziendale fino all’udienza di omologazione o alla scadenza del termine di cui all’art. 182 bis, co. 7. Quel che occorre è che il ricorso specifichi, da un lato, la destinazione dei finanziamenti e, dall’altro, la circostanza che il debitore non è in grado di reperirli altrimenti e che in loro difetto deriverebbe un pregiudizio imminente e irreparabile all’azienda.
La richiesta può avere a oggetto anche il mantenimento di linee di credito autoliquidanti in essere al momento del deposito della domanda.
In questi casi il tribunale, assunte sommarie informazioni e sentiti senza formalità, eventualmente, i principali creditori, decide in camera di consiglio con decreto motivato, potendo autorizzare il debitore a concedere pegno o ipoteca o a cedere crediti a garanzia dei medesimi finanziamenti.
In presenza degli indicati presupposti, il debitore può altresì chiedere l’autorizzazione a pagare crediti anche anteriori per prestazioni di beni o servizi, e in tal caso i pagamenti effettuati non sono soggetti a revocatoria nell’eventuale fallimento consecutivo.
È importante notare che quando un’impresa ha debiti verso banche e intermediari finanziari in misura non inferiore alla metà dell’indebitamento complessivo, la disciplina di cui all’articolo 182 bis l. fall., in deroga agli artt. 1372 e 1411 c.c., può essere integrata da regole e principi peculiari, fermi restando i diritti dei creditori diversi. Invero l’accordo di ristrutturazione può individuare una o più categorie tra i creditori considerati (banche e intermediari) con posizione giuridica e interessi economici omogenei, e in tal caso il debitore può chiedere che gli effetti dell’accordo vengano estesi anche ai creditori non aderenti che appartengano alla medesima categoria. Ciò alla condizione che tutti i creditori della categoria siano stati informati dell’avvio delle trattative e siano stati messi in condizione di parteciparvi in buona fede e se i crediti delle banche e degli intermediari finanziari aderenti rappresentano il 75% dei crediti della categoria medesima. Ai fini specifici non si tiene conto, peraltro, delle ipoteche giudiziali iscritte dalle banche o dagli intermediari finanziari nei novanta giorni che precedono la data di pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese. La fattispecie è soggetta a regole procedimentali che impongono al debitore, in aggiunta ai già previsti adempimenti pubblicitari, di notificare il ricorso e la documentazione di cui all’art. 182 bis, co. 1, alle banche e agli intermediari finanziari ai quali si richiede di estendere gli effetti dell’accordo; sicché per costoro il termine per proporre l’opposizione decorre dalla data della notificazione del ricorso. Il tribunale procede all’omologazione previo accertamento, avvalendosi ove occorra di un ausiliario, che le trattative si siano svolte in buona fede e che le banche e gli intermediari finanziari ai quali il debitore chiede di estendere gli effetti dell’accordo abbiano in effetti posizione giuridica e interessi economici omogenei rispetto a quelli delle banche e degli intermediari finanziari aderenti, e abbiano ricevuto complete e aggiornate informazioni sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria del debitore, nonché sull’accordo e sui suoi effetti, essendo stati messi in condizione di partecipare alle trattative. In tal caso un presupposto dell’omologazione è che essi possano risultare soddisfatti, in base all’accordo, in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili (cd. clausola di salvaguardia). Alla specificità di tale regolamentazione dell’accordo consegue l’altrettanto specifica disciplina della convenzione diretta a regolare in via provvisoria gli effetti della crisi attraverso una moratoria temporanea dei crediti nei confronti di una o più banche o intermediari finanziari (cd. convenzione di moratoria). La quale, raggiunta l’apposita maggioranza, produce effetti anche nei confronti delle banche e degli intermediari finanziari non aderenti, a condizioni analoghe a quelle indicate e salvi i diritti di opposizione.
La disciplina degli accordi di ristrutturazione, più volte modificate nel senso sopra ricordato, ha dato luogo a diverse questioni. Tra le più delicate vi è senz’altro quella relativa alla natura giuridica dell’istituto. Si discute da tempo dell’appartenenza degli accordi al novero delle procedure concorsuali o della necessità di qualificarli, invece, come istituti meri di diritto privato.
E non si tratta di profilo solo dogmatico, giacché dalla risposta al quesito dipende la soluzione di taluni non secondari aspetti pratici, per esempio correlati al rango – prededucibile o meno – dei crediti dei professionisti maturati in relazione all’attività di assistenza nel procedimento di accordo.
Un’altra ripercussione è poi da associare alla disciplina del d.lgs. 1.9.1993, n. 385, recante il testo unico bancario (t.u.b.), visto che in forza dell’art. 80, co. 6, di tale impianto le banche non sono soggette a procedure concorsuali diverse dalla liquidazione coatta prevista dalle norme della medesima sezione, e per quanto non espressamente previsto si applicano, se compatibili, le disposizioni della legge fallimentare.
Donde da questo punto di vista dalla risposta al quesito sulla natura degli accordi di ristrutturazione transita la stessa possibilità di applicare l’istituto alle banche e agli intermediari soggetti al t.u.b.
La Cassazione, dopo un’iniziale reticenza4, ha affrontato la questione chiarendo che l’accordo di ristrutturazione dei debiti di cui all’art. 182 bis l. fall. appartiene agli istituti del diritto concorsuale, come è dato desumere dalla sua disciplina che presuppone, da un lato, forme di controllo e di pubblicità sulla composizione negoziata (in punto di condizioni di ammissibilità, deposito presso il tribunale competente, pubblicazione al registro delle imprese e necessità di omologazione) e, dall’altro, effetti protettivi (quali i meccanismi di protezione temporanea e l’esonero dalla revocabilità di atti, pagamenti e garanzie posti in essere in sua esecuzione), tipici dei procedimenti concorsuali5. Ha affermato che il credito del professionista che abbia svolto attività di assistenza e consulenza funzionali all’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti, rientra de plano tra i crediti sorti «in funzione» di quest’ultima procedura e, come tale, a norma dell’art. 111, co. 2, l. fall., va soddisfatto in prededuzione nel successivo fallimento, senza che ai fini di simile collocazione debba essere accertato, con valutazione ex post, che la prestazione resa sia stata concretamente utile per la massa in ragione dei risultati raggiunti6. In questo senso è stata messa in luce la differenza che corre tra l’accordo di ristrutturazione e il piano di risanamento attestato. Infatti il credito del professionista che abbia svolto attività di assistenza e consulenza funzionali alla predisposizione di un piano attestato, ex art. 67, co. 3, lett. d), l. fall., non va soddisfatto in prededuzione nel successivo fallimento a norma dell’art. 111, co. 2, l. fall., poiché il detto piano non costituisce una procedura concorsuale, rientrando invece nel novero degli atti di programmazione dell’impresa finalizzati al suo risanamento, che possono dare luogo a convenzioni stragiudiziali sottratte alla valutazione o al controllo da parte di organi giurisdizionali7.
L’appartenenza degli accordi di ristrutturazione al genus delle procedure concorsuali è stata ribadita da due successive decisioni. E tanto ha corroborato la sensazione – subito sottolineata da un’accorta dottrina – dell’essere, quella inaugurata dalla sentenza n. 1182/2018, una soluzione «destinata a segnare un punto di non ritorno nell’elaborazione teorica del diritto della crisi d’impresa»8. Nel solco di tale sentenza9, la Cassazione ha stabilito che la concessione del termine di cui all’art. 162, co. 1, l. fall., può essere disposta anche in favore del debitore che, sciogliendo la riserva formulata con il ricorso ex art. 161, co. 6, l. fall., alla scadenza del termine opti per il deposito non già della proposta di concordato preventivo, bensì della domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione ai sensi dell’art. 182 bis, co. 1, l. fall., in quanto detta ultima procedura riveste carattere concorsuale e si pone, nell’impianto normativo, in termini di interscambiabilità con il concordato10. Può osservarsi che l’appartenenza degli accordi al novero delle procedure concorsuali, ribadita in rapporto all’applicabilità dell’art. 162 l. fall., trova diverse conferme in base a dati normativi non equivoci: i) nell’ art. 23, co. 43, d.l. n. 98/2011, convertito con modificazioni dalla l. n. 111/2011, che consente agli imprenditori agricoli in stato di crisi o di insolvenza l’accesso «alle procedure di cui agli articoli 182 bis e 182 ter» l. fall.; ii) nell’art. 27 d.m. 20.7.2012, n. 140, recante la determinazione dei parametri per la liquidazione da parte dell’organo giurisdizionale dei compensi per le professioni regolarmente vigilate dal Ministero della giustizia, che prende in considerazione anche e proprio l’accordo di ristrutturazione nell’ambito delle attività di «assistenza in procedure concorsuali», imponendo di parametrare al valore della pratica in funzione del totale delle passività «la liquidazione di incarichi di assistenza al debitore nel periodo preconcorsuale e, altresì, nel corso di una procedura di concordato preventivo, accordo di ristrutturazione di debiti e di amministrazione straordinaria», secondo quanto indicato dal riquadro 9 della tabella C per i dottori commercialisti ed esperti contabili. Il dato normativo nazionale conforta in ciò l’evoluzione fenomenica dell’istituto, sempre più delineato sul piano degli strumenti procedimentali di regolazione della crisi di impresa alternativi al fallimento, ed è coerente con quanto desumibile dal diritto dell’Unione europea, oramai nettamente orientato a inscrivere a tutti gli effetti gli accordi di ristrutturazione tra le dieci procedure concorsuali pubbliche (cfr. l’art. 1 del reg. 2015/848/UE sull’insolvenza transfrontaliera).
La sottolineatura11 in ogni caso postula doversi rapportare l’esegesi alle caratteristiche della concorsualità considerate all’uopo rilevanti in sede sovranazionale, atteso che l’art. 2 reg. 2015/848/UE stabilisce che è «procedura concorsuale» quella «che comprende tutti o una parte significativa dei creditori di un debitore a condizione che, nel secondo caso, la procedura non pregiudichi i crediti dei creditori non interessati dalla procedura».
In base alle accennate evidenze, non appare giustificata, né consonante al diritto vivente, la tesi, ancora sostenuta in dottrina, secondo la quale l’accordo di ristrutturazione dei debiti sarebbe da conchiudere tra gli accordi meri di diritto privato.
È ovvio che tra le caratteristiche dell’istituto in esame sono presenti anche elementi privatistici. Ma è un fatto che rispetto a tali elementi prevalgono le manifestazioni del principio procedimentale segnato dal fine e dal contenuto della moderna concorsualità: quella moderna concorsualità che affonda il tratto saliente nel diritto unionale, e le cui caratteristiche – quanto agli accordi di ristrutturazione ex art. 182 bis l. fall. – emergono in modo palmare dall’esame dell’afferente disciplina di diritto interno.
Ciò rende vano continuare a discettare di procedimento giudiziario teso a dare efficacia a un accordo negoziale fra le parti.
Quale che sia stata la concezione al fondo dell’originaria formulazione dell’art. 182 bis l. fall., è un fatto che la connotazione dell’istituto è nel tempio mutata.
Per quanti sforzi si facciano, appare oggi improponibile ipotizzare la valenza meramente negoziale di un accordo la cui disciplina suppone, dopo l’omologazione, l’estensione ai terzi estranei dell’effetto di dilazione plurimensile dei pagamenti di cui all’art. 182 bis, co. 1, lett. a) e b). Così come non sembra proponibile ipotizzare la suddetta valenza a fronte del divieto per i creditori estranei di iniziare o proseguire azioni cautelari ed esecutive dalla data di pubblicazione di un accordo inter alios, ovvero di acquisire titoli di prelazione.
Non è dato conoscere – nell’ordinamento – contratti impeditivi, sotto pena di inefficacia, della possibilità di concedere garanzie.
Certamente, al netto delle considerazioni svolte a proposito del diritto dell’Unione, chiude il cerchio della concorsualità la disciplina dettata dall’art. 182 septies l. fall. per il caso di accordi di ristrutturazione con banche e intermediari finanziari.
La prevista possibile estensione degli effetti dell’accordo nei confronti di chi non abbia inteso esserne parte non può trovare una giustificazione di matrice contrattualistica, poiché la deroga agli artt. 1372 e 1411 c.c. è rappresentativa di un effetto legale interamente affidato al debitore. Sicché è possibile coglierne, semmai, la propensione di base verso forme di collettivizzazione dell’istituto, segnate dal fine di regolazione della crisi dell’impresa.
È dunque l’incremento progressivo degli effetti legali dell’accordo di ristrutturazione nei confronti dei terzi estranei che finisce per mal tollerare interpretazioni di segno privatistico. Non è senza significato, a tal proposito, il regime di salvaguardia di cui all’art. 182 septies, co. 4, lett. c), incentrato sull’esclusione di qualsivoglia trattamento pregiudizievole rispetto ad alternative e concretamente praticabili forme di soddisfacimento. Tale regime fin troppo chiaramente evoca l’omologa clausola di convenienza che è tipica del concordato preventivo con suddivisione in classi, e dunque rimarca – esso pure – la visione dell’accordo come forma procedimentale alternativa da perseguire sulle ceneri di quella concordataria, da più parti considerata in declino. In ultimo giova dire che la rilevanza degli accordi di ristrutturazione quali procedure concorsuali è supportata dalle prospettive della l. delega 19.10.2017, n. 155, per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza. L’art. 5 della l. delega, allo specifico fine di incentivare gli accordi di ristrutturazione dei debiti, i piani attestati di risanamento e le convenzioni di moratoria, con i relativi effetti, ha imposto quali criteri generali riguardanti gli accordi: a) l’estensione della procedura di cui all’art. 182 septies anche all’accordo di ristrutturazione non liquidatorio o alla convenzione di moratoria conclusi con creditori, pur diversi da banche e intermediari finanziari, rappresentanti almeno il 75% dei crediti di una o più categorie giuridicamente ed economicamente omogenee; b) l’eliminazione o la riduzione del limite del 60% dei crediti previsto nell’art. 182 bis, ove il debitore non proponga la moratoria del pagamento dei creditori estranei, né richieda misure protettive; c) l’assimilazione della disciplina delle misure protettive degli accordi di ristrutturazione dei debiti a quella prevista per la procedura di concordato preventivo, in quanto compatibile; d) l’estensione degli effetti dell’accordo ai soci illimitatamente responsabili, alle medesime condizioni previste nella disciplina del concordato preventivo. Sebbene senza indicazioni in ordine al concetto di procedura concorsuale ritenuto rilevante, la consequenziale bozza licenziata dal legislatore delegato si è dichiaratamente mossa (sezione II) nel solco di un procedimento unitario di regolazione della crisi, caratterizzato, quanto al concordato preventivo e agli accordi di ristrutturazione, da provvedimenti simili in punto di ammissione alla procedura, dalla possibile nomina di un commissario giudiziale e da limitazioni al compimento di atti di straordinaria amministrazione (artt. da 48 a 50). A conclusione del percorso, ove l’esito di un simile impianto fosse confermato, potrà dirsi che la visione giurisprudenziale ne sia stata preconizzatrice.
1 Secondo Cass., 8.8.2016, n. 16614, l’esenzione dell’imprenditore agricolo dal fallimento viene meno ove non sussista, di fatto, il collegamento funzionale della sua attività con la terra intesa come fattore produttivo, o quando le attività connesse di cui all’art. 2135, co. 3, c.c. assumano rilievo decisamente prevalente, sproporzionato rispetto a quelle di coltivazione, allevamento e silvicoltura, con onere della prova a carico di chi invochi l’esenzione.
2 Cfr. Cass., 19.6.2018, n. 16161.
3 Cass., 21.6.2018, n. 16347.
4 Cfr. Cass., 24.9.2012, n. 16187.
5 Cass., 18.1.2018, n. 1182, e Cass., 25.1.2018, n. 1896.
6 V. specificamente Cass., 18.1.2018, n. 1182.
7 Così Cass., 25.1.2018, n. 1895.
8 La notazione è di Fabiani, M., La nomenclatura delle procedure concorsuali e le operazioni di ristrutturazione, in Fallimento, 2018, 288.
9 E di quella gemella n. 1896/2018.
10 Cfr. Cass., 12.4.2018, n. 9087.
11 Sulla quale da ultimo v. specificamente Cass., 21.6.2018, n. 16347.