accorare
. Il verbo è sempre usato in senso figurato (cinque luoghi nella Commedia, uno nelle Rime dubbie e due nel Fiore, sempre in rima), per " addolorare ", " affliggere profondamente ", " torturare il cuore " (cfr. Bonagiunta Ora mai lo meo core 24) ma assume contestualmente particolari sfumature semantiche : in If XIII 84 Domandal tu ancora / di quel che credi ch'a me satisfaccia; / ch'i' non potrei, tanta pietà m'accora, indica la gravezza, l'oppressione del cuore (" mi preme il cuore ", spiega Boccaccio) che prova D. dinanzi alla sorte di Pier delle Vigne in rapporto, come notano tutti i commentatori antichi e moderni, alla propria esperienza; in XV 82 ché 'n / la mente m'è fitta, e or m'accora, / la cara e buona imagine paterna / di voi quando nel mondo ad ora ad ora / m'insegnavate come l'uom s'etterna, esprime il doloroso sentimento del discepolo che vede il viso del suo maestro stravolto e deturpato dalla pena (questa è l'interpretazione più comune; il Rossi invece collega l'accoramento di D. col " miserevole stato " di Brunetto fra i peccatori dell'Inferno); in Pg V 57 sì che, pentendo e perdonando, fora / di vita uscimmo a Dio pacificati, / che del disio di sé veder n'accora, mette in rilievo lo struggimento delle anime che quasi si consumano nel desiderio di vedere Dio (da tener presente la seguente osservazione del Torraca: " Nel Purgatorio il desio è congiunto con la speranza ", perciò non tormenta, non affligge, accora); in X 84 Segnor, fammi vendetta / di mio figliuol ch'è morto, ond'io m'accoro (in costruzione intransitiva pronominale) manifesta lo strazio di una vedovella alla quale è stato ucciso il figlio innocente; in Pd VIII 73 mala segnoria, che sempre accora / li popoli suggelli, vale piuttosto " inasprire ", " opprimere ", " esasperare ": " ferisce nel cuore e irrita a chieder la pena " (Tommaseo).
Significato più generico ha il verbo in Fiore VII 4 sì che del fior non cred'esser gioioso, / se Pietate e Franchezza no ll'accora, e CVII 3 che freddo e fame gli va sì accorando / che non posson pregiar nè Dio nè Santi; e in Rime dubbie XVI 18.