accidente
. Termine della filosofia aristotelico-scolastica (latino accidens, greco (συμβεβηκός) che, opposto o correlato a sostanza, indica tutto ciò che ‛ sopravviene ' a un soggetto senza modificarne l'essenza e che, privo di connessione necessaria con essa, può aggiungersi o sottrarsi senza comportarne variazione: cfr. Arist. Metaph. V 30, 1025a 14-15 " Accidens dicitur quod inest alicui, et quod verum est dicere, non tamen neque necessarium, nec utplurimum "; Porfirio Isagoge tr. Boezio 12 25 " Accidens vero est quod adest et abest praeter subiecti corruptionem... Definitur autem sic quoque ‛ accidens est quod contingit eidem esse et non esse ' ". D. usa il termine quattro volte da solo e otto nella locuzione ‛ per accidente '.
In Pd XXXIII 88 sustanze e accidenti e lor costume / quasi conflati insieme, per indicare la compresenza in Dio di tutte le determinazioni dell'essere come sostanze, a. e loro abiti. In Vn XXV 1 Amore non è per sé sì come sustanzia, ma è uno accidente in sustanzia, a. è inteso come ciò che, contrariamente alla sostanza, non ha in sé la ragione della propria essenza (per sé), ma la deriva dalla sostanza cui esso inerisce (cfr. Tommaso Sum. theol. I 28 2c " accidentis enim esse est inesse "). Nello stesso senso in Vn XXV 8 e Rime XLVII 10, dove a. è opposto a naturale, in riferimento a virtù, per distinguere una facoltà sopravvenuta o temporanea, da una connaturata all'uomo; v. anche Mn III IV 13 e VE II IV 8.
Più frequente l'uso della locuzione ‛ per a. ' (latino per, secundum accidens, greco κατά συμβεβηκός) con la quale è accentuato il carattere di casualità presente nella nozione di a., e che serve a designare uno stato o accadimento privo di rapporto necessario con ciò che è o accade : Arist. Metaph. VI 2, 1027a 7-12 " Eorum enim quae secundum accidens aut sunt aut fiunt, causa quoque secundum accidens est. Quare cum non omnia ex necessitate et semper aut sint aut fiant, sed multa utplurimum, necesse est esse quod secundum accidens est: utputa, nec semper, nec utplurimum albus musicus est. Cum autem aliquando fiat, secundum accidens erit "; commenta Tommaso, ad l.: " Quia tamen aliquando fit, licet non semper nec ut in pluribus, sequitur quod fit per accidens ". Da notare in D. l'uso della coppia ‛ per sé-per a. ', in analogia con la coppia ‛ sostanza-accidente '.
In Cv I II 4 qualunque cosa è per sé da biasimare, è più laida che quella che è per accidente, D. enuncia la differenza tra ciò che è condannabile assolutamente e ciò che lo è relativamente, mediante la contrapposizione ‛ per sé per a. ' (cfr. Tommaso Sum. theol. II II 129 5 ad 3 " semper autem quod per se potius est quam illud quod est per accidens "). A questo principio va ricondotto il passo di Cv I II 7 Lodare sé è da fuggire sì come male per accidente, in quanto il lodare non è un male per sé stesso, ma lo è in modo derivato e relativo perché lodare sé è vantare una virtù inesistente. In I XII 5 lo volgare è più prossimo quanto è più unito... e... non solamente per sé è unito, ma per accidente, D. applica al volgare il concetto di unità sostanziale e accidentale esposto da Aristotele in Metaph. V 6, 1015b 16-17 (" Unum dicitur aliud autem secundum accidens, aliud secundum se "), in quanto detto volgare è unito non solo immediatamente e sostanzialmente (per sé) al parlante, perché presente alla sua mente, ma anche accidentalmente, cioè con rapporto non necessario, tramite gli altri parlanti a lui prossimi, come concittadini e parenti.
In un paragone di Cv III XI 9 come l'amistà per diletto fatta, o per utilitade, non è vera amistà ma per accidente, sì come l'Etica ne dimostra, così la filosofia per diletto o per utilitade non è vera filosofia ma per accidente, D. riferisce alla filosofia quanto affermato da Aristotele sull'amicizia in Eth. VIII 3-6. Diletto e utilità costituiscono un'amicizia o una filosofia ‛ per a. ', perché sono apparenze accidentali e incostanti di esse e non determinazioni sostanziali, che sole possono costituire l'amicizia o la filosofia ‛ vera ', cioè ‛ per sé '. Lo stesso concetto in III XI 15.
Un uso più generico in Cv IV XIV 3, dove è detto che l'opinione secondo cui l'uomo vile non diverrà mai nobile esclude la possibilità che lo diventi per opera che faccia, o per alcuno accidente, cioè " per una qualche evenienza " o " accadimento ".
Un problema è posto da Cv III XII 8, di incerta lezione. L'edizione Busnelli-Vandelli legge così Iddio tutte le cose vivifica in bontade, e se alcuna n'è rea, non è de la divina intenzione, ma conviene quello per accidente essere [ne] lo processo de lo inteso effetto; l'edizione Simonelli invece ma conviene, per quello, accidente essere lo processo de lo inteso effetto. Ma il testo non sembra presentare lacune, e non richiede quindi l'integrazione ne di Busnelli-Vandelli. Qui D. afferma che il processo, cioè la catena causale che procede da Dio alle cose, è diretto per sua volontà a un fine determinato (così come, per l'analogia voluta da D., il calore vivificante discende dal sole alle cose); solo per l'intervento di una causa accidentale esso devia dall'intenzione divina e conviene, perciò, che sia quello (tale cioè da rendere ‛ alcuna cosa rea ') per accidente, vale a dire per un intervento accidentale. Ciò inoltre si giustifica, coerentemente con la metafisica aristotelica, con la considerazione che in mancanza di cause accidentali, tutto sarebbe ferreamente necessario (cfr. Arist. Metaph. VI 3). In tal modo quello avrebbe il termine cui riferirsi, essere si accorderebbe con per accidente e processo ne rimarrebbe il soggetto. A tutto ciò non soddisfa l'edizione Simonelli che, ricostituendo la lezione tradita e interpungendo dopo quello, considera a. in funzione attributiva di processo che, contro ogni ragione, diverrebbe tutt'intero accidentale.
Da notare infine l'uso dell'espressione fallere secundum accidens di Mn III XI 3, per la quale cfr. Alberto Magno Elench. III 3 e Pietro Ispano Summulae log. 7, 44; v. inoltre II V 24.