Crusca, Accademia della
Bisogna risalire agli anni tra il 1570 e il 1580 per ritrovare le prime fondazioni dell'Accademia nelle riunioni che la Brigata dei Crusconi (A.F. Grazzini, Giambatista Deti, Bernardo Zanchini, Bernardo Canigiani, Bastiano de' Rossi) teneva nella bottega in cui i Giunti vendevano libri, presso la chiesa di Badia, giusto la descrizione che ce ne lasciò Alessandro Segni (il Guernito).
Vollero chiamarsi Crusconi perché intesero dare tono scherzoso alle loro conversazioni o lezioni, le cruscate, insofferenti della solenne gravità data alle futili questioni erudite dalla Sacra Accademia Fiorentina. Nel 1582 i Crusconi cominciarono a dar forma regolare alla loro assemblea, battezzandola con il nome di Accademia. Fu poi Leonardo Salviati (l'Infarinato), accolto fra i soci nel 1583, a conferirle nuovo impulso con l'appoggio del Lasca, nonostante l'opposizione di B. Zanchini. Il Salviati assegnò all'Accademia un compito diverso da quello originario: procedere a una cernita, distinguere fra il buono e il cattivo nella battaglia per il primato del volgare fiorentino, propugnando una lingua che avesse a modello gli scrittori del Trecento, D., Petrarca e Boccaccio soprattutto.
Nell'adunanza generale del 29 agosto 1590, compilati gli statuti, si cominciò a discutere del Vocabolario e, su proposta di G. Deti, della correzione del testo della Commedia, necessaria e logica conseguenza del primo. Dal novembre 1591 al luglio 1594, convenuto di tenere a riscontro, come testo fondamentale, quello stabilito dal Bembo nella stampa aldina del 1502, gli accademici lo collazionarono con circa cento manoscritti: quaranta della Biblioteca laurenziana, cinquantuno di privati, uno di Luigi Alamanni, che portava " le correzioni del Varchi di sette testi ", e uno di Cosimo Bartoli, con le varianti di quattro altri manoscritti. La " cura di riveder Dante " venne data al Deti col patto che " gli Accademici richiesti da lui fossero obbligati aiutarlo ". La maggior mole di lavoro la svolse B. de' Rossi (l'Inferigno) che collazionò una trentina di manoscritti ed ebbe poi l'incarico della stampa. Uscita per i tipi di Domenico Manzani, l'edizione porta sui due margini, interno ed esterno, secondo che si tratti di emendamento o di varia lezione, le varianti, alle quali si rimanda con un numero quando la parola ha subito un emendamento o il verso è letto in modo sensibilmente diverso.
Gli accademici però non presero in considerazione molte lezioni nelle quali conviene quasi tutta la tradizione, mentre a volte segnarono in margine varianti che avevano fondamento sull'autorità di un solo testimone. La Prefazione così giustifica questo procedimento: " Potrebbe parere che più si fossero gli Accademici valuti dell'opinione che dell'autorità, avendo o notata varia lezione o rimesso nel testo qualche parola solamente con dieci o dodici testi, e talora meno; ma non è così, perciocché la quantità tralasciata è di peggior lega, e in quei luoghi in fra sé tutta discordante, e le varietà della lor lezione così frivole e scipite, che sarebbe stato una milensaggine il mentovarle ". La Commedia edita dalla C., con le 465 lezioni dell'Aldina rifiutate, rappresentò il primo concreto tentativo moderno di edizione critica, ma risultò viziata dai metodi troppo empirici e meccanici adottati. Pur avendo un antecedente nello studio dell'antica tradizione manoscritta compiuto da B. Varchi e da V. Borghini, nella scia della ‛ vulgata ' del Boccaccio, i curatori non si posero all'opera con un preciso criterio e con l'obbiettività scientifica necessaria per un lavoro di tale impegno. Molto spesso nella scelta delle lezioni da adottare prevalse l'arbitrio e il giudizio estetico.
Che gli Accademici stessi si rendessero conto della inadeguatezza dei risultati raggiunti è dimostrato dalla risoluzione, presa alcuni anni dopo, di procedere a una seconda edizione critica del testo della Commedia, attraverso nuove esplorazioni della tradizione manoscritta. La correzione rimase però pura intenzione. Nel 1716 apparve a Napoli un'edizione " ridotta a miglior lezione dagli Accademici della Crusca ", ma il testo non ebbe veste più acconcia. Nell'edizione del 1837 gli Accademici, rilevate le manchevolezze di quella del 1595, indicavano la via da seguire, fondata sulla ragione e sul senso critico, ma, come per le edizioni del 1502 e del 1595, si attennero al manoscritto esemplato dal Boccaccio, il Vat. lat. 3199.
Per quanto riguarda la disputa fra gli antichi e i moderni, la C. si schierò in favore della tradizione letteraria e in difesa della lingua fiorentina, identificata con la difesa di D., il cui poema sostenne e ammirò anche contro le regole classiche. Carlo Dati, uno degli accademici più illustri, scrisse la Veglia in difesa di Dante contro le accuse di G. Della Casa, e Francesco Ridolfi fu quello che meglio studiò e comprese D., ponendo come ottimo criterio esegetico quello di studiare il poeta basandosi sulle sue opere: " L'ottimo interprete è Dante a se medesimo. Bisogna... leggere con attenzione il Convivio, studiare accuratamente le Rime... Ed ecco aperto... un campo spazioso per mostrar Dante più chiaro e luminoso del mezzogiorno; e questo è il mezzo più sicuro di farlo piacere, operar ch'e' sia inteso ".
Alla composizione del Vocabolario la C. si dedicò per lunghi anni. Fu deciso di spogliare, oltre alla Commedia, il Decameron, il Canzoniere del Petrarca e i testi moderni fino al Della Casa, " secondo il giudicio de' Deputati ", che in numero di quattro (F. Marinozzi, C. Macinghi, P. Segni, F. Sanleolini) vennero nominati nel 1597 dall'arciconsolo Piero de' Bardi (il Trito). Ad essi, in un secondo tempo, vennero aggiunti G. Deti, P. de' Bardi, M. Buonarroti, C. Bassoli. Nel novembre del 1610 Bastiano de' Rossi si recò a Venezia con il materiale manoscritto per curarne la stampa. La prima edizione del Vocabolario, in un volume, uscì nel 1612. Nel 1623 ne apparve una nuova edizione accresciuta e una terza nel 1691, portata a tre volumi, perché furono inclusi nello spoglio autori quali Tasso, Segneri, Pallavicino. La quarta edizione, curata dal Salvini, dal Biscioni e dal Bottari, uscì a Firenze dal 1729 al 1788 in sei volumi.
Fusa nel 1783 con l'Accademia Fiorentina e con quella degli Apatistici per volontà di Pietro Leopoldo, l'Accademia della C. venne ricostituita come ente a sé stante con decreto napoleonico del 1811.
Più tardi la C. passò tra gli enti statali del granduca Ferdinando III, con l'ufficio di tenere lezioni su D. e Omero, curare la pubblicazione di testi di lingua e provvedere a una nuova edizione del Vocabolario. Il primo volume, in fascicoli, apparve dal 1842 al 1863, ma la pubblicazione, interrotta dopo l'undicesimo volume (1923), non andò oltre la lettera O.
La C. iniziò una nuova vita nel 1924. Ai vecchi Atti, pubblicati dal 1819 al 1922, furono sostituiti gli Studi di filologia italiana, che dal '27 a oggi hanno raggiunto i 25 volumi, e furono avviati gli studi per l'edizione critica degli scrittori dei primi secoli. Dal 1965 la C. ha dato l'avvio al Dizionario storico della lingua italiana.
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