al-FĀRĀBI, Abū Nasr Mlḥammad ibv muḥammad ibn Ṭarkhān ibn Awzalagh
L'Alfarabi o Alpharabius o Avennasar, ecc. degli scritti latini medievali, uno dei più famosi filosofi musulmani, soprannominato in arabo al-mu‛allim ath-thānī "il secondo maestro" (il primo essendo Aristotele), natu nel Turkestan a Wagsīǵ, nel territorio della città di Fārāb (più tardi Uṭrār), ossia sulla riva sinistra del Sīr Daryā a circa 42° 40′ lat. N., e morto a Damasco nel ragiab 339 eg. (fine del 950 o principio del 951) in età di 80 anni o più. Dopo la sua prima giovinezza egli, di razza turca, si stabilì nella Mesopotamia, particolarmente a Baghdād, e vi si perfezionò negli studî di logica sotto la guida di due filosofi cristiani, uno dei quali almeno certamente nestoriano. Tutto dedito agli studî, sul finire del 330 (settembre 942) si trasferì in Siria (Aleppo e Damasco), ove passò il resto della sua vita, salvo breve dimora in Egitto.
Fra libri e opuscoli compose in arabo oltre un centinaio di lavori riguardanti la filosofia, la matematica, l'astronomia, la medicina, l'alchimia teorica e la musica; musicista valentissimo, scrisse parecchi libri assai importanti e celebrati sulla teoria matematica della musica e degli strumenti musicali, applicando per primo le dottrine greche all'arte orientale (cfr. vol. III, in varî punti delle pagg. 872-877). Dei numerosi scritti filosofici parte sono commenti o annotazioni o riassunti brevi a libri d'Aristotele e di Alessandro d'Afrodisia (Metafisica e De anima) e parte lavori originali; pochissimi, quasi tutti opuscoli, sono giunti a noi, e parecchi di essi rimangono inediti o anche sono soltanto in versioni ebraiche medievali.
Assai apprezzati furono i suoi scritti logici, dei quali il poco a noi pervenuto è inedito; pur movendosi nell'ambito di Aristotele, seppe aggiungere e introdurre considerazioni nuove, come risulta dalle citazioni ricorrenti in Averroè.
Negli altri campi della filosofia al-Fārābī, animo profondamente religioso e mistico, mise d'accordo le dottrine aristoteliche con le neoplatoniche e con i principî dogmatici dell'islamismo: in ciò aiutato dall'aver creduto genuini alcuni scritti apocrifi circolanti fra gli Arabi sotto il nome di Aristotele, sicché, per es., credette che questi avesse affermato la creazione dal nulla e l'esistenza delle pene e dei premî nella vita futura.
All'affermazione del Necessariamente Esistente o Primo Principio o Causa Prima (cioè Dio) al-Fārābī giunge, con Aristotele, mediante la considerazione dell'assurdità d'una catena infinita di possibili (contingenti) ognuno dei quali debba l'esistenza ad altro possibile; ma vi giunge anche considerando che le cose esistenti hanno l'essenza (māhiyyah "quidditas, essentia") distinta dall'esistenza (huwiyyah "ipseitas", individualità) e che la seconda non è cosa la quale si unisca da sé medesima alla prima, cosicché si arriva necessariamente a quel principio in cui l'essenza non è alcunché di distinto dall'esistenza. Nel modo poi di considerare la divinità e la divina provvidenza sono manifesti gl'influssi neoplatonici e del Corano; fra l'altro non è più aristotelico il concetto che Dio sia non soltanto il primo amato (o desiderato) ma anche il primo amante. Dio, senza essere mosso da alcuna causa esterna a lui stesso, ha creato il mondo dal nulla in una volta sola e gli ha accordata l'eternità nel futuro; la creazione non ha avuto luogo nel tempo, nel senso che il tempo è connesso con le cose (delle quali costituisce il legame) e non poteva quindi esistere prima del mondo. La scienza e la volontà eterne di Dio sono la causa unica dell'esistenza delle cose. Ma dall'uno assoluto non può nascere il molteplice direttamente; quindi al-Fārābē, inspirandosi al neoplatonismo, escogita un suo sistema di successive emanazioni spiritualistiche, al quale toglie ogni sapore panteistico affermando in varî scritti la netta distinzione di Dio dal mondo e negando che "le cose da Lui derivino per via naturale senza ch'Egli abbia conoscenza e volontà della loro derivazione e del loro accadere". Dal Primo emana dunque l'esistenza del secondo, anch'esso sostanza incorporea immateriale; questo secondo è la prima delle intelligenze, è l'"intelletto attivo", il quale dispensa al mondo le forme esistenti ab aeterno nella mente di Dio; da esso, in quanto intende (o pensa) il Primo, deriva necessariamente l'esistenza del terzo, ossia di una seconda intelligenza, e in quanto intende sé medesimo produce l'esistenza del "primo cielo" (ossia dell'ultima, nona sfera celeste a partire dalla luna). A sua volta il terzo, intendendo il Primo, dà origine a una terza intelligenza, e, intendendo sé stesso, alla sfera delle stelle fisse. E cosi via via sorgono le altre intelligenze astratte o immuni da rapporti con la materia, e le sfere dei sette pianeti tolemaici, di cui l'ultimo è la luna. Nel mondo sublunare soltanto hanno luogo gli enti soggetti a variazione. È la cosmogonia poi accolta da Avicenna; soltanto che questi considera come intelletto attivo l'intelligenza ultima della serie (v. avicenna v, p. 639, e colcodea) anziché la prima.
Nella questione degli universali al-F., sul modello di al-Kindī, professa un realismo temperato, corrispondente a quello che la scolastica indica con la triplice esistenza loro ante rem, in re, post rem. Parimenti sviluppando al-Kindī eqli dà la famosa divisione dell'intelletto umano in intelletto in potenza, intelletto in atto e intelletto acquisito (‛aql mustafād, "intellectus adeptus" dei nostri scritti medievali); quest'ultimo, a cui il secondo serve quasi di substrato, è il grado più elevato, quello che, con grande sforzo intellettuale, permette a uomini eccezionali di congiungersi già in questa vita con l'intelletto attivo e cosi di raggiungere la somma scienza e la somma felicità. Se dobbiamo credere a due scrittori arabi di Spagna (ibn Tufail e Averroè), al-Fārābī, non essendo mai riuscito a raggiungere siffatta congiunzione, negli ultimi anni della sua vita la avrebbe considerata come una favola da vecchierelle. In ogni caso siffatta congiunzione costituirà il sommo bene per gli eletti fra gli eletti nella vita futura.
I due scritti a noi giunti di politica hanno carattere puramente dottrinario, assai più vicino al tipo platonico che all'aristotelico, e sono frammisti a insegnamenti di metafisica, tanto che uno di essi s'intitola indifferentemente "sul reggimento dello stato" (as-siyāsah al-madaniyyah) o "Sui principî delle cose esistenti" (mabaādi'al-mawgiūdāt).
L'influenza di al-F. fu assai grande su Avicenna e su altri filosofi della parte orientale del mondo musulmano; alquanto minore (salvo per ciò che concerne la logica) nella parte occidentale. Nel campo teologico della scuola ash‛arita (v. al-ash‛arī e islamismo) parecchie delle sue dottrine, comprese alcune interpretazioni di cose oltramondane accennate nel Corano, furono acremente combattute, per es. da al-Ghazālī (v.), nella sua celebre Destructio philosophorum. Negli scrittori medievali latini ed ebraici al-F. è spesso citato; il suo notevole scritto sulla "Enumerazione delle scienze" iḥṣā' al-‛ulūm, cioè sulla loro classificazione e il loro contenuto, servì di base al De divisione philosophiae di Domenico Gundisalvi (Gundissalinus) in Spagna nel sec. XII; il De intellectu et intellectis fu pure tradotto in latino e assai studiato.
Bibl.: A. Schmoelders, Documenta philosophiae Arabum, Bonn 1836, p. 17-25, 42-70, 87-124, oltre ai testi in arabo (trad. e commento, sempre utili malgrado qualche errore, di due opuscoli); H. Ritter, Geschichte der Philosophie, VIII (Gesch. d. christl. Philos., IV), Amburgo 1845, p. 1-18 (buono studio sui due opuscoli tradotti dallo Schmoelders e sul de intellectu); A. Stöckl, Gesch. d. Philosophie des Mittelaters, II, Magonza 1865, pp. 16-23 (in base ai tre opuscoli studiati dal Ritter); M. Steinschneider, Al-Farabi... Leben und Schriften, Pietroburgo 1869 (in Mém. Acad. Impér. des sciences, VII, xiii, n. 4; lavoro importantissimo per la bibliografia); C. Prantl, Gesch. der Logik im Abendlande, II, Lipsia 1861, pp. 301-318; Carra de Vaux, Avicenne, Parigi 1900, pp. 91-116; T. J. De Boer, Gesch. d. Philosophie im islam, Stoccarda 1901, pp. 98-116 (trad. inglese, Londra 1903); A. Nagy, Notizie intorno alla Retorica d'al-Fārābī, in Rendic. Accad. Lincei, Classe scienze morali, 1893, pp. 684-691 (sul breve scritto mal tradotto in latino alla metà del sec. XIII e stampato a Venezia nel 1481 e 1515); Alfārābī's Philosophische Abhandlungen, testo arabo a cura di F. Dieterici, Leida 1890, e trad. ted. dello stesso, Leida 1892 (otto opuscoli, fra cui i due già pubblicati dallo Schmoelders; la stella raccolta fu poi ripubblicata in arabo al Cairo nel 1907 e 1909; singoli opuscoli furono anche riediti al Cairo e a Ḥaidarābād del Dekkan); Das Buch der Ringsteine Farabis mit dem Kommentar des... Farani, tradotto in tedesco da M. Horten, Münster 1906 (forma il grosso vol. V, fasc. 3 dei Beiträge zur Geschichte der Philosophie diretti da C. Baeumker; l'opuscolo, in arabo Fuṣūṣ al-hìkmah, è fra quelli già editi dal Dieterici; il commento farraginoso è del sec. XV), Der Musterstaat von Alfārābī, edito dal Dieterici (Leida 1895) e dal medesimo tradotto in tedesco (Leida 1900); Die Staatsleitung von Alfārābī, tradotto in tedesco dal Dieterici (Leida 1904; il testo arabo è inedito); una buona ed. della versione medievale latina del De intellectu, con traduzione francese, fu data da E. Gilson (con appendice dell'arabista L. Massignon), in Archives d'histoire doctrinale et littéraire du moyen âge, IV, Parigi 1929, pp. 108-142, 151-158, e cfr. 27-38. Il libro sulla enumerazione delle scienze è in corso di pubblicazione in arabo e spagnolo a cura di A. Gonzáles Palencia; per ora cfr. M. Bouyges in Mél. de l'univ. Saint-Joseph, IX, beirut 1923, p. 49-69.
Per la musica d'al-Fārābī: J. G. L. Kosegarten a pp. 33-193 della prefazione ad Alii Ispahanensis Liber cantilenarum magnus, Greifswald 1840; J. P. N. Land, Recherches sur l'histoire de la gamme arabe, in Actes du 6e Congrès intern. de orientalistes (Leide 1883), Leida 1885, parte 2ª, sez. 1ª, pp. 100-168 (estratti in arabo e francese dal trattato analizzato dal Kosegarten); P. Tripodo, Abū Naṣr al-Fārābī e i suoi scritti musicali, Roma 1905. Il grande trattato sulla musica si è cominciato a pubblicare nel 1930 a Parigi, in traduzione francese di R. d'Erlanger, sotto il titolo: la musique arabe.