al-GHAZZĀLĪ (o, meno correttamente, al-Ghazālī), Abū Ḥāmid Muḥammad ibn Muḥammad aṭ-Ṭūsī
L'Algazel o Algazelus dei nostri scrittori medievali; uno dei più insigni pensatori musulmani: teologo, mistico, moralista, filosofo e giurista, nato a Tūs nel Khorāsān (Persia di nord-est) nel 450 èg. (1058 d. C.), e ivi morto nel 505 èg. (1111 d. C.). Allievo, a Naisābūr, del grande teologo e giurista shāfi‛ta Imām al-Ḥaramain, alla morte di questo (478 èg.-1085 d. C.) si trasferì a Baghdād, ove il celebre ministro selgiūqide Niẓām al-Mulk sei anni più tardi lo volle professore di materie teologiche e giuridiche nella scuola superiore an-Niẓāmiyyah da lui fondata. In seguito a una crisi interiore che lo volse al sūfismo (ascetico-mistica) nel 488 èg. (1095 d. C.), lasciò Baghdād e si recò a dimorare in Siria, alla Mecca e in altri luoghi ancora, durante un periodo di nove anni di vita principalmente ascetica; ma nel 499 èg. (1105 d. C.) fu costretto ad accettare l'insegnamento nella scuola superiore an-Niẓāmiyyah di Naisābūr, finché riuscì a liberarsi dall'ufficio per ritirarsi a vita religiosa e d'insegnante, con pochi discepoli eletti, nella sua città nativa.
La crisi interiore sopra indicata lo portò non a un vero antiintellettualismo (come vorrebbe il Macdonald), ma a porre una distinzione fra il dominio dell'intelletto e quello della rivelazione profetica; e tale distinzione si manifesta già nel famoso libro Tahāfut al-falāsifah ("L'incoerenza dei filosofi", Destructio philosophorum del Medioevo latino), finito di comporre al principio del 488 èg. (gennaio 1095), nel quale al-Gh. intende dimostrare che la pura filosofia degli aristotelici arabi, quali al-Fārābī (v.) e Avicenna (v.), malgrado le loro intenzioni, non riesce a dimostrare l'esistenza di Dio, la creazione del mondo, l'immortalità dell'anima, ecc. Analogamente al-Gh. in altre opere, e particolarmente nella maggiore e famosa, composta nel periodo dei nove anni su accennati e intitolata Iḥyā' ‛ulūm ad-dīn "La vivificazione delle scienze religiose", mostra l'insufficienza della sola teologia speculativa, a base filosofica, per raggiungere la certezza in parecchi punti della religione, e l'inadeguatezza del rituale, preso nel suo solo lato formalistico a soddisfare i bisogni di una religiosità e di una morale elevate, l'Iḥiyā' si propone quindi di mostrare come il cuore, ossia il sentimento, debba non disgiungersi mai dalle pratiche del culto, dalle credenze e dagli atti ordinarî della vita individuale e sociale. La via ascetico-mistica, cioè il ṣūfismo, è la suprema aspirazione delle anime elette; essa fornisce il massimo perfezionamento morale e dà quella certezza che in talune materie non può essere conseguita con le sole forze intellettuali. Ma il sūfismo di al-Gh. è un sūfismo temperato, lontano dalle esagerazioni panteistiche e non presumente di portare la comune degli uomini agli stati mistici; sicché contro gli abusi dei sūfi si leggono pagine non meno veementi di quelle contro il gretto formalismo dei dottori che sembravano esaurire la religione nelle pratiche esteriori del rituale. L'opera di al-Gh. fu di enorme portata nell'islamismo; essa determinò in modo definitivo l'accoglimento del sūfismo moderato nell'ortodossia, con una serie di conseguenze religiose, sociali e anche politiche, che potrebbero essere esposte solo in una storia dell'islamismo. La sua etica esercitò notevole influsso sul giudaismo europeo medievale e sul cristiano siro Barhebreo (v.).
Grande pure fu al-Gh. nelle scienze giuridiche. I quattro volumi in-4° del suo al-Mustasfà sono una trattazione originale di quella che per i musulmani è la teoria generale e la metodologia del diritto; i suoi trattati di diritto applicato (dei quali edito è soltanto il relativamente piccolo al-Wagīz, che fu assorbito in gran parte nel Nomocanone del vescovo siro giacobita Barhebreo), godono meritatissima fama e, pur seguendo la scuola shāfi‛ta, indicano le discrepanze delle altre scuole.
In filosofia pura compose alcuni libri di logica e un riassunto completo (logica, fisica e metafisica) intitolato Maqāṣid al-falasifah (I propositi dei filosofi), tradotto in latino nel sec. XII dallo spagnolo Domenico Gundisalvi e quindi spesso citato da nostri scrittori medievali, p. es. da S. Tommaso. Sennonché fu preso un grosso abbaglio: al-Ghazzālī, come dice nella prefazione (soppressa in parecchi manoscritti latini) e alla fine, lo aveva composto esclusivamente per esporre in modo imparziale le idee e dottrine del peripatetismo arabo, ch'egli si apprestava a confutare in altra opera (il Tahāfut); i latini non badarono a ciò e quindi attribuirono ad al-Gh. stesso tesi da questo in realtà riprovate. Tipico è il caso del notissimo opuscolo d'ignoto autore del sec. XIII De erroribus philosophorum, ove le opinioni rimproverate ad al-Gh. sono estratte dai Maqāṣid, come dimostrò M. Bouyges (1921), e sono invece quelle che al-Gh. combatteva. Polemista vivace contro i filosofi arabi peripatetici e contro l'eresia bāṭinita, i cui seguaci si rendevano colpevoli di guerre ed assassinî, al-Gh., fuori di questo campo, si manifesta uno spirito pieno di mitezza e tolleranza, della quale è un saggio il libro al-Iqtiṣād fī 'l-‛tiqād, accessibile a tutti nella versione spagnola di M. Asin Palacios, El justo medio en la creencia (Madrid 1929).
Sarebbe impossibile qui enumerare le moltissime opere grandi e piccole di al-Gh., tutte (salvo rarissime e piccole eccezioni persiane) in arabo; ricordiamo solo l'opuscolo al-Munqidh min aḍ-ḍalāl (Il salvante dell'errore), prezioso anche come esposizione autobiografica della crisi spirituale dell'autore e tradotto in francese da C. Barbier de Meynard (in Journal Asiatique, s. 7ª, IX, 1877, pp. 5-93, che migliorò notevolmente la traduzione pure francese dello Schmölders del 1842) e in inglese da C. Field (The confessions of al-Gh., Londra 1909), e l'altro intitolato Mishkāt al-anwār e tradotto in inglese da W.H.T. Gairdner (Londra 1924), che suscita difficili problemi intorno a eventuali dottrine riservate o esoteriche di al-Gh. e diede luogo ad accuse d'insincerità da parte dei filosofi spagnoli Ibn Ṭufail (v.) e Averroè (v.). Di quest'ultimo è poi notissima, poiché due volte tradotta in latino e più volte stampata, la vivacissima replica al Tahāfut al-falāsif.
Bibl.: R. Gosche, Über Ghazzâlîs Leben und Werke, Berlino 1858; D. B. Macdonald, Life of al-Ghazāli with special reference to his religious experiences, in Journal of the mer. Oriental Society, XX (1899), pp. 71-132; M. Asín Palacios, Algazel: dogmática, moral, ascética, Saragozza 1901; Carra de Vaux, Gazali, Parigi 1902; J. Obermann, Der philosophische und religiöse Subjektivismus Ghazalis, Vienna e Lipsia 1921 (libro notevole, benché la sua tesi fondamentale sia errata); M. Asín Palacios, La mystique d'al-Gazzali, in Mélanges de la Fac. Orient. de l'Univ. St-Joseph, VII (Beyrouth 1914-1921), pp. 67-104; M. Gouyges, Algazeliana, in Mélanges Fac. Orient., VIII (1922), pp. 479-519 (importante rassegna critica di studî altrui); T.J. de Boer, Geschichte der Philosophie im Islam, Stoccarda 1901, pp. 138-150; id., Die Widersprüche der Philosophie nach al-Gazzālī und ihr Ausgleich durch Ibn Rošd, Strasburgo 1894; S. Munk, Mélanges de philosophie juive et arabe, Parigi 1859 (rist. anastatica 1927), pp. 366-382. La trattazione in C. Prantl, Gesch. der Logik, II, Lipsia 1861, pp. 361-373, non ha valore, perché fondata sulla versione latina dei Maqāṣid, che abbiamo visto non rappresentare il pensiero di al-Ghazzālī. Il gesuita M. Bouyges, che nel 1927 pubblicò un'ottima edizione critica del Tahafut, ne sta preparando una versione francese o latina.