Abu Ghraib
Abū Ghraib (Abū Ghurayb). – Cittadina irachena situata a ovest di Baghdad dove nel corso degli anni Settanta del Novecento il regime iracheno costruì una prigione che, all'inizio della guerra in Iraq (v.), fu trasformata dal comando statunitense in centro di detenzione dei prigionieri iracheni. Divenne nota all’opinione pubblica alla fine dell’aprile 2004, quando i principali media degli Stati Uniti e internazionali iniziarono a diffondere alcune fotografie scattate nell’autunno dell’anno precedente da soldati statunitensi che li ritraggono nell’atto di infliggere torture e umiliazioni ai prigionieri di guerra iracheni lì detenuti. Alle prime immagini rese note dal programma televisivo americano 60 Minutes ne seguirono presto altre a testimonianza delle sevizie inflitte ai prigionieri, che vi appaiono nudi, legati e incappucciati, derisi e costretti ad assumere posizioni umilianti. Lo scandalo che ne è derivato ha investito l’amministrazione Bush sollevando gravi dubbi sulla responsabilità di quanto accaduto, ma soprattutto sulla legittimità stessa della missione statunitense nel paese mediorientale. La guerra in Iraq è stato di fatto il primo conflitto a essere rappresentato in diretta nell’era delle nuove tecnologie: la vicenda delle fotografie di A. G., riprese con cellulari e fotocamere digitali e inviate dai soldati ad amici e parenti, testimonia la dimensione collettiva assunta dalla pratica fotografica attraverso l’immissione delle immagini sul web e la velocità raggiunta dalla copertura mediatica nella trasmissione delle informazioni. Emerge l’importanza assunta dalla pratica amatoriale nel testimoniare, anche involontariamente, una visione del conflitto diversa e per molti versi opposta a quella prodotta dal fotogiornalismo embedded (ovvero dai professionisti al seguito delle truppe, in qualche modo spinti a fornire una rappresentazione dei fatti unilaterale). Contrariamente a quest’ultimo, che non ha prodotto icone significative del conflitto, le fotografie di A. G., rendendo pubblica la pratica della tortura, si sono imposte nella memoria collettiva come simbolo della protesta contro le atrocità della guerra. Tra il 2004 e il 2006 undici soldati dell’esercito degli Stati Uniti, tutti congedati con disonore, sono stati condannati di fronte alla corte marziale con pene di vario genere, fino a un massimo di dieci anni di reclusione, per le torture psicologiche, fisiche e sessuali inflitte ad Abū Ghraib. Scagionati da qualsiasi responsabilità i vertici del Pentagono, ad eccezione del generale dell’esercito allora responsabile della struttura carceraria, degradata a colonnello con l’accusa di non aver vigilato sui suoi sottoposti. Nel dicembre 2008 un rapporto pubblicato dal Senato statunitense ha richiamato alle sue responsabilità l’amministrazione Bush e in particolare l’ex segretario alla difesa Donald Rumsfeld, in carica dal 2001 al 2006, per aver incoraggiato l’adozione di tecniche di interrogatorio aggressive contribuendo così a creare un clima che ha reso possibile il trattamento violento e inumano dei prigionieri di guerra iracheni.