MASSALONGO, Abramo Bartolomeo
– Nacque a Tregnago, nel Veronese, il 13 maggio 1824 da Bartolomeo e Teresa Milani. Dopo gli studi elementari frequentò il liceo di Verona, mostrando grande interesse per le materie scientifiche.
In particolare seguì le lezioni di botanica – materia che, dopo la riforma degli studi liceali introdotta dal governo del Regno lombardo-veneto, da obbligatoria (quale era sotto il Regno d’Italia napoleonico) era diventata facoltativa – impartite da docenti come il geologo T.A. Catullo prima e S. Castelli poi. Nel 1844 il M. si iscrisse alla facoltà di medicina di Padova, dove esisteva una cattedra di botanica, ma le cattive condizioni di salute lo costrinsero a trasferirsi a quella di giurisprudenza, che non richiedeva la frequenza. Dalla fine del 1847, insieme con il botanico A. Manganotti, frequentò l’orto botanico padovano, ove compì le prime osservazioni; in seguito alle vicende politiche del 1848, costretto a rientrare a Tregnago, iniziò la raccolta di piante e fossili delle valli circostanti. Tornò quindi a Padova, ospite del prefetto dell’orto botanico R. De Visiani, per laurearsi nel febbraio del 1849 e per fare ricerche di botanica e di geologia presso l’orto, il Museo geopaleontologico e il Museo di storia naturale. Nel 1851 fu nominato supplente di storia naturale nel ginnasio-liceo di Verona.
Furono essenzialmente due i campi di studio del M.: la geologia, con la paleontologia vegetale, e la lichenologia, nei quali produsse quasi novanta lavori, alcuni dei quali pubblicati postumi.
La paleontologia vegetale aveva pochi cultori in Italia, con scarsi lavori diretti sul territorio. Con le sue ricerche paleobotaniche il M. avviò uno sviluppo della disciplina che non si è più interrotto. Iniziò le pubblicazioni con uno Schizzo geognostico sulla valle del Progno o torrente d’Illasi, con un saggio sopra la flora primordiale del monte Bolca (Verona 1850), quasi una introduzione generale alle successive ricerche paleontologiche, dove illustrava i terreni e i fossili colà rinvenuti con un prospetto delle piante fossili esistenti nei terreni terziari di varie parti d’Europa, seguito nel 1851 da un volume sulla flora fossile terziaria dei dintorni di Schiavon e di Salcedo (Sopra le piante fossili dei terreni terziari del Vicentino. Osservazioni, Padova 1851). Questa flora, messa a confronto con quella analoga di località croate e serbe, faceva ipotizzare la presenza di un antico mare esteso fino alle Alpi e ai Carpazi. All’opera unì in appendice un Prospetto della flora terziaria europea, che alle già conosciute 1124 specie ne aggiungeva 49, e ai 294 generi noti ne aggiungeva 5. Del lavoro furono apprezzati il metodo, le accurate descrizioni e la perizia nel confrontare le piante fossili rinvenute con quelle viventi.
A Verona il M. continuò la ricerca sul campo mentre dava alle stampe un Conspectus florae tertiariae orbis primaevi, Patavii 1852, e una Synopsis Palmarum fossilium, Veronae 1852. Vi descrisse almeno cinque nuove specie e un nuovo genere di palme, mentre quasi altrettanti specie e generi descrisse nella Sapindacearum fossilium monographia, ibid. 1852. Una ricerca, questa, densa di difficoltà, in particolare per la definizione di entità delle quali spesso i resti fossili non permettevano chiarezza di visione e completezza di forme, inducendo lo studioso ad affidarsi a ciò che gli sembrava più affine o probabile, pronto a cambiare collocazione sistematica e denominazione quando trovava obiettive ragioni per farlo. In collaborazione con De Visiani, suo protettore e amico, stese un’originale Synopsis plantarum florae tertiariae Novalensis (in Flora oder allgemeine botanische Zeitung, XXXVII [1854], 8, pp. 113-128), ripresa in Flora de’ terreni terziarii di Novale nel Vicentino (Torino 1856, sempre in collab. con De Visiani), paese da cui aveva ricevuto un nutrito numero di esemplari fossili, preceduta da un prospetto di confronto con le altre flore terziarie d’Europa e con specie analoghe ma viventi, nel tentativo di delineare l’antica forma dell’Europa centrale e settentrionale.
Nella Descrizione di alcuni fuchi fossili della calcaria del monte Spileceo nella provincia veronese (Padova 1856; estr. da Riv. periodica dei lavori dell’I.R. Acc. di scienze, lettere ed arti di Padova, 1855-56, n. 3-4) il M. prospettò l’ipotesi che il calcare molto esteso nel Veronese e nel Vicentino potesse essere interpretato quale terreno di raccordo tra l’ultimo strato mesozoico e il primo cenozoico e portò i fossili presenti, in particolare fucoidi, a sostegno di questa ipotesi.
Il M. possedeva ormai una vasta raccolta di fossili, frutto anche dei doni di naturalisti amici, come gli esemplari, circa una quarantina, del geologo G. Scarabelli Gommi, attivo tra Romagna e Marche, che illustrò nel Prodromus florae fossilis Senogalliensis (Milano 1854), inquadrando la descrizione di una ventina di nuove specie nel contesto geologico in cui erano state rinvenute. La Synopsis florae fossilis Senogalliensis (Veronae 1858) preparava quello che è forse il miglior lavoro del M. in collaborazione con Scarabelli Gommi (Studii sulla flora fossile e geologia stratigrafica del Senigalliese, Imola 1859), uno studio accuratissimo della flora fossile e della geologia stratigrafica della zona di Senigallia illustrato da 45 tavole da lui stesso disegnate, ove le nuove specie da lui registrate facevano ammontare quella flora a 350 specie circa e 153 generi.
Non trascurò i temi zoologici, in particolare sui Rettili (Catalogo dei rettili delle province venete, Venezia 1859), e paleontologici (Monografia delle Nereidi fossili del monte Bolca, Verona 1855), cui dedicò osservazioni acute e originali. Come botanico il M. si occupò soprattutto dei licheni. Nell’inedita Lichenografia della valle di Tregnago, del 1848 (Verona, Biblioteca civica, Massalongiano, vol. 3, 1502, XII), descrisse un gruppo dalla posizione sistematica in via di definizione.
Una prima classificazione di impianto linneano era stata fatta nel sec. XVIII dal fondatore della lichenologia, lo svedese E. Acharius, basata sugli aspetti organografici allora noti. Fu poi corretta e rielaborata dai botanici successivi, che si orientarono lungo tre linee di ricerca, differenziate dai caratteri presi in considerazione – il tallo, l’apotecio, le spore – per la sistemazione di generi e specie. In Italia uno dei maggiori lichenologi era stato P.A. Micheli; negli anni in cui operava il M. alla classificazione dei licheni lavoravano altri italiani, tra cui S. Garovaglio, V. Trevisan e G. De Notaris: quest’ultimo descrisse sei generi di licheni definendoli in base alla morfologia delle spore.
Seguendo il metodo eclettico adottato da De Notaris e dal francese A.-L.-A. Fée, il M. avviò un lavoro lungo e scrupoloso al microscopio, per esaminare la morfologia di queste entità botaniche. Nelle Ricerche sull’autonomia dei Licheni crostosi (Verona 1852), arricchite da quasi 400 figure, definì chiaramente i limiti specifici di forme note o nuove, descritte ancora confusamente o ritenute semplici varietà. Tentando anche un riordino della categoria dei generi, il M. ne introdusse di nuovi e altri ne unificò, seguendo il suo metodo che prendeva in considerazione organi diversi. Costruì così una sistematica, che non escludeva l’importanza di altri caratteri per la definizione specifica, in tal modo rispondendo anche alle aspre critiche di unilateralità mossegli da W. Nylander nello scritto Alcuni generi di Licheni nuovamente limitati e descritti (Verona 1855).
Furono 138 i generi nuovi pubblicati dal M. (una quarantina sono stati accettati nella revisione di M.E. Hale, An historical review of the genus concept in lichenology, in Beihefte zur Nova Hedwigia, 1984, vol. 79, pp. 11-23), spesso accompagnati da suoi disegni, con 27 tavole originali ad acquerello o a tempera presenti nel Museo di storia naturale di Verona.
Il M. morì a Verona il 25 maggio 1860.
Sposò nel 1851 Maria Colognato, dalla quale ebbe cinque figli, fra cui Caro Benigno, naturalista, Orseolo, architetto ed entomologo, e Roberto, medico. Fu socio di molti importanti corpi scientifici, tra cui l’Accademia dei XL, l’Istituto veneto, l’Accademia delle scienze di Torino, l’Accademia di Berlino, l’Accademia Leopoldina di Praga. Nel dicembre 1960 nel Museo di storia naturale di Verona è stata realizzata una mostra dei cimeli e delle opere del Massalongo. Disegni, manoscritti, stampe, giornali, opuscoli, esemplari di erbario sono conservati nel Museo civico di storia naturale e nella Biblioteca civica di Verona. Tra le opere non citate nel testo: Osteologia degli orsi fossili del Veronese, con un saggio sopra le principali caverne del distretto di Tregnago, Vienna 1850; Monografia dei Licheni blasteniospori, Venezia 1853; Enumerazione delle piante fossili miocene fino ad ora conosciute in Italia, Verona 1853; Flora fossile del m. Colle nella provincia veronese, Venezia 1857; Catalogo dei rettili delle provincie venete, ibid. 1859.
Fonti e Bibl.: E. Cornalia, Sulla vita e sulle opere di A. M., Milano 1860; R. De Visiani, Della vita scientifica di A. M., Venezia 1861; A. Pomello, A. M., naturalista, Verona 1894; P.A. Saccardo, La botanica in Italia, Venezia 1895, s.v.; F. Arnold, Un breve cenno su Nylander W. e su M., München 1899; A. Forti, A. M. Appunti biografici per il cinquantennio dalla morte, Verona 1910; V. Pitturi, A. M., Verona 1913; G.B. De Toni, L’opera lichenologica di A. M., Verona 1933.