abolizionismo
Nome di due movimenti sorti negli USA: il primo s’impegnò per la soppressione della schiavitù, il secondo per la cancellazione del XVIII emendamento (1917), che proibiva lo spaccio di alcolici. Il primo, di gran lunga più significativo, contribuì alla ristrutturazione della nazione. Alla vigilia della guerra d’indipendenza la popolazione nera era di circa 500.000 individui, poi il nuovo clima politico e la crisi del tabacco fecero intravedere l’estinzione del fenomeno. Tra il 1777 e il 1804 la schiavitù fu abolita in tutti gli Stati a N del Maryland e fu minacciata anche nel Sud dalla proibizione della tratta nel 1808. Tuttavia lo sviluppo della coltura del cotone le ridette vita. Mentre il numero degli schiavi si moltiplicava, giungendo a circa 4.000.000 nel 1860, gli Stati meridionali vararono provvedimenti per assicurarne l’assoluta sottomissione. Nutrito di spinte divergenti (politiche, religiose e sociali), il movimento ebbe le sue prime tappe nella fondazione del giornale The Liberator (1831) e della Società americana antischiavista a Filadelfia (1833), trovando i suoi leader in W.L. Garrison e a W. Phillips. In seguito si diffuse in tutto il Nord senza riuscire veramente a consolidarsi, poiché molti conservatori temevano le possibili conseguenze. Il fronte abolizionista inoltre fu travagliato da scissioni e lotte sul problema se restare un semplice movimento o trasformarsi in partito politico. Tuttavia esso ebbe battaglia vinta con la guerra di Secessione e la sconfitta degli Stati schiavisti del Sud (1861-65).
Più recente e del tutto diverso il secondo movimento (1920-33), volto a ottenere l’abolizione del XVIII emendamento della costituzione statunitense che proibiva lo spaccio di alcolici in tutta l’Unione (➔ ); contrabbando e gangsterismo erano stati le conseguenze dell’emendamento, che dunque fu abolito sotto F.D. Roosevelt nell’apr. 1933.