Gance, Abel
Regista, teorico del cinema, attore e sceneggiatore francese, nato a Parigi il 25 ottobre 1889 e morto ivi il 10 novembre 1981. La sua concezione del cinema, di grande importanza per i successivi sviluppi non solo della produzione del suo Paese, ha espresso un senso magniloquente e un'enfasi lirica dell'immagine, spinta fino all'amplificazione epica. Am-mirato da Louis Delluc, Jean Epstein e Germaine Dulac per le arditezze ritmiche ed emozionali nell'uso del montaggio e degli effetti visivi, G. contribuì con loro a dar vita a quella stagione dell'avanguardia francese che fu definita impressionista (v. impressionismo) per il modo in cui i cineasti si affidavano al ritmo veloce della mobilità della macchina da presa e alla fluidità visiva nel rendere emozionalmente le sensazioni liriche o drammatiche. Le teorizzazioni profetiche di G. sull'arte cinematografica (per es. Prisme, 1930) accompagnarono le sue sperimentazioni tecniche, ossia l'ideazione di dispositivi (come la Polyvision o la perspective sonore) anticipatori del Cinerama o del Cinemascope.
Avviato dal padre agli studi forensi, ben presto si dedicò allo spettacolo dapprima come attore poi come regista. Già nel 1914 si era cimentato come autore teatrale con La dame du lac e Merlin l'enchanteur e con la tragedia di stile dannunziano La Victoire de Samothrace, accolti da Sarah Berhardt e dalla Comédie française. Sullo schermo era già apparso come attore nel 1909 nella parte di J.B. Poquelin nel Molière diretto da Léonce Perret e nell'anno seguente, dopo aver scritto alcune sceneggiature, fondò la casa di produzione Le film français, per la quale diresse il suo primo film La digue (1911) seguito da Le nègre blanc (1912) di cui fu anche l'interprete. Scoppiata la Prima guerra mondiale fu esonerato per motivi di salute, ma chiese di andare comunque al fronte per girare dal vero alcune scene di battaglia che avrebbe inserito nei suoi successivi lavori, in particolare in J'accuse (1919; Per la patria), film pacifista molto apprezzato da David W. Griffith. Ma fu proprio in quegli anni che G. passò dal racconto tradizionale alle prime esperienze d'avanguardia. Nel contesto inventivo della sperimentazione l'immaginario prese in lui decisamente il sopravvento. Nel 1915, in La folie du docteur Tube, una sorta di dottor Caligari in chiave burlesca, si servì di specchi deformanti e concavi per visualizzare le idee folli del protagonista e nel 1918, in La dixième symphonie (La decima sinfonia) fece ricorso a un montaggio frenetico per rendere dinamico e palpabile lo stato di estasi suscitato negli ascoltatori dalla musica. Tecnica che perfezionò in La roue (1923; La rosa sulle rotaie), storia di amori e passioni concepita come un feuilleton, nella sequenza in cui il dettaglio delle ruote in movimento della locomotiva si alterna con il primo piano del macchinista e delle rotaie per imprimere il senso plastico della velocità. Sempre sul piano dello sperimentalismo, ma anche con risultati che ancora sorprendono, realizzò nel 1925-26 quello che viene unanimemente definito il suo capolavoro, Napoléon, noto anche come Napoléon vu par Abel Gance (1927; Napoleone), parte di un mastodontico progetto su cui G. tornò a più riprese, prima con la versione sonorizzata nel 1935, Napoléon Bonaparte, e poi con Austerlitz (1960; Napoleone ad Austerlitz). Nell'ammirevole sequenza iniziale, che segna tutto il film, la battaglia delle palle di neve a Brienne resta tra le immagini migliori del cinema di quegli anni. Il film, in cui G. interpreta Saint-Just, è rilevante anche sul piano tecnico per l'impiego dello schermo triplo, che anticipa l'uso del Cinerama e del Cinemascope, con cui vennero girate alcune sequenze che dovevano sottolineare la grandezza di Napoleone e rivelarne gli aspetti epici ed eroici. Sullo schermo tripartito venivano strutturate e differenziate visivamente la spazialità e la temporalità delle sequenze che trascorrevano in parallelo, frutto di riprese spericolate ‒ come quelle effettuate con la macchina da presa collocata sul dorso di un cavallo ‒ articolando ampie carrellate, primissimi piani e campi lunghissimi in una sontuosa e magniloquente rievocazione; un esempio è costituito dalla scena della discesa in Italia, dove lo schermo centrale mostra in primo piano i soldati con le donne al loro fianco, mentre sugli altri due schermi appare da lontano, in campo lungo, la colonna dell'Armata in marcia. La tendenza al 'grandioso' di G. si sposa qui con l'intento di comunicare al pubblico il pathos dell'evento epico, distaccandosi dall'oggettività della visione storica. Lo spettatore viene così immerso in una grande rappresentazione capace di coinvolgerne attivamente sensi e attenzione, e di ricreare attraverso il cinema una sorta di epopea popolare dotata di fascino al pari di una nuova Chanson de Roland. Queste ambizioni portavano in un certo senso G. a identificarsi con i grandi personaggi protagonisti dei suoi film, si trattasse di Paganini o di Beethoven, o del poeta pazzo di La roue o di Napoleone. Ma il film non venne compreso e G. successivamente distrusse quasi tutte le sequenze del trittico. Quest'opera ambiziosa ed esemplare, dopo il ritrovamento di alcune di queste scene, venne restaurata una prima volta dalla Cinémathèque française e presentata nel 1953 alla Mostra del cinema di Venezia, dove stupì per la sua modernità. Nel suo primo film sonoro, La fin du monde (1930; La fine del mondo), su uno spunto apocalittico basato sulla minaccia di impatto di una cometa con il pianeta Terra, G. sperimentò poi la tecnica d'avanguardia della deformazione sonora per accompagnare le immagini riprese con una lente anamorfica, anticipando le atmosfere audiovisive del cinema fantascientifico di decenni dopo. Eppure l'avvento del sonoro coincise con una certa decadenza nella scelta dei soggetti e un'involuzione verso un cinema viziato dall'enfasi melodrammatica. Dopo una serie di film di minore importanza tra i quali Lucrèce Borgia (1935; Cesare e Lucrezia Borgia), sulle nefandezze del Rinascimento italiano, Un grand amour de Beethoven (1936; Un grande amore di Beethoven), interpretato da Harry Baur, e Le capitaine Fracasse (1942; La maschera sul cuore), dal romanzo di Th. Gautier, interpretato da Assia Noris, G. si dedicò ancora al dispositivo della Polyvision, per il quale realizzò nel 1953 un cortometraggio a colori, 14 juillet 1953 e, con la collaborazione di Nelly Kaplan, il programma di cortometraggi ed estratti filmati dal titolo Magirama (1956). Nel nr. 41 dei "Cahiers du cinéma" (1954, pp. 4-7) G. scrisse un articolo (Départ vers la Polyvision) per spiegare che "la Polyvision, introducendo una sorta di musica visuale sotto forma di un contrappunto comparabile all'intrusione del coro antico nella tragedia greca, aprirà bruscamente gli occhi a coloro che non credono più ai miracoli"; per la Kaplan "le frontiere del tempo e dello spazio crolleranno davanti alla possibilità della Polyvision che assomma, divide e moltiplica le immagini come l'artista creatore desidera e la creazione impone" (Manifeste d'un art nouveau, 1955, p. 29). Purtroppo questo nuovo dispositivo, che prevedeva tre schermi variabili estensibili da 30 a 35 metri di larghezza, non trovò una sua continuativa e pratica utilizzazione. G. impiegò per la prima volta il colore nel film La tour de Nesle (1954; La torre del piacere o La torre di Nesle) raggiungendo un grande successo con questa sorta di western combinato con le convenzioni del genere di cappa e spada sulla base del dramma di A. Dumas padre. Ma il film non cambiò la sua situazione; il cinema aveva deluso G., la sua voglia di sperimentare e di trovare soluzioni tecniche non lo aveva abbastanza ripagato. Anche se i suoi film migliori, J'accuse, La roue, Napoléon, restano opere dense di significato, dove il grandioso si accompagna a uno stile e a una pregnanza di linguaggio che stupisce. Ancora nel 1979 la nuova versione restaurata da Kevin Brownlow, con la collaborazione dello stesso G., del Napoléon suscitò un grande interesse di critica e di pubblico; ne fu approntata una ulteriore versione (1981) con la musica aggiunta e appositamente composta da Carmine Coppola, che venne eseguita dal vivo durante la proiezione del film a New York (1981) e a Roma (1982). Nel 1984 la Kaplan ha dedicato un documentario a G.: Abel Gance et son Napoléon.
M. Bardeche, R. Brasillach, Histoire du cinéma, Paris 1942 (nuova ed. 1948), pp. 208-10; K. Brownlow, Napoléon, Abel Gance's classic film, London 1983 (trad. it. Milano 2002); Speciale Abel Gance, "Cinergie", 2002, 5, nr. monografico.