abbigliamento
Il vestito come linguaggio del corpo
Anche se l'abbigliamento, come il cibo, è considerato uno dei bisogni primari, nel corso dei secoli l'atto di vestirsi ha perso molto del suo carattere 'utilitario'. Non ci limitiamo a coprirci se fa freddo, ma passiamo molto tempo a scegliere cosa indossare, sia per vanità sia per la necessità di seguire una serie di regole. Regole pratiche: se ci mettiamo un costume da bagno per la piscina, certamente non lo possiamo indossare per andare a scuola. Ma anche regole sociali: vestirsi diventa un mezzo per farsi riconoscere dagli altri, per farsi accettare dal proprio gruppo. Queste regole riguardano tutti: una regina come un calciatore, il papa come un'infermiera. In tutto il mondo, dunque, abiti e accessori formano un linguaggio
Il nostro abbigliamento è un modo di dichiarare a noi stessi e agli altri chi siamo e cosa facciamo. Gli abiti hanno funzioni pratiche: ci proteggono dal freddo o dal caldo, sono adatti al tipo di lavoro che facciamo. Il meccanico indossa la tuta, la cuoca il grembiule, i soldati hanno le uniformi. Ogni popolo ha un particolare modo di vestire, che può cambiare nei secoli, ma che consente di identificare le persone: così distinguiamo un faraone da un doge, una squaw da una geisha.
Oltre alle funzioni pratiche, l'abito ha un significato sociale: in base all'abbigliamento possiamo distinguere, per esempio, il re dal minatore. Entrambi indossano un copricapo, ognuno dei quali ha, però, una forma e soprattutto un valore diversi. Mentre la corona è un simbolo di potere, l'elmetto del minatore ha una funzione pratica: lo protegge dai pericoli del suo mestiere. L'abbigliamento può essere dunque un modo per manifestare il proprio potere o le proprie ricchezze, per segnalare il mestiere che si svolge, oppure per dichiarare l'appartenenza a un certo gruppo sociale: basti pensare, per esempio, al saio dei monaci, alle divise di una squadra di calcio, ai tutù delle ballerine o alle uniformi dei soldati.
L'abbigliamento, infine, in quasi tutte le culture, è legato anche al senso del pudore, un sentimento ben radicato nell'uomo e non facile da spiegare. Il senso del pudore varia nelle diverse epoche storiche e nelle diverse culture, ma anche da individuo a individuo. Le religioni danno molto peso al senso del pudore. Mostrarsi con il capo velato indica modestia e sottomissione. Nelle culture legate all'Islam molte donne coprono tutta la figura con grandi veli come il burqa e il chador, ma anche le suore della religione cristiana usano coprirsi il capo con un velo.
Greci e Romani usavano spesso vesti drappeggiate, ossia ampi pezzi di stoffa da avvolgere intorno al corpo, facendo poco uso di ago e filo per cucirli. I popoli orientali, invece, avevano vesti tagliate e cucite: usavano le brache ‒ qualcosa di molto vicino ai nostri pantaloni ‒ e tuniche provviste di maniche. Inoltre, questi popoli amavano impreziosire i loro abiti di ricami e gioielli. Nel periodo gotico, la moda assume toni da fiaba, con forme allungate che richiamano l'architettura di questo periodo. Gli abiti hanno strascichi maestosi, le scarpe punte smisurate. Le dame portano sul capo gli hennin, altissimi cappelli a cono, arricchiti da lunghi veli trasparenti. Spesso le maniche delle loro vesti si allargano al polso e pendono fino a terra. Nei secoli del Rinascimento (v. Rinascimento, cultura del e Rinascimento, arte del) e del Barocco la moda sembra preferire volumi più ampi, anche in questo caso in sintonia con l'architettura del tempo. Le donne portano il corpetto, che appiattisce le forme naturali del corpo. La sottana, quasi a forma di campana e dotata di strascico, si allarga a dismisura sul fondo con l'aiuto di vere e proprie gabbie che si appoggiano al punto vita; le maniche sono ampie. Chi se lo può permettere, evidenzia questi volumi geometrici con stoffe preziose e dettagli ricchissimi. Tra le guarnizioni, spesso di costoso pizzo, si affermano le gorgiere al collo della camicia: dapprima discrete, poi smisurate nel caso di quelle dette a mola di mulino.
Nel Settecento la moda propone colori chiari con abbondanza di leggeri volant di pizzo: per realizzare alcuni abiti femminili occorrono anche metri e metri di seta! Il panier, una gabbia di giunco o metallo da portare sotto la gonna, ha dimensioni esagerate: le dame, così, sono costrette a varcare le porte mettendosi di fianco. Il busto, fatto con le stecche di balena, ha per conseguenza una spietata caccia a questi animali e inoltre è scomodissimo.
L'uomo non è meno frivolo: indossa giacche ricamate, guarnizioni di pizzo e solo per un paio di guanti o una tabacchiera è capace di spendere cifre immense. Il secolo però si chiude drammaticamente con la Rivoluzione francese, che porta scompiglio tra le classi al potere. L'abbigliamento, quasi sempre proposto dai ceti abbienti, è ora influenzato dal nuovo e più austero stato di cose. L'uomo inizia ad adottare la moda inglese, più semplice e pratica. Abbandonata ogni frivolezza, veste capi che si avvicinano alle giacche e ai pantaloni odierni. Anche la donna, per essere alla moda, adotta la semplicità: porta tuniche sciolte, a vita alta e di stoffe trasparenti, molto simili alle camicie. Indossa sandali sui piedi nudi e coroncine di edera sul capo: vuole imitare la moda degli antichi. Con vestiti così leggeri anche in inverno, come se fossero baciate dal sole di Grecia, molte donne camminano più livide che pallide. E in ciò non mostrano di essere molto sagge, anche se finalmente hanno deciso di liberare il corpo dal fastidioso uso del busto.
Nell'Ottocento tornano di moda abiti che sembravano scomparsi. La donna, sottomessa di nuovo la praticità alla vanità, ricomincia a usare il busto e, sotto gonne dalla circonferenza smisurata, usa la crinolina. L'uomo pare invece aver capito cosa vuol dire vestirsi in modo pratico: giacche e pantaloni si avvicinano in misura crescente a quelli di oggi, pure se non mancano mai eccessi e bizzarrie.
Da tanta varietà di modelli e stili, dobbiamo riconoscere che aveva ragione chi, già nel Cinquecento, diceva: "La moda è mutevole come le fasi della Luna".
Oltre alle mode, nel tempo sono cambiati anche i materiali e le tecniche di confezione. All'inizio i materiali più usati erano quelli che si trovano direttamente in natura: foglie (basti pensare alla foglia di fico di Adamo ed Eva!), pelli, piume. Poi si cominciarono a lavorare le fibre trasformandole in filo. Fino al secolo scorso, si ricavavano tessuti per lo più dalle fibre naturali, ma lo sviluppo dell'industria chimica offre oggi altre opportunità. Con le nuove fibre si realizzano stoffe più leggere e robuste, spesso più pratiche, come quelle impermeabili e antimacchia. Le nuove fibre, inoltre, hanno un valore 'ecologico', poiché permettono di evitare lo sfruttamento intensivo del suolo per coltivare le piante da cui ricavare le fibre vegetali. Con le pellicce sintetiche ci si può riscaldare altrettanto bene che con quelle di pelo animale.
Molte persone lavorano nel campo dell'abbigliamento: tessitori, sarti, pellettieri, calzolai, ricamatori e modiste. Fino all'Ottocento questi mestieri avevano un carattere più artigianale, ma i telai meccanici e la macchina da cucire hanno soppiantato progressivamente il lavoro manuale. Per fortuna esistono ancora artigiani che tengono in vita quei mestieri. Uno dei mestieri più nuovi è quello dello stilista, colui che disegna abiti e collezioni nuove a ogni stagione. Un tempo le nuove mode potevano nascere anche dalla fantasia di un artista: secondo alcuni studiosi, la divisa che ancora oggi indossano le guardie del papa sarebbe stata disegnata da Michelangelo.
I mercanti mettono in contatto popoli fra loro diversi. Questi contatti influenzano la lingua e anche il modo di vestire. Dalla fine del Quattrocento si diffondono in Europa i libri di moda, che illustrano come vivono e come vestono gli altri popoli, ma anche i propri concittadini; intanto principesse e intriganti cortigiane inviano spie fuori dai loro domini per 'rubare' qualche novità alle rivali. Dal Settecento è Parigi a dettare la moda: da qui partono le Poupées de France, manichini talvolta a grandezza naturale, che raggiungono le corti d'Europa vestiti all'ultima moda. A Venezia i mercanti più scaltri spacciano per bambole made in France bambole fatte in casa. Nell'Ottocento si comincia a studiare la storia del costume e si stampano le prime riviste dedicate alla moda.
Spesso anche le fiabe mettono in primo piano l'abito. In Pelle d'asino, la principessa ottiene vestiti ricamati con gioielli preziosi, perché li vuole colore del cielo, della Luna e del Sole. Ma il sacrificio maggiore per il padre è donargliene uno fatto con la pelle di un asino magico, al quale egli è particolarmente affezionato. In Cappuccetto Rosso, il personaggio è identificato attraverso il suo vistoso mantello con cappuccio. In molte fiabe, per sposare la principessa bisogna portarle in dono un tessuto così sottile da passare all'interno dell'anellino che lei porta al dito della minuscola mano. L'immagine è molto affascinante, ma si basa su dati concreti: l'uso che avevano le corti di scambiarsi in dono anche tessuti pregiati e capi d'abbigliamento fatti con fibre rare. Così, per esempio, una sciarpa fatta con la pashmina, anche se di non piccole dimensioni, può realmente passare attraverso un anello, ma… non necessariamente adatto a mani minuscole!
Come afferma un vecchio proverbio, "l'abito non fa il monaco", ossia l'apparenza inganna. Non sempre, infatti, abiti e uniformi segnalano l'effettivo stato sociale di chi li indossa, ma possono perfino servire da copertura a malintenzionati che vogliano spacciarsi per quello che non sono. È facile dall'abito distinguere un poliziotto da un cittadino 'qualunque'. Un tempo anche i regnanti e i capi di Stato indossavano abiti particolari. Oggi, invece, è sempre più difficile riconoscere un capo di governo da un comune cittadino: anche chi ricopre cariche importanti, infatti, veste più o meno come gli altri, non ha una divisa o un attributo particolare, come per esempio la tiara del papa o lo scettro del re. Anche in questo senso, quindi, "l'abito non fa il monaco".
A differenza degli abiti quotidiani, le maschere di Carnevale hanno lo scopo di nascondere l'identità, lo stato sociale o addirittura il sesso di una persona. Invece, nella vita quotidiana tendiamo sempre a mettere in evidenza la nostra identità, anche quella sessuale. A questo proposito: sapete perché l'uomo, a differenza della donna, abbottona giacche, camicie e cappotti sulla destra? Questo dettaglio di sartoria ha origini militari. I soldati portano normalmente le armi a sinistra. Per estrarle dal fodero, la sovrapposizione dei lembi della giacca a destra dà minore impaccio.
La camicia è l'indumento che uomini e donne indossavano sotto le vesti - oggi usiamo mutande e canottiera -, ma non tutti avevano la fortuna di possederne una, specialmente se arricchita con preziose guarnizioni. Ecco perché oggi di una persona fortunata si dice che "è nata con la camicia".
Portare gioielli cuciti sulle vesti era un modo per mostrare la propria ricchezza, ma anche un mezzo per avere sempre con sé una comoda merce di scambio. In un mondo dove le banche non erano diffuse come al giorno d'oggi, i gioielli erano considerati alla stregua del denaro.
Avere gioielli addosso era anche una forma di protezione, perché le pietre e i metalli preziosi erano legati a credenze di carattere magico. Indossare certe gemme piuttosto che altre significava che si voleva beneficiare dei loro specifici influssi.
Le poulaines erano scarpe di gran moda, anche se scomode e ridicole: avevano, infatti, delle punte così lunghe che a volte erano legate al ginocchio con catenelle. Il nome con cui sono conosciute in Francia documenta la loro origine polacca; il nome francese con cui le conosciamo indica che dalla Francia l'uso di queste calzature si diffuse anche in Italia.
Purtroppo non sempre per essere alla moda ci si veste secondo ragione. Vari modelli di corpetti per sagomare il busto delle donne sono stati adottati fino a tutto l'Ottocento. Molti medici avevano denunciato i danni che i busti provocavano allo sviluppo del corpo. Eppure questa tortura era inflitta alle donne sin da bambine. È stato sempre difficile sottrarsi ai dettami della moda e ai suoi capricci. Questo vale anche per il trucco. I cosmetici erano spesso a base di sostanze nocive per la pelle: eppure, per essere belli, donne e uomini li usavano senza precauzione, mettendo a rischio la propria salute.
Un libro di costumi del Cinquecento raffigura i quattro continenti allora conosciuti impersonati da quattro uomini, ognuno identificato dal nome e dall'abbigliamento. È curioso il fatto che la personificazione di Europa è più nuda della non ancora civilizzata America, e tiene in mano un rotolo di stoffa e un paio di forbici.
Un altro libro, sempre del Cinquecento, descrive l'Italiano "assai volubile in fatto di mode" e suggerisce di raffigurarlo come Europa. È chiaro che la moda è stata considerata sin da allora un segno di progresso e cultura.
Nel primo testo, con i continenti sono raffigurati anche Eva e Adamo. La necessità di coprirsi, sia pure con foglie o pelli di animali, indica la 'sartoria' come una delle prime attività dell'uomo. Del resto, il sarto è sempre stato esempio di chi, abile nel proprio mestiere, sa primeggiare anche in altre circostanze. In molte fiabe, così, è proprio lui a impalmare la principessa, con scorno dei blasonati rivali.