ABBAZIA
. Come dice il nome stesso, abbazia (o badia) è un monastero governato da un abate (v.), abitato da monaci o canonici regolari (ordinariamente in numero di almeno dodici, secondo l'esempio di S. Benedetto) ed eretto canonicamente come persona giuridica. È dunque un ente sui iuris, autonomo, indipendente da altri superiori: concetto questo che informa la regola di S. Benedetto, ed è fondato su quello romano della famiglia. L'abate è un paterfamilias, e i monaci ne sono i figli; di qui anche il voto speciale di stabilità dei monaci nel monastero della loro professione.
I monasteri più antichi, sia veri e proprî monasteri, sia cenobî, (detti anche, talvolta, congregatio, fraternitas, synodus, asceterion, ἀσκητήριον) prendevano il nome dal luogo o, in qualche caso, dal fondatore; solo più tardi vennero posti sotto la protezione di un Santo, di cui per lo più possedevano le reliquie, e tale uso si generalizzò in seguito, giungendo sino all'erezione di monasteri in onore di un Santo speciale, particolarmente venerato per una ragione qualunque. L'itinerario (del sec. V) di un pellegrinaggio in Palestina, noto sotto il nome di Peregrinatio Sylviae (o meglio, Aetheriae), mostra come in quella regione si ricercassero specialmente i luoghi illustrati e santificati da memorie di personaggi biblici. Ma, se i monasteri dell'epoca più antica furono veri e proprî eremi, siti cioè in luoghi solitarî deserti (ἔρημος), più tardi, e già nel corso del sec. IV, altri ne sorsero nelle maggiori città dell'impero; così, per citare un esempio, in Milano, al tempo di S. Ambrogio. Nell'Africa, S. Agostino trasformò la sua casa stessa in monastero e l'esempio ebbe molti seguaci. L'Inghilterra specialmente, conobbe poi i monasteri cattedrali; ed altri ne sorsero nelle città, anche presso basiliche di minore importanza. Dato anche il carattere dell'economia agricola nei secoli della decadenza dell'Impero e dell'alto Medioevo (economia chiusa), accanto ai monasteri situati in campagna si formarono naturalmente dei centri abitati, che in qualche caso, specie là dove con l'andare del tempo si costituirono dei mercati, per effetto anche di condizioni naturali favorevoli e della felice positura geografica, crebbero a città, alcune di grande importanza. E di tale origine rimane la testimonianza in nomi quali Badia, Monasterace, Monasterolo, Marmoutier, Moustier, Monaco, Münster, ecc.
Numerose donazioni accrebbero via via i dominî delle abbazie: di questi beni, come di quelli delle chiese, nell'epoca barbarica si considerò come proprietario lo stesso Santo protettore e si applicò loro il concetto della personalità del diritto. Così l'abbazia di Farfa, presso Roma, memore delle proprie origini, rivendicava altamente il diritto di giovarsi delle leggi longobarde, E, secondo lo spirito dei tempi, anche le abbazie finirono per essere considerate come veri e proprî feudi, e gli abati come dei feudatarî; non di rado tra i più ricchi e potenti, con corti e milizie proprie. Mentre nei secoli IV e V, la fondazione delle abbazie era libera, ed il concilio di Calcedonia (451) aveva richiesto, a tutela dei diritti dell'episcopato e della disciplina, la previa autorizzazione del vescovo (norma di poi spesso ribadita e ora di regola generale); quando le abbazie (come del resto i vescovadi) furono concepite soprattutto come feudi, e cioè quando divenne prevalente l'elemento del possesso territoriale sulle finalità ecclesiastiche e ascetiche, i sovrani feudali vollero conferirle essi, considerandole come benefizî della stessa natura degli altri. Di pari passo con la feudalizzazione delle abbazie, e in parte come conseguenza dell'investitura data a laici, o a persone che di ecclesiastico avevano ben poco, era proceduto un rilassamento generale della disciplina, che aveva portato nei chiostri usi e preoccupazioni del tutto mondane. Il movimento riformatore, che trovò la sua massima espressione nell'ahbazia di Cluny (v.), trovò dei validi sostenitori in una serie di grandi pontefici, per lo più monaci essi stessi, tra i quali emerge in maniera singolarissima Gregorio VII (1073-1085). Questo fatto spiega come, volendo estendere e generalizzare l'opera della riforma, Cluny ricorresse da una parte all'accentramento, modificando in ciò la regola benedettina, e sottoponendo al proprio abate le abbazie filiali, o che ad essa ricorrevano per riformarsi, costituendo così una vasta e potente congregazione, che arrivò a comprendere oltre 300 monasteri; e nello stesso tempo estendesse il principio e la pratica dell'esenzione delle badie dalla giurisdizione episcopale. Cosa questa che, considerata in sé stessa, potrebbe sembrare pericolosa; ma la soggezione alla Santa Sede sottraeva non solo ai vescovi, ma anche ai sovrani feudali, ogni diritto d'ingerirsi nella scelta degli abati. Con ciò, contro le avverse pretese dei prìncipi, si rafforzava l'esigenza della Santa Sede che l'investitura laica, dei beni cioè concessi alle abbazie come privilegi feudali, fosse una conseguenza logica della nomina e della consacrazione ecclesiastica, talché, per lo meno, questa dovesse precedere quella e non dipenderne. Sono questi, schematicamente ed in breve, i motivi pratici e ideali, religiosi e politici, della grande lotta delle investiture, che animò e diede un particolare risalto e significato alla storia del sec. XI. L'accentramento, e la riunione di varie abbazie in congregazioni, finì poi col prevalere, benché alquanto attenuato; con questo sistema nacque addirittura, si può dire, la riforma di Cîteaux (v.); Benedetto XII (1334-42) finì poi con l'imporlo a tutte le abbazie.
Nonostante questi mutamenti, l'abbazia ha conservato molto dell'indole primitiva; è sempre una famiglia, e la sua costituzione interna differisce assai da quella delle altre case religiose degli Ordini moderni. In questi l'autorità è accentrata, passa dal superiore maggiore ai superiori locali; l'ordine intero è una sola famiglia, i cui membri vivono in case separate, e possono essere trasferiti da una in un'altra. Invece i monaci di una badia formano una famiglia a sé, e l'autorità dell'abate capo della congregazione si restringe, nella maggior parte dei casi, a una specie di sorveglianza sull'andamento generale, e talora a far le veci dell'autorità della S. Sede. Il governo pieno della badia è nelle mani dell'abate: egli sceglie i monaci ai varî uffici di priore o vicario, di cellerario o economo, di maestro dei novizî, e dirige non solo l'amministrazione spirituale, ma anche quella temporale; negli affari d'importanza è assistito dal consiglio dei seniori, il cui voto, in alcuni casi previsti dal diritto canonico, è deliberativo, e nelle cose più gravi, una delle quali è l'accettare nuovi membri, son chiamati a dare il loro parere e voto tutti i monaci della badia, componenti il capitolo. Alla morte o rinunzia o promozione dell'abate, il capitolo elegge il successore, che vien confermato dall'abate capo della congregazione, o dalla S. Sede.
Nulla si sa di preciso circa i primi edifici dell'ordine monastico costruiti spesso in legname, in Oriente e in Occidente. Questi ultimi assunsero sviluppo e importanza assai maggiore per il carattere essenzialmente sociale del monachismo occidentale, in contrapposizione all'individualismo e al rigido anacoretismo contemplativo del monachismo orientale; e alla grande potenza politica del monachismo a partire dal sec. IX corrisposero vastissimi impianti costruttivi, vere città, spesso saldamente fortificate, spesso complesse e ricche di officine e di costruzioni accessorie.
In questo tempo le abbazie furono centri vitali delle arti, e in particolare dell'architettura, che più direttamente riflette le condizioni d'ambiente ov'essa si sviluppa; in periodi di lotte continue, le abbazie, con le annesse istituzioni e scuole, furono oasi relativamente serene di tranquillità, di prosperità economica e di sicurezza.
Assai discussa è l'entità dell'influenza che le abbazie esercitarono sull'architettura e sulle arti in generale: un grandissimo numero di autori che si sono particolarmente occupati di architettura monastica, come il Viollet-le-Duc, il Cordero, il Didron, lo Schnaase, ha affermato in modo esclusivo che, sino al periodo gotico, soltanto i monaci si sono occupati delle arti e in special modo dell'architettura; altri studiosi, come il Hasak, sostengono invece che ai monaci fosse affidato esclusivamente l'ufficio di amministratori (massarius, operarius) nelle costruzioni, e mai o quasi mai la direzione dei lavori (come in S. Zeno a Verona, e nel duomo di Siena). C'è infine una terza scuola, che fa capo allo Springer, e che dall'esame di grande copia di documenti sostiene la teoria media: cioè che due categorie coesistevano: artefici monaci - la regola di S. Benedetto ammetteva ogni tipo di attività, purché l'abate l'avesse permessa: (Reg. S. P. Benedicti, cap. LVII: "artifices si sunt in monasterio cum omni humilitate faciant ipsas artes si permiserit abbas", e cap. LXVI "Artes diversae intra monasterium exerceantur, ut non sit necessitas monachis vagandi foris") - e artefici secolari, che esercitavano la loro arte o liberamente da soli, o in collaborazione, o, più frequentemente, sotto la direzione di monaci; come i maestri romani che Benedetto Biscop, fondatore di Wearmouth, e Wilfrido chiamarono nel sec. VII in Inghilterra, gli artefici che Carlo Magno chiamò in Aquisgrana, i celebri maestri comacini di cui parlano gli editti di Rotari e di Liutprando, e infine, più tardi, nel sec. XI e XII, quei lambardi che diffusero nella Francia, nella Germania meridionale e nella Spagna, le soluzioni artistiche e costruttive già fiorite in Lombardia.
Non è noto come collaborassero insieme le due categorie; ma quasi certamente ai monaci, conservatori di antichi concetti statici e artistici, e di un programma costruttivo ben definito, era serbata la parte direttiva, mentre agli artefici secolari, che per il continuo lavoro di edifici monastici e civili dovevano avere necessariamente una maggiore perizia costruttiva, era affidata la parte pratica, costruttiva e decorativa. Intermedia fra queste due categorie è quella dei maestri laici (caementarii, carpentarii, latomes, fabri, pictores) che frequentemente vengono notati nelle cronache: ad essi probabilmente era affidata l'esecuzione di lavori di piccola importanza per l'ordinaria manutenzione e i restauri.
Nel periodo carolingio queste abbazie costituiscono i principali edifici: sia in Francia (Centula o S. Riquier, Fontanellum o Vaudille), sia in Germaniai sorsero molti conventi di benedettini, i quali presto arricchirono e si diedero a rendere stabili e decorose le chiese e i conventi che prima erano stati costruiti in modo provvisorio: di qui principalmente s'inizia il progresso dell'architettura dal sec. IX all'XI.
Dei grandi edifici di Fulda non resta che la piccola chiesa di S. Michele; ed anche l'abbazia di San Gallo, opera dell'abate Gozberto (816-817), (v. C. Lenoir, Architecture monastique, Parigi 1852-1856, I), cedette il posto a una nuova costruzione; ma nell'archivio dell'abbazia si conserva una grande pianta schematica disegnata su pergamena, che ci mostra il convento quale era. Essa possiede in embrione tutti i caratteri costruttivi che furono poi ampiamente sviluppati nelle ricche costruzioni dei benedettini, cluniacensi e cisterciensi: caratteristiche le due torri rotonde che proteggono l'entrata, e la chiesa a doppio coro, perché a doppio culto (abitudine invalsa in Occidente dal sec. VIII in poi: Fulda, S. Emmerano in Ratisbona, Centula, Oberzell e Unterzell nell'isola di Reichenau, S. Michele e S. Godardo in Hildesheim; e già prima nell'Africa settentrionale).
Queste abbazie occupavano una vasta area con un recinto che conteneva case, cortili, giardini e tutto ciò che può servire ai bisogni e ai comodi di una grande comunità: sono quasi il nucleo di una città e contengono sempre qualche parte che ha pregi artistici notevoli.
Il monastero è contiguo alla chiesa, spesso esposto a mezzodì: l'edificio è tutto distribuito intorno a un chiostro, per lo più con un pozzo nel mezzo. E nel portico circostante, che ha sovente un valore artistico considerevole, come a Monreale, si apre la sala del capitolo, ove l'abate nei gravi affari chiama a congregazione i monaci e ne ascolta il consiglio (Regula S. P. Benedicti, cap. IV), e ove hanno luogo le elezioni del preposto (cap. XXI); la biblioteca, i dormitorî (la regola di S. Benedetto e quella più severa di S. Bernardo impongono grandi dormitorî comuni: più tardi si distinsero quello per i monaci e quello per i novizî), il grande refettorio, la chiesa.
Costante è il tipo generale della chiesa, cioè l'antico tipo basilicale: spesso è di vaste dimensioni, a tre navate; con transetto spesso triplo. Era accessibile al pubblico, che restava diviso dai monaci, raccolti nell'ampio coro, dalla chiusura presbiteriale costituita da cancelli.
Più o meno lontane dal convento sorgono le fabbriche di servizio, magazzini (celleraria), con frantoio e mulino come in una piccola masseria, l'economato, l'infermeria con un piccolo portico destinato al passeggio dei vecchi e dei convalescenti (Reg. S. P. Benedicti, cap. XXXVII), l'abitazione dell'abate, e, finalmente, la foresteria, che ha grande importanza in alcune abbazie (come quella di Fossanova, posta sulla via Appia, in facile comunicazione con Roma, talmente frequentata da viaggiatori che nel 1256 papa Alessandro IV le fece una donazione per sostenere le spese di ospitalità), le scuole e le officine varie, da fabbro, da falegname, da incisore, da orafo, che in alcuni centri, come Centula e Jumièges, costituivano delle vere città industriali, e portavano intorno al monastero una stabile popolazione di artefici di ogni arte, che mantenevano accesa la fiamma delle vecchie tradizioni. Da queste scuole d'arte partì, secondo il Viollet-le-Duc, il primo grande impulso dello stile gotico. Tutt'intorno al gruppo dei fabbricati c'è sempre un vasto podere di proprietà del monastero, racchiuso spesso da un muro perimetrale, che separa e isola l'abbazia dal resto della contrada: la coltura del podere era affidata ai frati conversi, che da esso ritraevano quanto era indispensabile all'economia e al sostentamento di tutta la comunità.
Per tutto il Medioevo questa disposizione si mantenne inalterata anche attraverso le varie osservanze in cui si suddivise l'ordine benedettino, più o meno sviluppata in qualche senso a seconda delle speciali attività della comunità: ad es. a Pontigny ebbe importanza preponderante la parte attinente ai lavori agricoli, a Clairvaux la parte intellettuale (biblioteca, scriptorio, sala delle conferenze), a Fossanova la foresteria e le scuole d'arti, dove si insegnava geometria e architettura, ecc.
In Italia importantissime abbazie son disseminate dovunque; basterà citare, per non dire che delle più note, le antichissime abbazie di Farfa e di Montecassino che si sviluppavano e prendevano la loro forma definitiva principalmente per opera di Ugo e di Desiderio, quelle di Pomposa, Nonantola, Cava, S. Benedetto di Polirone; la celebre abbazia di Monreale, notissima per la ricchezza e la fastosità della chiesa e del chiostro ad archi acuti e colonne binate rivestite di musaico; quella di Fossanova, sulla via Appia; quella di Casamari, iniziata nel 1187 e consacrata da papa Innocenzo III nel 1208; quella di Chiaravalle milanese, consacrata nel 1221, con la grande torre nel mezzo della chiesa, costruita secondo lo schema costruttivo lombardo; e l'altra di Chiaravalle nelle Marche, tra Ancona e Jesi (1172), che segue il primo stile gotico burgundo cisterciense.
All'estero: in Francia le più importanti sono, Saint-Michel, che torreggia come un fosco castello sulla spiaggia della Normandia, notissima per la sua mirabile sala capitolare del tempo di Filippo Augusto e per il chiostro a colonne, elegante creazione normanna; Cluny, sorta per opera di Bernone e di Sant'Odone; Cîteaux, Clairvaux (Chiaravalle) fondata da S. Bernardo, Fontenay. Nei paesi tedeschi possiamo ammirare alcuni chiostri di grandissimo pregio artistico a Heiligenkreuz, a Klosterneuburg; esempî insigni e ben conservati dell'architettura monastica del Medioevo a Maulbronn, e a Bebenhausen in Svevia; i conventi dei cisterciensi a Peplin e ad Oliva presso Danzica, e le grandiose abbazie di Lorsch e Altenberg sulle rive del Reno. In Inghilterra, della notissima abbazia di Salisbury non resta che la sala capitolare di stile gotico tardo, e del vasto convento annesso alla cattedrale di Canterbury, rinomato per il suo ingegnoso acquedotto, non abbiamo che una pianta del sec. XII. In Spagna, tra molte altre, il convento di S. Juan de la Peña di Huesca e quello di Carracedo el Real con la magnifica sala capitolare. In Portogallo, la colossale abbazia di Alcobaça (1122).
Per le esenzioni dalla giurisdizione episcopale, v. abate. Secondo il diritto italiano vigente, le abbazie ed i priorati di natura abbaziale (ad eccezione delle abbazie nullius dioecesis: v. abate) rientrano nella categoria degli enti "soppressi come persone giuridiche dalle leggi eversive del '66 e '67, e che non possono più venire ricostituiti" se non mediante una nuova legge (cfr. A. C. Jemolo, Elementi di diritto ecclesiastico, Firenze 1927, p. 315 seg.).
Per altre notizie: v. certosa, monastero, convento.
Bibl.: J. M. Besse e F. Cabrol in Dict. d'Archéol. chrét. et de liturgie, I, s. v.; Mabillon, Annales Ordinis S. Benedicti, Lucca 1739, I-II; A. Gasquet, English monastic life, 2ª ed., Londra 1904; L. Ferraris, Bibliotheca canonica-juridica-moralis, Montecassino 1944; Regula S. Benedicti, ed. Butler, Friburgo in Br. 1912 e le altre; Codex iuris canonici, Roma 1918; U. Berlière, L'ordre monastique, 5ª ed., trad. italiana, Bari 1928.
Viollet-le-Duc in Dictionn. raisonné de l'Architecture française, alla voce Architecture monastique; C. Lenoir, Architecture monastique, Parigi 1852-56; H. Springer, De artificibus monachis et laicis Medii Aevi, Bonn 1861; E. Sharpe, Cistercian Architecture, Londra 1875; Otte, Handbuch der kirchlichen Kunstarchäologie, Lipsia 1883, II; J. v. Schlosser, Die abendländische Klosternlage des Mittelalters, Vienna 1889; H. Brockhaus, Die Kunst in den Athos-Klostern, Lipsia 1891; F. X. Kraus, Geschichte d. kirchlichen Kunst, Friburgo 1895, II; Dehio u. Bezold, Kirchliche Baukunst d. Abendlandes, Stoccarda 1894-98; A Venturi, Storia dell'arte italiana, III, MIlano 1904; H. Thode, Franz von Assisi, ecc., Berlino 1904.