CIEAUX, Abbazia di
CÎEAUX, Abbazia di (lat. Cistercium)
Abbazia cistercense della Francia orientale, in Borgogna, situata presso Saint-Nicolas-lès-Cîteaux (dip. Côte-d'Or). C. fu fondata agli inizi del 1098 dal futuro s. Roberto - proveniente dal monastero di Molesme, insieme a una ventina di monaci - con lo scopo di dar vita a una comunità che tornasse all'interpretazione fedele della Regola di s. Benedetto anche mediante la riforma della liturgia e lo svolgimento del lavoro manuale da parte dei monaci (v. Cistercensi).L'etimologia del toponimo C. è incerta; sovente lo si ritiene derivato dal lat. cisterna, data la caratteristica paludosità del sito, mentre secondo una diversa spiegazione risulterebbe dalla ubicazione del sito lungo l'antica via romana che collegava Langres a Chalon-sur-Saône: cis tertium lapidem miliarium. Di fatto la nuova fondazione, denominata dai primi documenti novum monasterium, inizialmente si stabilì in una località chiamata La Forgeotte, a km. 23 a S di Digione e a km. 1 a N dell'od. monastero, dove i monaci si spostarono dopo ca. un anno a causa del terreno eccessivamente acquitrinoso, mantenendo La Forgeotte come grangia.Rinaldo, visconte di Beaune, fu il primo di numerosi nobili borgognoni a donare terreni a C., che, superate le difficoltà dei primissimi anni, durante l'abbaziato dell'inglese Stefano Harding fondò quattro filiazioni: La Ferté-sur-Grosne (1113), Pontigny (1114), Clairvaux e Morimond (1115). A questi cinque monasteri venne affidato il governo dell'Ordine, essendo ciascuno di essi a capo di altrettante linee di filiazioni.C. arrivò a possedere inoltre altre diciotto grange, mentre una parte considerevole delle proprietà fondiarie del monastero era costituita dal patrimonio forestale, che al tempo della Rivoluzione francese raggiungeva ha 11000 di estensione. Nel dicembre del 1098, quando il duca Oddone I di Borgogna donò all'abbazia un vigneto a Meursault, prese avvio presso di essa anche la viticoltura.È presumibile che a La Forgeotte i monaci avessero eretto un riparo provvisorio e una rudimentale cappella probabilmente in legno; il sito tuttavia non conserva tracce di costruzioni, a eccezione di un pozzo.Nel secondo insediamento venne consacrata il 16 novembre 1106 una piccola cappella in pietra, denominata comunemente C. I; si trattava di un edificio a pianta rettangolare (m. 515) formato da tre campate, ciascuna illuminata da una finestra a S, e chiuso da un coro poligonale a tre lati; la suddivisione in campate era evidenziata sul muro esterno da contrafforti. Non si conoscono le caratteristiche architettoniche degli ambienti abbaziali della stessa epoca, benché piante settecentesche citino un cloître antique a S della cappella, dedicata allora a s. Edmondo.Intorno al 1140-1150, per accogliere la comunità che continuava a ingrandirsi, venne eretta una vasta chiesa in pietra, C. II; secondo la ricostruzione planimetrica di Curman (1912), non confermata peraltro dagli scavi, tale costruzione aveva un coro a terminazione rettilinea di tipo bernardino, di proporzioni esageratamente ridotte (v. Clairvaux); con ogni probabilità nella stessa epoca vennero edificati anche nuovi ambienti abbaziali. Nel 1193 il piccolo coro di C. II venne ricostruito e consacrato e il risultato di queste due diverse campagne costruttive - l'edificio oggi chiamato C. III, distrutto alla fine del sec. 18° - è ben documentato grazie a numerosi disegni e descrizioni dei secc. 17° e 18°, per es. quelli di Etienne Prinstet, monaco di C. attivo fra 1718 e 1723 (Plan géométral de Cîteaux). In base a questi disegni C. II sarebbe da identificare con il corpo longitudinale a tre navate di nove campate, preceduto da un portico e transetto con tre cappelle su ciascun braccio sul lato orientale e solo tre cappelle a N sul lato occidentale. L'aggiunta a questo impianto di un coro di grandi dimensioni costituì C. III. Questo coro, profondo tre campate, era circondato da un deambulatorio ad andamento quadrangolare, sul quale si aprivano sei cappelle a E e tre a N; tanto la navata e le cappelle quanto ciascuna campata del deambulatorio erano illuminate da finestre. La chiesa così ampliata misurava in lunghezza complessivamente m. 130.Una cinta muraria circondava la grande abbazia con i suoi cortili interni ed esterni, il mulino, le stalle, gli orti e i giardini; le grandi dimensioni del complesso sono evidenziate dalla presenza di non meno di tre chiostri. Il chiostro principale, detto del silenzio, era ubicato a S della chiesa ed era delimitato dalla sala capitolare - con al piano superiore il dormitorio -, dalla cucina, dal refettorio dei monaci - posizionato perpendicolarmente rispetto al corridoio claustrale, secondo un impianto che ricorre frequentemente nelle abbazie cistercensi - e da un fabbricato a due piani che ospitava i conversi. Il secondo chiostro, detto del colloquio e indicato anche come chiostro dei copisti, biblioteca o chiostro piccolo, si trovava a E del capitolo e vi si svolgevano le attività legate alla produzione di manoscritti. Sul lato nord si trovava l'edificio più antico di C. conservatosi, la biblioteca in stile gotico, eretta tra il 1495 e il 1509. Perpendicolarmente a essa, sul lato est, era collocata un'enorme infermeria degli inizi del Trecento, chiamata sala dei Morti, lunga otto campate (m. 55) e ampia tre. Il terzo chiostro, a S del secondo, era destinato ai novizi e circondato dagli edifici che li ospitavano. Alcune delle strutture medievali furono demolite nel 1683, quando lungo il lato meridionale del chiostro dei novizi venne costruito il definitorio per l'esecutivo del Capitolo generale.Quando nel 1791 l'abbazia fu alienata, i nuovi proprietari distrussero la chiesa e molti degli edifici che si erano conservati. Dal 1868 l'abbazia è affidata ai Cistercensi della Stessa Osservanza. Tra il 1959 e il 1964 sono state condotte nell'area dell'abbaziale ben undici campagne di scavo, che hanno portato al rinvenimento fra l'altro di tombe, in particolare quella del beato Alano di Lilla, oltre a una splendida serie di mattonelle pavimentali in cotto decorate, risalenti a varie epoche comprese tra il 12° e il 14° secolo. C. fondò ventotto abbazie maschili, che a loro volta diedero vita a ulteriori ottanta filiazioni; l'abate era inoltre responsabile di centotrentacinque monasteri femminili. In quanto casa madre dell'Ordine, a C. si riunivano ogni autunno gli abati provenienti da tutte le abbazie cistercensi in occasione del Capitolo generale.
Bibl.:
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Letteratura critica. - S. Curman, Cistercienserordens Byggnadskonst [Architettura cistercense], Stockholm 1912; A. Dimier, Recueil de plans d'églises cisterciennes, 3 voll., Grignan-Paris 1949-1967; M. Lebeau, Etudes sur des carreaux vernissés. 1. Les carreaux vernissés de Cîteaux, Mémoires de la Commission des antiquités du Département de la Côte-d'Or 25, 1959-1962, pp. 221-234; A. Masson, Le mobilier et la décoration de la bibliothèque de Cîteaux, BMon 122, 1964, pp. 59-68; M. Lebeau, Les fouilles de l'abbaye de Cîteaux (1959-1964), in Mélanges Anselme Dimier, III, 5, Arbois 1982, pp. 395-401; P. Gras, Vues et plans de l'ancien Cîteaux, ivi, III, 6, 1982, pp. 549-575; M. Lebeau, Chronologie de l'Histoire de Cîteaux, Dijon 1987.T.N. Kinder
L'attività dello scriptorium di C. si svolse a partire dagli inizi del 12° e si prolungò attraverso il 13° e il 14° secolo. Per tutto il sec. 12°, e in particolare nei primi quattro decenni, fino al 1134, anno di morte di Stefano Harding, C. rivestì un ruolo da protagonista nel quadro della produzione libraria di epoca romanica. Intorno al 1180-1190, con gli ultimi esemplari dello stile monocromo (Digione, Bibl. Mun., 114; 144; 145; 146; 147, contenenti rispettivamente i testi-guida dell'Ordine cistercense e le Enarrationes in Psalmos di Agostino), la fase creatrice dello scriptorium sembrò esaurirsi e la sua attività, in un momento in cui la realizzazione del libro miniato cessava di essere dominio esclusivo degli ambienti monastici passando alle botteghe laiche, nelle rinate realtà urbane in continua espansione, proseguì stancamente riproponendo modi e forme che nascevano e si sviluppavano al di fuori della sua sfera di influenza, in seno ai grandi movimenti artistici europei. È significativo inoltre che la produzione segnasse il passo anche dal punto di vista numerico. Dei libri provenienti da C. e conservati a Digione - con qualche rara eccezione, come il Tractatus in Evangelium Iohannis di s. Agostino, del primo quarto del sec. 12° (Berlino, Staatsbibl., Hamilton 55), i Sermones di Pietro Crisologo, del settimo-ottavo decennio del sec. 12° (Baltimora, Walters Art Gall., 19), l'Expositio in septem psalmos poenitentiales, del 1175-1190 ca. (Londra, BL, Add. Ms 15722) - centoquarantaquattro sono manoscritti medievali: di questi, oltre ai quattro del sec. 11°, centocinque si datano al sec. 12°, ottantacinque al 13°, venticinque al 14° e altrettanti al 15° (Załuska, 1989, p. 15).Per il sec. 12° la quasi totale mancanza di codici datati - i pochi esemplari pervenuti che recano una datazione (Digione, Bibl. Mun., 13; 114; 170) si collocano agli inizi e nell'ultima fase di attività dello scriptorium - ha fatto sì che, per la creazione di un corpus, si sia dovuto ricorrere ad analisi paleografiche, codicologiche e testuali, oltre che formali e stilistiche, e all'ausilio di elementi esterni, quali la data di morte degli abati o quella di canonizzazione di s. Bernardo (1174).Il colofone data al 1109 la fine della stesura del testo del primo volume della Bibbia (Digione, Bibl. Mun., 12-13, c. 150v); sulla stessa carta a due righe di distanza il copista che aveva redatto in toto i due manoscritti vergò, probabilmente in una fase successiva a conclusione dell'intero lavoro di copia dell'opera, il monitum che motiva l'intervento effettuato sul testo emendandolo da interpolazioni e tradizioni tarde e scorrette (l'enciclica è pubblicata integralmente in Załuska, 1989, pp. 274-275). La stessa mano che copiò il primo volume ebbe inoltre un ruolo fondamentale nella redazione del secondo (Digione, Bibl. Mun., 14-15) e del primo dei Moralia in Job di Gregorio Magno (Digione, Bibl. Mun., 168-170) e realizzò per rasura e sovrapposizione le correzioni stesse - interi passi e talvolta intere pagine -, alle quali fa riferimento il monitum, apposte a evidenza, alla fine di tutto il lavoro di copia, al testo della Bibbia.Una nota, posta in calce a un manoscritto (Digione, Bibl. Mun., 170), assegna al 1111 il compimento del primo volume dei Moralia in Job o comunque della stesura del testo. A un momento successivo, di cui non è possibile precisare la cronologia, si data il secondo volume (Digione, Bibl. Mun., 173), più grande nel formato, più lussuoso nella facies esteriore e più esuberante nelle immagini e nell'ornamentazione. Occorre sottolineare che l'attuale suddivisione in tomi dell'una e dell'altra opera (Bibbia e Moralia), che pure potrebbe risalire allo stesso sec. 12°, non corrisponde all'assetto originario, come già intuito da Oursel (1923; 1926). Secondo una recente proposta (Załuska, 1989, pp. 64ss., 75ss.), che appare convincente perché si basa su una attenta analisi codicologica e paleografica, in origine la Bibbia sarebbe stata suddivisa in due unità omogenee dal punto di vista grafico, negli schemi di impaginazione, vale a dire nella suddivisione dello spazio tra immagine e scrittura, nell'impianto cromatico delle miniature e perfino nella scelta del tipo di pergamena; parimenti alla stesura del primo volume dei Moralia, realizzata unitariamente, sarebbe seguita quella del secondo.Il dato cronologico offerto dalle due opere, parziale perché riferibile con certezza solo alla scrittura del testo e non all'ornamentazione e all'illustrazione dei codici - anche se la prassi di produzione del libro medievale, in particolare negli scriptoria monastici, non consente di separare nettamente la sfera di intervento del copista da quella del rubricatore e del miniatore né, tantomeno, di pensare a un lungo intervallo di tempo tra l'elaborazione dell'apparato grafico e di quello decorativo e illustrativo -, rappresenta comunque, grazie anche alla loro collocazione di rilievo nel panorama artistico europeo del sec. 12°, un punto di riferimento per la ricostruzione dell'attività artistica dello scriptorium di Cîteaux.Del primo volume della Bibbia, che per la peculiarità dell'impianto decorativo, costituito unicamente da lettere ornate a motivi vegetali e zoomorfi e da tralci popolati da creature mostruose, rappresenta un fenomeno isolato nella produzione miniata di C. nel sec. 12°, è stata sottolineata la derivazione dal Salterio di s. Roberto, realizzato nello scriptorium di Saint-Vaast ad Arras (Digione, Bibl. Mun., 30). Oltre che a questo codice, la Bibbia di C. si può avvicinare anche a esemplari prodotti nel Nord della Francia, in particolare in Normandia, alla fine del sec. 11°, come per es. al manoscritto detto Servio (Parigi, BN, lat. 7963, c. 120r; Avril, 1975, p. 44; Załuska, 1989, p. 75) nella comune derivazione dalla miniatura precarolingia e anglosassone. Significativa in tal senso è la decorazione di alcuni capilettera, per es. la D dell'incipit di Desiderii (Digione, Bibl. Mun., 12, c. 2r), che ancora affianca a moduli fitomorfi di tipo ottoniano (che si ritrovano in codici prodotti in questi stessi anni nello scriptorium di Saint-Bénigne di Digione) intrecci geometrici mutuati da una tradizione barbarica, insulare e continentale che nei manoscritti miniati degli scriptoria anglosassoni della prima metà del sec. 12° vennero invece del tutto soppiantati dalla decorazione vegetale (Pächt, 1963, p. 69).Le iniziali zoomorfe e quelle antropomorfe, puramente figurative, della miniatura precarolingia hanno sollecitato anche la fantasia del c.d. Primo Maestro di C., o Maestro dei Moralia (Romanini, 1978), del quale è accertata l'origine anglosassone. E non sembra un caso che di nascita e di formazione inglese fosse Stefano Harding, abate di C. dal 1108-1109 al 1134, cioè in perfetta coincidenza con l'attività del Maestro dei Moralia. Questi, coadiuvato a livelli diversi da un gruppo di artisti anch'essi inglesi, elaborò in successione tra il primo e il secondo decennio del secolo, non oltre il terzo (Romanini, 1978, p. 222), l'apparato decorativo del secondo volume della Bibbia e i due volumi dei Moralia, parallelamente - e forse in anticipo, ma è problema ancora da approfondire - rispetto a quanto avveniva nelle scuole miniatorie inglesi (Canterbury, Durham, Bury St Edmunds) tra il terzo e il quarto decennio (Romanini, 1978, pp. 231-235; Righetti Tosti-Croce, 1985, p. 281). Significativo per intendere a pieno la formazione e il repertorio formale cui attinse il Maestro dei Moralia appare il richiamo al Salterio di Corbie (Parigi, BN, lat. 12444; Pächt, 1963, p. 68; Romanini, 1978, p. 233), che, se pure eseguito agli inizi del sec. 9° in epoca carolingia, esibisce decorazioni ancora marcatamente precarolinge. In esso (per es. alle cc. 52v, 94r), così come nelle lettere d'incipit realizzate dal Maestro dei Moralia (Digione, Bibl. Mun., 15, c. 29v; 173, c. 7r), l'elemento zoomorfo, piegandosi e contorcendosi come mosso da un interno dinamismo, si trasforma prendendo le forme della lettera. Con lo stesso criterio nelle iniziali figurate del salterio (cc. 123v, 136v, 137r) intere scene prendono il posto delle lettere, adattandosi alla loro forma, mentre nelle pagine del secondo volume della Bibbia e dei due volumi dei Moralia - dove i miniatori di C. guidati dallo stesso Stefano Harding ripresero e svilupparono quel vocabolario ornamentale - la struttura dell'iniziale si identifica completamente con le figure umane, per es. nella I dell'incipit di In diebus o nella T di Tobias (Digione, Bibl. Mun., 14, cc. 122v, 165v), che rappresentano un'anticipazione delle statue-colonna delle cattedrali gotiche di Chartres e di Saint-Denis (Porter, 1929, pp. 14, 16; Romanini, 1978, pp. 232-233, 240); inoltre nel caso di iniziali istoriate non solo il corpo della lettera ospita la narrazione figurativa (Digione, Bibl. Mun., 15, c. 41r) ma, in un processo estremo di osmosi tra scrittura e figurazione, gli stessi elementi morfologici, che pure non perdono la loro riconoscibilità, si trasformano in scene di vita monastica e quotidiana (Digione, Bibl. Mun., 15, cc. 3v, 125r; 169, c. 88v; 170, c. 59r; 173, cc. 80r, 174r), scene dense di umorismo e connotate da un palese intento didascalico (Leclercq, 1973; Romanini, 1978, p. 238). Proprio la scelta dei soggetti e l'osservazione acuta del reale e dal punto di vista formale la capacità di proiettare l'immagine in una realtà tridimensionale (Romanini, 1978, p. 233) differenziano la miniatura cistercense dalla fonte altomedievale, dove le raffigurazioni restavano bloccate sul piano bidimensionale della pagina.La complessa articolazione iconografica e formale accomuna il secondo volume della Bibbia - che è introdotto da una pagina iniziale illustrata con un ciclo davidico (Digione, Bibl. Mun., 14, c. 13r) in cui le immagini sono organizzate, secondo una sequenza orizzontale, in registri sovrapposti, come nelle bibbie romaniche, per es. la Bibbia di Winchester (Oxford, Bodl. Lib., Auct.E.inf. 1, c. 135v) - ai due volumi dei Moralia e, assegnandoli a un'unica mente ordinatrice che si è voluta identificare con Stefano Harding, li distingue da altri prodotti realizzati pressappoco negli stessi anni, forse dallo stesso gruppo di miniatori, per es. i manoscritti con le Enarrationes in Psalmos di Agostino, che ai Moralia vengono avvicinati ma che appaiono privi della stessa vena fantastica (Załuska, 1989, pp. 81, 204-206). Dal punto di vista tecnico invece il disegno delle figure che connota il secondo volume della Bibbia (Digione, Bibl. Mun., 15, c. 56v), il secondo dei Moralia (170, c. 59r) e anche due manoscritti delle Enarrationes (145, 147), plasticamente condotto con tratto leggero e sicuro, avvivato da pennellate tenui o campito da colori sfumati e lumeggiati per costruire volumetricamente le forme, nel secondo volume dei Moralia (173, per es. cc. 20r, 36v, 103v) viene sostituito da un tratto più spesso, posto a delimitare campiture di colori densi e coprenti, dalle tonalità più accese e del tutto privi di sfumature (Oursel, 1926, pp. 32-33).A questo primo gruppo di codici - ai quali si collega quello con Epistolae et Sermones di Girolamo (Digione, Bibl. Mun., 135), databile alla fine del secondo decennio del secolo e opera di un artista anch'egli inglese e di livello eccezionale soprattutto nell'elaborazione dell'apparato decorativo, ma distinto dal Maestro dei Moralia e forse appartenente a una generazione successiva (Załuska, 1989, p. 86ss.) - si contrappone un secondo gruppo di manoscritti che si può far coincidere con il secondo dei tre stili in cui Załuska (1989, p. 12) ha organizzato la produzione miniata di C. nel 12° secolo.Nelle opere del II stile (Oursel, 1923, pp. 15-18; Auberger, 1986, p. 202) le figure sotto l'influsso bizantino assumono talvolta un aspetto grave e monumentale; in taluni esempi inoltre la decorazione mostra di risentire delle suggestioni di modi decorativi orientali (pagina d'incipit dei Commentarii in Danielem di Girolamo; Digione, Bibl. Mun., 132, c. 2r); l'elemento narrativo infine è quasi totalmente assente e il dato figurale è per lo più rappresentato da miniature di dedica, figure d'incipit (profeti, apostoli o altri personaggi biblici) e iniziali istoriate.Uno degli esempi più significativi di questo stile, il codice contenente i Commentarii in Isaiam di Girolamo, si segnala per la raffigurazione dell'albero di Iesse (Digione, Bibl. Mun., 129, c. 4v; Oursel, 1926, p. 44; Stratford, 1981; Załuska, 1989, p. 124ss.).Questo tema iconografico, molto caro ai Cistercensi per la connessione con la devozione alla Vergine (Davy, 19772, p. 218ss.), viene riproposto ancora in due manoscritti realizzati a C.: il leggendario o Vitae Sanctorum (Digione, Bibl. Mun., 641, c. 40v), che rientra nel II stile, e il martirologio dei primi decenni del Duecento (Digione, Bibl. Mun., 633, c. 2r; Oursel, 1926, tav. LII). La Vergine di Iesse, che è stata avvicinata alla Madonna con il Bambino della Cappella Palatina di Palermo (Załuska, 1989, p. 124), si inserisce nella tradizione bizantina del sec. 11° (Koehler, 1941) per la monumentalità dell'impianto e per la raffinatezza della tecnica pittorica e del panneggio a fitte pieghe ricadenti, che svela il modellato della figura.Dal punto di vista cronologico i codici appartenenti al secondo gruppo (Załuska, 1989, p. 119ss.) si collocano tutti entro gli anni quaranta e cinquanta del sec. 12°, senza tuttavia oltrepassare di molto, nella maggior parte dei casi, la fine del mandato abbaziale di Stefano Harding.Alla metà del secolo l'eco delle idee espresse da s. Bernardo contro la deformis formositas e la formosa deformitas della scultura architettonica di Cluny (Apologia ad Guillelmum Abbatem, XII, 29, 15) e soprattutto le conseguenze dell'interdetto contenuto negli statuti dell'Ordine (Statuta, I, LXXXII) concernente la decorazione dei codici e delle vetrate - "Litterae unius coloris fiant et non depictae. / Vitrae albae fiant et sine crucibus et picturis" (sulla datazione dell'interdetto Righetti Tosti-Croce, 1978, p. 111; Romanini, 1978, p. 229; Zakar, 1978, p. 130) -, insieme alle necessità di riorganizzazione del lavoro all'interno dello scriptorium cistercense, che si voleva fosse salvaguardato dall'ingerenza di artefici esterni (come erano spesso in questo periodo i miniatori), impressero all'ornamentazione dei codici miniati i caratteri di quello che è stato definito stile monocromo.Questo stile esclusivamente decorativo (Załuska, 1989, p. 153ss.), che caratterizzò la produzione libraria di C. per tutta la seconda metà del sec. 12°, rifletteva le scelte ideologiche dell'Ordine; da un lato nel rifiuto quasi totale della policromia e di motivi antropomorfi e zoomorfi - l'unica iniziale a protome animale presente in un codice di quest'arco cronologico è una G d'incipit miniata in un manoscritto miscellaneo (Digione, Bibl. Mun., 588, c. 80v) - dall'altro nell'estrema rarefazione dell'ornato e nella preferenza accordata a iniziali decorate a motivi vegetali e formelle geometriche. Gli elementi appena indicati - insieme a semplici lettere tracciate con il colore - connotano un manoscritto miscellaneo (Digione, Bibl. Mun., 114) che meglio di ogni altro sembra rappresentare questo stile. Questo codice di grande formato, una sorta di manuscript type contenente i principali testi dell'Ordine cistercense (Regula, Consuetudines, Sacramentarium), sembra porsi, per la sua stessa datazione tra il 1183 e il 1188, a conclusione della vicenda artistica dello scriptorium di Cîteaux.
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