abbandonare
Gallicismo, assai documentato nella lingua del Due e Trecento; ricorre in tutte le opere di D. e nel Fiore, nelle medesime accezioni dell'uso odierno. Regge molte volte un pronome accusativo, mettendo in rilievo il sentimento di paura della solitudine e dell'abbandono, che si avverte in molti passi danteschi (si veda il caso esemplare di Pg III 20 Io mi volsi dallato con paura / d'essere abbandonato). S'incontra con frequenza maggiore nel significato di " lasciare per sempre, definitivamente, di proposito " persone, luoghi, attività, sia in senso proprio (Pg IX 23 esser mi parea là dove fuoro / abbandonati i suoi da Ganimede; Cv IV V 19 li Romani volsero abbandonare la terra); sia in senso figurato (Cv III X 2 l'anima, più passionata, più si unisce a la parte concupiscibile e più abbandona la ragione; Vn XXXII 6 14 l'anima dolente / abbandonata de la sua salute; Cv IV VII 4 quello [campo] de la comune sentenza, sì lungamente da questa cultura abbandonato). Altri esempi in Vn XVI 8 6, Rime dubbie XI 14 (inoltre nella variante del v. 90 di Io sento sì d'Amor nell'edizione Moore: e se non puote, tosto l'abbandona); Cv II XIV 15, IV V 13, Fiore XIV 13, XXII 5, XXXV 13, LXVI 3, CXLVI 14, CLXXXII 4, CCIV 11. Quando è riferito a persone, significa più particolarmente " lasciare senza aiuto, senza protezione, in balia di sé stesso o d'altri ": If VIII 109 Così sen va, e quivi m'abbandona / lo dolce padre; Pg VI 97 O Alberto tedesco ch'abbandoni / costei ch'è fatta indomita e selvaggia; Vn XXXI 16 67, Fiore CCXXVII 9. Talvolta ha il valore generico di " lasciare ": Cv III XI 9 sono molti che... l'altre scienze fuggono e abbandonano; II XV 6, III IV 8. In Pd V 117 O bene nato a cui veder li troni / del triunfo etternal concede grazia / prima che la milizia s'abbandoni, l'immagine ‛ abbandonare la milizia ', che in ultima analisi equivale a " morire ", è felicemente riferita agli spiriti del cielo di Mercurio, che per acquistare fama e onore fecero della loro vita una milizia, secondo l'espressione biblica (" Militia est vita hominis super terram ", Iob 7,1), e allude nello stesso tempo alle due comunità della Chiesa, militante e trionfante. In If XVII 107 quando Fetonte abbandonò li freni, significa più precisamente " lasciar cadere di mano ", " allentare ".
Il Tommaseo, nel Dizionario, fa notare che " Non abbandonare non è semplice negazione, ma dice compagnia e cura attenta e efficace ", come ad esempio in Rime C 25 Amor, che sue ragne / ritira in alto pel vento che poggia, / non m'abbandona; e chiosando poi la famosa terzina di If V 103-105 (Amor, ch'a nullo amato amar perdona, / mi prese del costui piacer sì forte, / che, come vedi, ancor non m'abbandona), distingue sottilmente che " nel male " non abbandonare indica " molestia incessante ", in quanto il perdurare della passione che aveva recato tanto piacere agli amanti è diventato pena e tormento eterni.
In altri casi a. assume il significato di " allontanarsi da un luogo ": così in If I 12 tant'era pien di sonno a quel punto / che la verace via abbandonai; in Pg XXV 12 E quale il cicognin che leva l'ala / per voglia di volare, e non s'attenta / d'abbandonar lo nido, e giù la cala, e in Pd VIII 66 quella terra che 'l Danubio riga / poi che le ripe tedesche abbandona.
Altra accezione del verbo è " tralasciare di fare o di dire una cosa ": Cv III XII 10 non sarebbe da laudare la Natura se... per li [fiori] vani abbandonasse la produzione de li fruttiferi, e Pd XVIII 9 qual io allor vidi / ne li occhi santi amor, qui l'abbandono, " tralascio di dirlo ", " rinuncio a descriverlo ", perché la descrizione del paradiso che D. contempla negli occhi santi di Beatrice è impresa superiore alle forze umane, anzi le capacità umane non sono neppure in grado di richiamare alla memoria l'intensità dell'amore soprannaturale.
In quattro passi della Commedia, e con quattro accezioni diverse, è usata la forma ‛ abbandonarsi '. In Pg XVII 136 L'amor ch'ad esso [al bene terrestre, imperfetto] troppo s'abbandona, / di sovr'a noi si piange per tre cerchi, equivale a " cedere completamente, senza freno, senza misura ", con troppo di vigore (v. 96). In If II 34 se del venire io m'abbandono, / temo che la venuta non sia folle, è un gallicismo di ascendenza tecnica già documentato nella letteratura dugentesca (cfr. per esempio il volgarizzamento de Li Fait des Romains della biblioteca Riccardiana, codice 2418 [Schiaffini, Testi 205: " da ora ina[n]zi m'abandono e metto in avventura "; per altri esempi, cfr. F. Mazzoni, Saggio di un nuovo commento alla D.C., Firenze 1967, 233, ove significa propriamente " avventurarsi ", " mettersi allo sbaraglio "; i commentatori antichi e moderni lo spiegano quasi concordemente: " se mi lascio indurre ", " se consento senza troppo riflettere " a visitare l'oltretomba; soltanto Daniello gli attribuisce il significato di " mi ritiro indietro ". In Pd XXXI 75 Da quella region che più sù tona / occhio mortale alcun tanto non dista, / qualunque in mare più giù s'abbandona, vale " discendere ", " sprofondarsi ", " inabissarsi ", interpretazione che trova concordi tutti i commentatori. Le spiegazioni sono invece discordi riguardo al valore del verbo in Pd XVII 108 Ben veggio, padre mio, sì come sprona / lo tempo verso me, per colpo darmi / tal, ch'è più grave a chi più s'abbandona, per quanto il significato generale del passo risulti sufficientemente chiaro in ogni caso. Presso i commentatori antichi prevale la spiegazione " non provvedersi di cautele quanto è possibile ": così intendono il Buti, il Vellutello, e altri; anche lo Scartazzini (per il quale anche nei precedenti esempi il verbo ha questo valore). Si avvicina a tale interpretazione il Landino, ripreso dal Sapegno, spiegando " lasciarsi atterrare dal dolore ", " abbandonarsi inerme, senza reagire ", mentre per il Daniello, per la Crusca, ecc. è piuttosto un " perdersi d'animo ", " sbigottirsi ", " sgomentarsi ", " cessar di lottare ", più vicini in questo al valore che il verbo ha nei testi antichi, nei quali talvolta si trova per " accasciarsi ", " sgomentarsi " (cfr. Paolo da Certaldo, Libro di buoni costumi 249 " mai non t'abbandonare quando se' malato; sempre abbi speranza di guarire, e aiutati ").