a priori/a posteriori
Coppia di termini con cui è stato designato un rapporto di precedenza logica tra gli elementi della conoscenza.
Nel pensiero antico e medievale questa precedenza è stata intesa in un senso che è insieme gnoseologico e metafisico, la cui origine si può considerare la discussione sul sapere come «reminiscenza» condotta nei dialoghi di Platone. Aristotele elimina da tale nozione ogni connotazione mitica e cronologica e distingue «ciò che è anteriore e più noto rispetto a noi» da «ciò che è anteriore e più noto per natura», identificando quest’ultimo con l’universale e con la causa (Analitici secondi, I, 2). In base a questi concetti nella filosofia medievale araba e poi nella scolastica – dove compare la terminologia latina ancora in uso – vengono distinte la dimostrazione che procede dalle cause, chiamata «demonstratio a priori», e la dimostrazione che procede dagli effetti, chiamata «a posteriori». A partire dal 17° sec. si afferma una concezione puramente gnoseologica della conoscenza a priori come verità accertabile indipendentemente dall’esperienza. Filosofi empiristi come Locke e Hume promuovono una discussione sulla natura, l’estensione e la stessa possibilità di una conoscenza a priori, che viene riferita di solito alle verità innate e necessarie. In Leibniz i due sensi della conoscenza a priori coesistono: dal punto di vista metafisico Leibniz considera ogni verità dimostrabile a priori in base alla sua causa, ma nello stesso tempo afferma che l’intelletto umano è incapace di ricavare le verità contingenti indipendentemente dall’esperienza e restringe la conoscenza a priori alle verità necessarie, che si riescono a dimostrare in base a «ciò che si ha già nello spirito».
Ricollegandosi alle discussioni moderne, Kant pone a capo della Critica della ragion pura (➔) (1781) la questione della possibilità di conoscenze a priori, articolandola secondo la distinzione tra giudizi analitici e sintetici (➔ analitico/sintetico, giudizio). Nella trattazione kantiana le forme a priori (spazio, tempo e categorie) non sono intesi soltanto come un genere di conoscenze, ma nello stesso tempo come condizioni di possibilità dell’esperienza, da cui vengono formati i giudizi della filosofia trascendentale. Kant esamina sistematicamente i giudizi a priori che ricorrono nelle diverse scienze: la logica non contiene propriamente conoscenze, bensì un «canone» formale di correttezza valido per ogni uso dell’intelletto; l’aritmetica e la geometria si compongono invece di giudizi sintetici a priori che risultano indipendenti dal contenuto variabile delle percezioni; infine la scienza della natura contiene un numero limitato di giudizi sintetici a priori, alcuni dei quali sono «non puri», dal momento che presuppongono per la loro formulazione un determinato concetto empirico (come il movimento).
La trattazione kantiana costituisce il modello di tutte le successive discussioni sulla dicotomia a priori/a posteriori, anche di quelle che la aboliscono, o per ritornare a una concezione metafisica (come nell’idealismo tedesco), o viceversa per dissolvere l’a priori entro una concezione naturalistica della conoscenza. La discussione sull’origine soggettiva della conoscenza a priori e quella sulla sua validità sono state di solito distinte e sviluppate indipendentemente. La prima dà luogo a numerose rielaborazioni del rapporto tra soggettività trascendentale ed esperienza, per es., nel neokantismo, nella fenomenologia, nelle filosofie dell’esistenza. La seconda viene suddivisa fin dall’inizio del 19° sec. secondo i casi delle varie discipline scientifiche. Nell’indagine sui fondamenti della logica e della matematica è dominante all’inizio del 20° sec. una concezione dei giudizi a priori come verità analitiche, implicite negli assiomi. Un’interpretazione antimetafisica ed empiristica di a priori e a posteriori viene fornita in particolare in base alla concezione formalistica e convenzionalistica degli assiomi scientifici, sostenuta da autori come Hilbert, Poincaré e Einstein. Cassirer cerca di ricollegare gli assiomi alla funzione sintetica dell’a priori kantiano, considerandoli condizioni di possibilità dell’oggetto, che mutano con il progresso delle teorie scientifiche. Analogamente Reichenbach elabora in Relatività e conoscenza a priori (1920) il concetto di principi a priori «costitutivi» ma «non apodittici». La discussione contemporanea vede opporsi chi ricollega la nozione dell’a priori a una problematica trascendentale (più raramente metafisica) e chi invece considera le conoscenze a priori come condizioni pragmatiche o linguistiche della conoscenza empirica, eliminando definitivamente ogni traccia dell’antico significato metafisico.