ΝIΚIAS, 2° (v. vol. V, p. 476)
La personalità di Ν. riceve nuova consistenza dalle scoperte di Verghina (v. aigai). Le scene di caccia che decorano la fronte della tomba di Filippo II hanno un impianto coerente con la Liberazione di Io, uno dei quadri meglio noti di N., grazie all'affresco nella Casa di Livia (v. vol. V, fig. 614). Le due pitture hanno in comune il rapporto ridotto delle figure rispetto al paesaggio, le masse di roccia dietro i protagonisti, l'ampio piano di terra davanti al luogo dell'azione, e soprattutto l'esile pilastro visto di spigolo che rappresenta l'intervento umano nella consacrazione dell'ambiente naturale e scandisce la narrazione: nell'episodio di Io e Argo, l'elemento architettonico regge una statuetta di Hera, nel bosco della caccia di Verghina è sormontato da tre idoli.
Ulteriori confronti si possono stabilire tra i personaggi. L'Hermes che si affaccia dietro l'altura nel dipinto romano, e il penultimo cacciatore appiedato verso la destra del fregio, si assomigliano per la contrazione del lato destro di entrambe le figure, in una posa forzata: il dio protende il caduceo, l'uomo uno spiedo. La stessa Io trova un'assonanza nella posizione del busto, delle braccia e della testa del primo cacciatore, piegato sul cervo: affinità che si può estendere all'Odisseo del quadro con Calipso, altra opera di N. identificata nella copia del macellum di Pompei.
Un altro spunto di riflessione è offerto dal quadretto votivo appeso tra nastri sul primo grande albero visibile nell'affresco macedone, poiché N. aveva introdotto l'elegante gioco del quadro nel quadro, dipingendo l'allegoria di Nemea. Lo studio dei cavalieri armati d'asta, visti in tre diverse situazioni e scorci - di tre quarti da tergo col giavellotto orizzontale (il cavaliere che minaccia il cervo), di tre quarti da sinistra con l'arma obliqua (il giovane Alessandro), di tre quarti da destra con la mira abbassata (il re Filippo) - riflette allo stato nascente la ricerca dichiarata dal pittore nell'anonimo trattato di retorica, a proposito delle scene di battaglia, «dove uno possa mostrare molti schemi di cavalli, quelli che attaccano, quelli che contrastano [...] e tanti cavalieri che colpiscono d'asta».
L'attitudine di N. all'animalistica, proclamata nelle parole di Plinio (Nat. hist., XXXV, 30: «gli attribuiscono immagini di quadrupedi, e rappresentò i cani nel modo più felice») e in una descrizione di Pausania (VII, 22,6: stele con gruppo di famiglia e una muta di cani), trova piena conferma nella varietà di taglia e di situazione dei nove cani che popolano l'affresco, e nella moltiplicazione di episodi d'inseguimento, cattura e uccisione della selvaggina: una coppia di cervi, un cinghiale, un leone e un orso. Davanti a tale testimonianza sarebbe da ristabilire l'interpretazione letterale e pregnante dell'epitaffio del pittore, «il migliore di quelli del suo tempo nel dipingere animali» (Paus., I, 29, 15), invece della banalizzazione correntemente accettata: «nel dipingere» (v. vol. V, p. 477).
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