1913. L’Italia e il XVI centenario dell’editto di Milano
Nel biennio 1912-1913 in tutta Europa si danno alle stampe centinaia fra libri, opuscoli, articoli di variegatissima natura e spessore scientifico. A fronte della sua mole, alimentata anche dalla facilità con la quale la figura di Costantino è già scivolata nel mito, questa intensa produzione è in larga parte costituita da scritterelli di taglio apologetico-ideologico e per il resto di contributi, alcuni di alto profilo scientifico, che si propongono di esaminare l’editto nella sua dimensione storica1. Questo profluvio di attenzioni trascende di gran lunga l’interesse per i fatti storici, e sono evidentemente le implicazioni del tema in relazione alla situazione della Chiesa nel XX secolo a rendere particolarmente degne di nota le celebrazioni per il XVI Centenario della pace e libertà della Chiesa, volute da Pio X.
Nel corso dei milleseicento anni che dividono la prima diffusione dell’editto di Milano dalle celebrazioni del 1913, Costantino ha tutto il tempo di trasformarsi da Costantino imperatore a Costantino il Grande, fino a divenire ‘primo imperatore cristiano’, e di fissare quest’ultima definizione entro una cornice mitizzata. Si potrebbe pensare che più ci si allontani dagli eventi, più potente si innalzi il mito. Ma nel caso di Costantino lo schema è più complesso. «La coesistenza dell’esperienza storica e di quella mitica costituisce un dato di fatto empirico: elementi dell’una e dell’altra si intrecciano, fino al punto che un’identità mitica può configurarsi attraverso una percezione storica del tempo, nonché viceversa»2, e Costantino rappresenta un caso paradigmatico di compatibilità tra storia e mito: l’inversione fra indebolimento dei tratti storici e affermazione di quelli leggendari non è proporzionale e non segue un andamento lineare; gli aspetti più epici non si affermano solo in seguito al mero trascorrere del tempo e al conseguente sbiadirsi del ricordo degli eventi, ma ha subiscono oscillazioni legate a veri e propri ‘buchi’ di conoscenza e di memorie3.
Dal punto di vista della produzione scientifica, come accennato, il 1913 rappresenta uno dei picchi di queste oscillazioni. In tutto il mondo cristiano si assiste a un riaccendersi sia dell’interesse intorno alla figura dell’imperatore sia del dibattito sui grandi temi classici della storiografia costantiniana: un’onda che investe in pieno anche l’Italia, dove per sedici secoli Costantino è rimasto presente nel tempo – anche se spesso taciturno – pur essendo uscito prestissimo dal suo tempo.
Ci vuole dunque il Novecento, con la declinazione che la modernità impone all’eredità del 1789 e soprattutto con la fine del potere temporale, per riportare alla luce questioni antiche e capitali quali la libertà della Chiesa ma anche, parallelamente, per dare al mito la forza di oltrepassare la cerchia degli addetti ai lavori e di parlare a una platea più vasta, assumendo – almeno per qualche mese – una vitalità che dalla sola conoscenza storica non ha alcuna possibilità di ottenere. Quel tipo di sapere infatti non è abbastanza diffuso in un paese ancora largamente analfabeta e soprattutto esso non è stato finora consapevolmente finalizzato a un obiettivo, quello di propagare presso le masse un’idea che poco o nulla ha più a che fare, nella realtà, con la vita e le scelte dell’imperatore. Dei moltissimi che non hanno mai letto e mai leggeranno la Vita di Costantino scritta da Eusebio, molti nel 1913 ascoltano le sue gesta dalle prediche dei parroci e almeno una parte può addirittura incontrare l’imperatore al cinema e fissarlo per sempre nella propria mente nei tratti del siciliano Arturo Garzes4.
Dopo il 1913 l’onda lentamente si ritira, come prova il fatto che, passate le celebrazioni, Costantino rientra in breve tempo nei cenacoli dei pochi accoliti e, salvo rare eccezioni, torna visibile al ‘grande pubblico’ forse solo oggi, dopo altri cento anni e in un contesto radicalmente cambiato rispetto a quello del secolo precedente.
Certo è che mai come in quei pochi mesi il nome dell’imperatore si rende presente fra la gente, nelle parrocchie o durante pellegrinaggi riservati fino a quel momento solo a ben altre figure del mondo cristiano.
Una condizione che caratterizza l’Italia più che altri paesi, non solo per ovvi motivi di vicinanza alla Santa Sede ma anche per le contingenze storiche, che faranno sì che il ricordo dell’editto di Milano coincida perfettamente con il momento in cui riprendono a dialogare una Chiesa ‘perseguitata’ (come quella del tempo) e un potere politico ‘convertito’ (e, come allora, non si sa se per convinzione o per convenienza, come mostrano poi i tanti deputati che, all’indomani delle elezioni, sono eletti con i voti dei cattolici per poi negare di avere firmato il patto Gentiloni).
Il Costantino dell’editto di Milano si trasforma così in un formidabile strumento di propaganda e il centenario, sebbene «sedici volte secolare», di fatto viene festeggiato solennemente per la prima volta solo nel 1913.
I festeggiamenti del XVI centenario si svolgono sullo sfondo di due temi centrali per la Chiesa e per il futuro del cattolicesimo italiano: la complessa «identificazione» dei cattolici con uno Stato ormai riconosciuto nella sua indipendenza e unità, ma al quale sono pur sempre contestati i principi su cui è nato, e l’idea che solo e soltanto la Chiesa, con la sua dimensione di universalità, possieda i requisiti per farsi continuatrice di un’idea imperiale, al cui interno essa è libera e sovrana, proprio in virtù di quella libertà concessa dall’imperatore nel 313. Ovviamente, quest’ultima idea sconfessa ogni supremazia dello Stato, e Costantino viene recuperato unicamente in quanto sottomesso alla vera autorità, quella ecclesiastica, appunto5.
Sono questi, in sostanza, i due nodi da sciogliere per poter garantire la libertà della Chiesa nel tempo presente: fra le due posizioni si deve trovare un punto di congiunzione oppure una è costretta a cedere all’altra: il 1913 è l’anno che impone una virata a un processo iniziato già da un decennio.
Il non expedit, almeno fino ai primi anni del Novecento, ha infilato i cattolici nel complesso scenario caratterizzato da una Chiesa presente nella società ma assente nello Stato, proprio negli anni in cui lo Stato si definisce nei suoi assetti e il sentimento nazionale va prendendo forma in maniera sempre più vasta e incisiva6. Questa sorta di cittadinanza cattolica ‘tronca’ e questa netta distinzione tra campo sociale e campo politico (paese reale e paese legale, come si sarebbe sintetizzato efficacemente) è dunque affetta da uno strabismo che non permette di mettere a fuoco alcuna prospettiva per i cattolici, non solo nel lungo periodo, ma anche nel breve, vista la rapidità dei cambiamenti che vanno prospettandosi in tutta Europa.
Durante le celebrazioni del centenario questo doppio registro emerge più volte dalle posizioni sostenute in seno alla Chiesa (a partire dalla lettera collettiva dell’episcopato lombardo del 19127), anzi, si può forse affermare che in qualche modo le celebrazioni lo abbiano effettivamente incarnato. Da una parte la levata di scudi contro ogni forma di cedimento nei confronti dello Stato, il «nuovo idolo, risorto dalle ceneri del paganesimo»8, affidata all’intransigenza delle posizioni de La Civiltà Cattolica, dall’altra l’apertura a un mondo che, senza mettere in discussione la libertà della Chiesa (e senza cedere alle istanze dei moderati), riuscisse a trovare una sua collocazione nel presente.
L’VIII settimana sociale dell’Unione popolare si svolge significativamente a Milano dal 30 novembre al 6 dicembre 1913. L’Unione popolare – nata per volere di Pio X dalle ceneri ancora calde della soppressa Opera dei congressi – ha lo scopo di organizzare i cattolici e di mantenerli coesi nel complesso passaggio verso la ricerca di nuove soluzioni partecipative, come testimoniano efficacemente i temi che, a partire dal 1907, si dibattono annualmente in seno alle Settimane sociali, gli appuntamenti annuali che costituirono la principale e più significativa attività dell’Unione: movimento cattolico e azione sociale. Contratti di lavoro, cooperazione e organizzazione sindacale. Scuola; Questioni agrarie. Condizione operaia e educazione. Programma sociale e organizzazioni cattoliche; Questioni del lavoro e dell’economia, Problemi agricoli. Programma sociale e organizzazioni cattoliche; Cattolicesimo Sociale ed economia moderna; Problemi della famiglia e della cultura; Organizzazione professionale; Le condizioni della scuola.
È stato più volte sottolineato dagli studiosi come l’Unione popolare, che richiama nella sua struttura il Volskverein tedesco, sia in realtà un’associazione piuttosto blanda e scarsamente incisiva nella vita culturale del movimento cattolico, per il suo totale assoggettamento alle direttive pontificie; del resto essa nasce con l’esplicito intento di non dare vita a un vero e proprio partito dei cattolici.
La settimana sociale di Milano merita di essere richiamata in questa sede almeno per due motivi: perché tratta di un tema scelto proprio in virtù del centenario, Le libertà civili dei cattolici9, e perché nel 1913 l’Unione elettorale cattolica – uno dei gruppi sottoposti al coordinamento dell’Unione popolare – è presieduta da Ottorino Gentiloni10, che meno di un mese prima ha riportato i cattolici alle urne a sostegno dei liberali (risultati poi vincitori), in particolare di quelli impegnatisi a non attuare una politica anticlericale. Sono 228 i candidati «gentilonizzati» (come subito furono definiti) a firmare l’eptalogo, i sette punti che Gentiloni aveva stilato con il contributo, fra gli altri, di Filippo Meda11, che dopo le elezioni prende però subito le distanze dal non-disegno gentiloniano per i cattolici eletti. I 33 deputati cattolici che entrano nel parlamento del 1913 grazie al patto, infatti, non hanno dinanzi alcuna prospettiva programmatica che non sia il progetto di Gentiloni di rafforzare il blocco clerico-moderato in funzione antisocialista, il che corrisponde sic et simpliciter a consegnare ai liberali il potere conquistato con l’appoggio dell’elettorato cattolico12.
Una consegna rispondente all’impostazione conservatrice di Pio X, che da una parte sancisce così la totale chiusura al popolarismo della democrazia cristiana (in realtà alimentandola, poiché l’impulso definitivo per la costituzione del partito ben presto arriva anche per reazione a siffatta concezione gentiloniana del ruolo politico dei cattolici), dall’altra mira ad azzittire definitivamente l’ultima eco del motivo già ottocentesco del ‘Gesù primo socialista della storia’13, diffuso dal socialismo umanitario di Camillo Prampolini soprattutto nel mondo rurale e che ora il richiamo costantiniano al cristianesimo dei primi secoli rischia di rianimare nella sua accezione più anticlericale: la visione di un Gesù e di una Chiesa povera contrapposta a quella di una gerarchia ecclesiastica alleata della ricca borghesia liberale14.
Tornano di stretta attualità le parole dell’inno composto quasi quarant’anni prima: «Sorgi, Gesù! le plebi ti salutano […] Fuggi dei preti dal bugiardo tramite. / Fuggi, gli scribi ei son de’ nuovi secoli, / T’han fatto Iddio dell’oro. /Noi ti farem Gesù l’uom del lavoro»15.
La settimana di Milano si inquadra in questo clima di grande controllo, ma per quanto gran parte delle dodici relazioni presentate riguardi temi ‘sociali’ – due di esse sono dedicate alla scuola, argomento cardine di questa fase dei rapporti fra Stato e Chiesa –, sono gli interventi in cui si affronta in maniera diretta il grande tema costantiniano della libertà della Chiesa ad accendere maggiormente la discussione, ossia la prolusione dall’arcivescovo di Udine, Anastasio Rossi, e il discorso di chiusura del presidente dell’Unione, Giuseppe Dalla Torre16. Le elezioni non sono menzionate nel corso dei lavori della settimana, eppure nelle parole di chiusura pronunciate da Dalla Torre non si può non sentirne l’eco degli effetti, poiché esse si presentano come un invito esplicito alla risoluzione definitiva della questione romana, da realizzarsi attraverso le vie costituzionali della partecipazione politica da parte dei cattolici:
Ebbene, se come fedeli non possiamo derogare da questo essenziale principio [la libertà e l’indipendenza del pontefice], il quale direttamente si collega con quello della libertà delle nostre coscienze: come cittadini pensiamo, che la pace fra lo Stato e la Chiesa, che l’equa soluzione di un sì essenziale contrasto – fomentato da chi nel segreto e nell’ombra specula con troppa fortuna sul turbamento delle coscienze da un lato, e sulla propria influenza sui pubblici poteri dall’altro – possa sempre avvenire per costituzionale volontà del Paese, da parte dello Stato, senza che la sua civile sovranità ne sia compromessa17.
Un discorso, quest’ultimo, letto e approvato dal segretario di Stato cardinale Merry del Val18: da Milano, dunque stanno arrivando segnali che non possono considerarsi espressione di posizioni individuali.
Il centenario costantiniano e la libertà della Chiesa è l’argomento della relazione di apertura dall’arcivescovo di Udine, futuro e ultimo patriarca di Costantinopoli. Nel ribadire anch’egli come l’organizzazione della Chiesa si basi su vescovi e pontefice, e come il loro potere di giurisdizione si esplichi in potere «legislativo, giudiziario, coattivo», così come per gli apostoli, il presule afferma: «No, non è possibile prescindere da questa organizzazione senza distruggere la Chiesa stessa, ossia il cristianesimo; e perciò col riconoscere la libertà e personalità della Chiesa, si doveva riconoscere la libertà e le giuridiche capacità dei Vescovi […] e particolarmente la libertà e le giuridiche capacità del pontefice, del Vescovo di Roma»19. Rossi non si limita a dichiarare il principio, bensì si spinge fino a proporre una soluzione, l’internazionalizzazione delle guarentigie20, in sé niente affatto nuova, e inoltre di improbabile attuazione: è, tuttavia, significativo assistere il giorno seguente, dopo che è stata pubblicata in prima pagina sull’Osservatore Romano la relazione di Rossi, a una levata di scudi in difesa della legge del 1871. In particolare, gli articoli di Luigi Luzzatti e Francesco Ruffini, pubblicati il 2 dicembre sul Corriere della Sera, ammoniscono sui rischi che una soluzione internazionale alla questione romana può comportare per l’integrità della sovranità nazionale21.
Invero, quel che più alimenta la controversia non sono tanto le discussioni di principio sulla libertà della Chiesa, quanto piuttosto le soluzioni proposte per la sua composizione; il tema esce così dai confini della speculazione teologica e filosofica, per collocarsi concretamente nello scenario nazionale e internazionale, rivendicando un diritto di libertà e partecipazione che richiede precise prassi e garanzie. Se la Chiesa sembra improvvisamente rinunciare al principatus civilis del pontefice, e dunque la prerogativa di uno Stato territoriale viene meno, entro quale cornice essa intende ripensare la rivendicazione della sua indipendenza e della sua libertà? La relazione del vescovo friulano e la sua apertura a una risoluzione internazionale della questione romana sembrano andare esattamente in questa direzione, tanto che sul Corriere della Sera si arriva a scrivere di un «abbandono del temporalismo»22.
L’ipotesi non ha tuttavia seguito – per quanto destinata a riproporsi più volte negli anni successivi, fino al definitivo prevalere di quella di una sovranità territoriale limitata – ma la settimana milanese comporta l’effetto di ricondurre la questione costantiniana nei confini del tempo presente, di sfrondarla degli aspetti più retorici per metterla a nudo in tutta la sua impellenza.
Nel contesto del «risveglio religioso»23 che caratterizza il primo decennio del Novecento, la funzione della stampa cattolica acquista un peso specifico crescente, divenendo di fatto, sin dall’Unità e soprattutto dopo gli sviluppi della questione romana, il luogo principale attraverso cui i cattolici possono far udire le proprie voci o, più spesso, far udire la voce della Chiesa24. Nel 1882 l’enciclica Etsi nos di Leone XIII decreta il definitivo avvio della «buona stampa», concepita principalmente in funzione di contrapposizione a quella che ormai, con sempre maggior frequenza, avversa la Santa Sede.
Anche in occasione del giubileo costantiniano, la ‘buona stampa’ svolge un ruolo prezioso. Oltre a La Civiltà Cattolica, come ora si vedrà, anche l’Osservatore Romano è attentissimo cronachista ed efficace divulgatore delle iniziative promosse, pubblicando decine di articoli che vanno dai resoconti delle iniziative agli approfondimenti di carattere più scientifico o di taglio più schiettamente politico. Nell’aprile-maggio 1913 dedica, inoltre, alle celebrazioni un intero numero speciale. Tutta la stampa cattolica, in varia misura, mostra attenzione per l’avvenimento, spesso rimpallando articoli già pubblicati su La Civiltà Cattolica. Ne scrivono, tra gli altri, la Rivista internazionale di scienze sociali fondata da Giuseppe Toniolo e La Scuola Cattolica, voce della facoltà teologica di Milano (e del cardinale Ferrari), entrambe nate sulla scia dell’indirizzo di ritorno al tomismo indicato da Leone XIII25.
Grande protagonista di questo lungo periodo è senza dubbio proprio La Civiltà Cattolica26, organo dei gesuiti e più autorevole portavoce delle idee della Santa Sede. Negli anni presi qui in considerazione, lo è soprattutto in quanto costantemente accusata di eccessivo intransigentismo, sia dal mondo non cattolico sia dalle frange più moderate presenti in seno alla Chiesa. Come è stato giustamente notato27, il passaggio dal pontificato di Leone XIII a quello di Pio X segna un cambiamento, non di merito ma di metodo, laddove l’attendismo di Leone XIII lascia il passo a una condotta più ferma e conservatrice nei confronti della difesa dei principi della Chiesa. L’intransigentismo della rivista gesuita non nasce dunque esclusivamente dalla propria ‘linea editoriale’ ma è, di fatto, la conseguenza diretta dell’applicazione delle dottrine pontificie, e in particolare proprio di quelle di Leone XIII, che nel suo progetto di ritorno al tomismo e, più in generale, di «restaurazione culturale»28 imprime una linea che Pio X si limita a riprendere e più fermamente impone. La rivista, però, non è evidentemente mera esecutrice di direttive ma infonde in esse tutta la propria profonda condivisione di principi, non di rado aggiungendo del suo.
Alla luce di queste premesse e in anni in cui gli attacchi ai princìpi e alle tradizioni della Chiesa si fanno sempre più insistenti e infuocati, La Civiltà Cattolica si appresta a dare il suo contributo ai festeggiamenti del centenario costantiniano. Lo fa riportando notizie e informazioni sulle attività promosse in Italia dal Comitato e soprattutto con un’imponente serie di articoli che compaiono già a partire dal 1910 e che si occupano sia dell’imperatore sia dell’editto, considerandoli da vari punti di vista29.
Fra questi, gli interventi che entrano nel cuore delle questioni costantiniane sono quelli usciti nell’estate del 1913: Costantino Magno e l’unità cristiana; Costantino Magno e la libertà cristiana; Costantino Magno e la moralità cristiana. Unità, libertà e moralità sono le «ragioni più essenziali, per cui l’editto di Costantino Magno, determinando la vittoria del cristianesimo sul paganesimo, può dirsi veramente un atto creativo del moderno incivilimento, e perdura ancora nei suoi effetti, colla pienezza delle prerogative onde la società cristiana si distingue e supera tutte le altre»30.
Ragioni che hanno viaggiato immutate per milleseicento anni, perfettamente sovrapponibili nel 313 e nel 1913, a patto che siano lette nel modo giusto. Nessuna forma di unità dei governi politici è destinata ad avere successo, neppure quella immaginata da Costantino, strumento della Provvidenza per la libertà della Chiesa; la libertà e l’indipendenza della Chiesa donate da Costantino non sono assoggettabili ad alcun potere; la vittoria sul paganesimo (per mezzo di Costantino) ha ricondotto l’umanità alla moralità evangelica, ed è la donna (per mezzo di Elena) che ne è il baluardo.
Il pensiero politico di Costantino, di fondare cioè sulla unità religiosa del cristianesimo l’unità e perpetuità dell’impero romano, era un pensiero umano che doveva fallire: le varie forme di governo, dall’assolutismo monarchico alla democrazia repubblicana, sono essenzialmente contingenti e dipendono da tante cause mutabili, colle quali la Chiesa, ch’è il cristianesimo vivente e operante, non può né deve legare le sue sorti, divine e immutabili31.
Il primo imperatore cristiano si acquistò il merito incomparabile di aver fissato in sul nascere della società cristiana quella distinzione tra i due poteri, che assicurando a tutti la libertà di coscienza, doveva mostrarsi nel corso dei secoli un privilegio glorioso della civiltà cristiana […] A tutti quelli pertanto che alla Chiesa negano il titolo di madre della vera libertà, individuale, domestica e sociale, basta che la Chiesa opponga uno solo dei suoi figli: Costantino»32.
Epperò dobbiamo conchiudere che la società contemporanea non potrà risorgere dalla abiezione in cui è caduta, se non con rimettere in onore la memoria della grande opera pacificatrice di Costantino Magno, e perciò stesso ritornare al culto della unità, libertà e moralità cristiana33.
In questo crocevia di idee, proposte e interpretazioni, in parte compatibili in parte discordanti – quelle emerse nella settimana milanese e quelle tracciate da La Civiltà Cattolica – si legge chiaramente il segno dei tempi e si coglie la misura del reale e reciproco avanzamento delle parti. In un’area ancora minima di intersezione e di pur limitato dialogo, Stato e Chiesa già da un decennio stanno tessendo in filigrana una trama di contatti che poco spazio lascia ormai a qualcosa d’altro che non sia l’azione.
Sarà Benito Mussolini a siglare definitivamente, sedici anni dopo, la pax tra Stato e Chiesa – indossando solo momentaneamente i panni di Costantino e mantenendo sotto di essi quelli di Augusto34 –, ma è Vincenzo Ottorino Gentiloni il protagonista del primo vero riavvicinamento del 1913. Se il patto Gentiloni non è la soluzione definitiva della questione di una partecipazione dei cattolici alla vita politica (anzi, l’operazione lascia una vasta scia di scontenti, dalla Santa Sede ai cattolici sociali e all’area democratica, e addirittura fra i candidati stessi eletti con i voti dei cattolici, che in molti casi subiscono una sorta di processo dopo la pubblicazione della lista dei loro nomi), esso fu certamente un passo decisivo verso un’immersione nel paese reale, che va colto in tutta la sua concretezza nell’opera di penetrazione capillare nel territorio, una prassi che nei decenni successivi diverrà la forza di quel partito, la cui nascita Pio X ancora contrasta:
Rev.mo sig. Parroco,
Domenica prossima 19 alle ore 8 precise nella casa del Popolo avrà luogo l’adunanza di tutti gli Incaricati delle Parrocchie, designati dai Parroci al nostro ufficio, per dar loro le necessarie istruzioni sul nuovo sistema di votazione […].
La sera della Domenica stessa è pregata la S.V. a raccogliere gli elettori della sua parrocchia, per spiegare loro le seguenti norme pratiche per la votazione.
1. L’elettore presenta al presidente del seggio il certificato elettorale. 2. Ritira dal presidente una busta aperta. 3. Va nella cabina o confessionale dove nessuno lo vede. 4. Guarda che il tavolo non sia bagnato d’inchiostro per non sporcare la busta. 5. Mette nella busta la scheda stampata col nome del deputato Cavina. 6. La chiude come si chiudono tutte le buste comuni, bagnando l’orlo ingommato. 7. Non confondersi se sul tavolo, entro la cabina, trova altre schede. Non farne calcolo. […] Raccomandare agli elettori di non dimenticare a casa il certificato elettorale e di conservarlo dopo la votazione fino alla domenica susseguente e questo in caso di ballottaggio. Per il Comitato. Zaulli35.
Il mito costantiniano e la sua evoluzione nel corso dei secoli, ossia l’evoluzione di «quel complesso di narrazioni, di programmi iconografici, di celebrazioni liturgiche, che hanno costituito per secoli la memoria del primo imperatore cristiano, in altre parole il Costantino dopo Costantino»36, è argomento affrontato in numerosi studi nei quali si esaminano, di volta in volta, le ragioni della sua nascita e le sue vicende di alterna fortuna37. In un breve articolo del 1913, Costantino Magno e la sua conversione in una predica inedita del XV secolo, il teologo francescano Livarius Oliger coglie già questo passaggio dalla storia al mito:
la memoria di Costantino giunse a salvarsi dall’oblio grazie agli Acta s. Silvestri. Non fu più il Costantino della storia, ma era quello che più interessava alle masse popolari d’allora: l’imperatore potentissimo che umile riconosceva la potenza di Gesù Cristo, che accorreva tremebondo ai piedi del Suo vicario, il Pontefice, e che da costui solo potette essere mondato dalla lebbra che pur sul trono lo aveva saputo colpire e farlo eguale ai più ripugnanti e miseri fra i suoi sudditi38.
Analogamente, per avere un’idea della funzione specifica delle celebrazioni costantiniane nel 1913 bisogna guardare proprio a quelle «masse popolari» e metterle in relazione con il fermento che pervade il cattolicesimo italiano fin dagli inizi del secolo e che nell’enciclica Il fermo proposito dell’11 giugno 1905 Pio X definitivamente affida ai vescovi: «Additare il bene non basta; è necessario eseguirlo in pratica»39.
Così come si ricorda ne La Civiltà Cattolica, bisogna onorare non Costantino ma l’editto, di cui l’imperatore ha «solamente il merito, grandissimo senza dubbio, d’essere stato lo strumento»40; ma l’oggetto della celebrazione, «il fatto della libertà concessa alla Chiesa», si fa esso stesso uno strumento e le celebrazioni si svolgono con lo sguardo rivolto al passato ma per dettare la linea di un futuro imminente.
Nel secolo che sancisce i processi di partecipazione è necessario scendere nelle piazze ed entrare nelle parrocchie, nei teatri e valutare tutti gli aspetti della ‘festa religiosa’ che accompagna i riti; sarebbe infatti difficile cogliere tutte le sfumature dei festeggiamenti costantiniani se ci si limita a considerare i contesti in cui si riflette sulla portata storica e teologica dell’editto: nel 1913 al Costantino studiato o ‘utilizzato’ negli ambienti colti per ragionare di libertà religiosa, di istruzione, di divorzio, corrisponde un suo doppio, che parla al popolo attraverso le prediche del «clero combattente la presente fierissima lotta con il novello paganesimo (massonismo, socialismo, modernismo, ateismo)»41.
Del resto, il giubileo costantiniano arriva solo due anni dopo il primo, grande ‘giubileo laico’ della nazione42, quei primi cinquant’anni dell’Unità che nel 1911 hanno ubriacato gli italiani con un effluvio di esposizioni nazionali, mostre, costruzioni di edifici pubblici e monumenti (a Roma – ironia della storia – uno degli eventi più celebrati è la conclusione del lungo e travagliato restauro del complesso delle terme di Diocleziano, il grande persecutore43).
Un anniversario che la Chiesa ignora44 o apertamente avversa. La Civiltà Cattolica definisce il 1911 «un anno di lutto» per i cattolici45 e nel 1914 la rivista gesuita tornò sull’evento e tira così le somme: «Conclusione: A conto delle feste laiche del giubileo patriottico del 1911, undici milioni di debito. A conto delle feste religiose del giubileo costantiniano del 1913, secondo la gazzetta, dodici milioni di profitto»46. E pur dovendo ammettere che le cifre sono forse un po’ esagerate, la vittoria di Costantino su Vittorio Emanuele rimane comunque indiscutibile e schiacciante.
Il giubileo della patria ha in qualche modo mostrato anche le molte fratture interne alla nuova Italia, la mancata adesione – salvo che in alcuni casi47 – dei cattolici all’iniziativa, e soprattutto della gran parte dei socialisti e dei radicali ne è il segno più evidente48. Ma i pur pochi cattolici che hanno preso parte ai festeggiamenti per l’Unità testimoniano, in fondo, un ammorbidimento dei contrasti fra cattolici e liberali e una crescente distanza interna tra moderati e intransigenti.
È dunque anche nei luoghi della gente comune, durante le processioni e i pellegrinaggi costantiniani, che un certo tipo di linguaggio introduce i temi e le linee guida che i cattolici dovranno seguire in vista del ritorno a una partecipazione attiva nella vita politica nazionale, una partecipazione contro la quale, da qualche anno, dal soglio pontificio si è smesso di tuonare per assumere una posizione di più moderato biasimo. Ma il suffragio universale maschile apre ai cattolici uno scenario di incertezza rispetto agli equilibri dell’Italia liberale che è necessario poter governare negli anni in cui radicali e socialisti, in Italia e in Europa, costituiscono ormai la prima minaccia.
La pubblicistica più popolare attesta innumerevoli casi in questa direzione. Nepi, solo per riferire di un esempio, è luogo privilegiato per i festeggiamenti non soltanto perché il ponte Milvio risulta incluso, ai tempi della battaglia, nel territorio della cittadina del Viterbese, ma anche perché vanta il primato di due protomartiri cristiani d’Occidente, i vescovi Tolomeo e Romano inviati in predicazione, «primi Vescovi Martiri dell’orbe cristiano»49, nonché di trentotto nepesini subito convertiti dal paganesimo e che sono stati martirizzati da Claudio I insieme ai due pastori. Sull’effettiva data del martirio di Tolomeo e Romano in realtà si discute da tempo a causa di un presunto errore interpretativo di Cesare Baronio; è dubbio infatti se siano stati uccisi sotto Claudio Nerone – tesi, appunto, di Baronio –, sotto Claudio I50 o addirittura durante l’impero di Claudio II il Gotico51. Ma anche in questo caso il rigore storico nulla può contro la forza del simbolo: «Dal territorio di Nepi pel ponte Milvio Costantino entra vincitore in Roma preceduto dal Labaro trionfale! Così la lotta pagana ebbe principio primo e termine ultimo sul medesimo terreno, bagnato dai sudori apostolici e santificato dal sangue dei due SS. Pastori unito a quello dei loro 38 discepoli, prime vittime della crudeltà gentilesca»52.
Da qui a ricondurre alla lotta del cristianesimo contro i pagani a quella della Chiesa contro la moderna barbarie anticlericale, il passo è brevissimo:
Tutto il mondo cristiano quest’anno di nostra salute 1913 celebra, l’intiero mondo civile dovrebbe celebrare la vittoria finale e completa della Fede nostra sul paganismo antico, conseguita, dopo una lotta a sangue e morte di quasi 300 anni, in forza dell’Editto di Milano pubblicato dal primo imperator cristiano Costantino nella primavera dell’a. 313, dopo la piena e totale disfatta dell’ultimo imperator pagano Massenzio sulle rive del Tevere, tra Prima Porta (Saxa Rubra) e Ponte Molle (Milvio) il giorno 28 ottobre dell’a. antecedente 312. […]. È così che la novella civiltà cristiana entra trionfalmente a prendere possesso del mondo corrotto, degradato, schiacciato sotto il ferreo, ignominioso ed immondo giogo della vecchia civiltà pagana, già divenuta da lunga pezza istrumento della più crudele ed esosa tirannide. Un solo uomo, spesso un vero bruto e mostro in umana sembianza, era il padrone e signore assoluto e dispotico di tutte le cose e di tutti gli uomini, in quei tempi, che pur molti moderni anticlericali vorrebbero veder tornati per amore, dicon essi, delle libertà pubbliche e del benessere generale! Indegna aspirazione, che rivela l’ignoranza, la malafede e l’odio profondo al genere umano, che domina codesti spiriti moderni a rovescio53.
Queste parole, poste in apertura del libriccino pubblicato a Nepi nell’agosto del 1913: Primo assalto pagano e finale trionfo cristiano ossia i protomartiri di Nepi e la vittoria di Costantino Magno, espongono efficacemente il tenore delle centinaia di pubblicazioni di questo genere promosse nel 1913 in tutta Italia. Lo scritto si conclude con il «programma delle funzioni religiose e dei divertimenti civili» a cura di un comitato promotore «ecclesiastico e laico, con lodevole e generoso concorso del Municipio». Per sei giorni a Nepi le giornate sarebbero iniziate con «salve di mortari» e le funzioni religiose e le benedizioni inframezzate da concerti di musica sacra e di bande, fiere agricole, cortei in costume, esposizioni di artigianato, tombole, per concludere con l’innalzamento di un «globo aerostatico». Una «zitella povera di Nepi» estratta a sorte avrebbe inoltre ricevuto una dote, conquistando, grazie a Costantino, il suo futuro di sposa.
L’utilizzo di un vocabolario guerraiolo contro il paganesimo e il richiamo alla romanità non è un binomio completamente nuovo per il mondo cattolico. La svolta è avvenuta già due anni prima, quando un altro centenario viene celebrato, il terzo della battaglia di Lepanto, e soprattutto quando la guerra di Libia ha portato in molte chiese e tra i fedeli l’idea che un’Africa barbara (dove il barbaro che a Roma è il pagano lì è il musulmano), che oltretutto è già stata romana54, debba ritornare alla civiltà grazie all’opera di cristianizzazione. Anche a questo fine, insieme ai soldati, sono partiti per la Libia i cappellani, e fra le note dei Te Deum che per un biennio, con rarissime eccezioni, sono solennemente celebrati nelle chiese, corre l’idea che grazie a questa guerra non solo la barbarie musulmana verrà affrontata, ma anche, provvidenzialmente, quella socialista, sempre più frantumata al suo interno e ormai in rotta con Giolitti55. Per i cattolici italiani il patriottismo del 1911 costituisce, di fatto, la prova generale per il pieno recupero della cittadinanza sancito nel patto Gentiloni56.
Geremia Bonomelli, il vescovo di Cremona, ai soldati di Libia scrive: «Accanto al tricolore italiano, io veggo innalzarsi la Croce»57, e di nuovo due anni dopo la croce torna come simbolo centrale e imprescindibile della vittoria costantiniana, ritratta sulle cartoline commemorative e in capo praticamente a ogni opuscolo divulgativo dato alle stampe. Vale la pena notare che lo stesso Bonomelli, però, in questa occasione sarà l’unico a non firmare la lettera pastorale collettiva dei vescovi lombardi del 191258, Il XVI centenario dell’editto di Milano e la libertà della religione nelle scuole, per le sue posizioni notoriamente controcorrente in merito all’insegnamento della religione nelle scuole e, più in generale, sulla separazione tra Stato e Chiesa, come chiaramente emerso nella sua pastorale del 1906, La Chiesa e i tempi nuovi, duramente criticata dall’ambiente episcopale lombardo e da Roma59.
L’anno del centenario è anche quello che vede, da giugno, lo scoppio della prima guerra balcanica, con il sopraggiungere di quella «marea slava che si gonfia e rugge»60, come efficacemente la definisce un preoccupato Alcide De Gasperi. Sebbene il coinvolgimento dell’opinione pubblica sia, ovviamente, molto meno vibrante rispetto al 191161, tuttavia a dominare le cronache è sempre la connotazione religiosa del conflitto, il tema di una necessaria lotta dei popoli cristiani (sommariamente definiti tali, senza alcuna distinzione all’interno del variegatissimo panorama religioso balcanico) contro, di nuovo, il barbaro islam ottomano. Sulle pagine de La Stampa la definizione non lascia spazio a dubbi, la guerra è «una nuova crociata: da una parte i cristiani, dall’altra parte i musulmani. Da una parte quattro piccoli Stati che combattono in nome di un grande principio umanitario, dall’altra parte l’unico stato barbaro d’Europa che difende il dominio fondato e tenuto su con le stragi di cristiani»62.
È sempre De Gasperi, dal suo privilegiato punto di vista trentino, una delle pochissime voci a cogliere la gravità del momento e a intuire lo scenario drammatico che ne sarebbe conseguito:
Immaginate voi il corteo di giovedì grasso che metta in burla l’Europa di ieri e di oggi? Si potrebbe chiamarlo il corteo dello statu quo, e certo vi comparirebbero dei gruppi gustosissimi, le potenze del désintéressement absolu, quelle dell’entente cordiale, le alte della neutralità interessata, i pacifisti austriaci quando si parla della guerra libica e quelli italiani, quando si tratta dei Sangiaccati o di Scutari, e poi i «crociati» balcanici che partono in guerra per il «trionfo della croce» e per l’autonomia dei connazionali e per niente altro63.
Fra le iniziative più impegnative promosse in occasione del centenario è certamente da segnalare la costruzione delle due chiese romane di S. Elena fuori Porta Maggiore e di Santa Croce al Flaminio64, nei pressi di ponte Milvio, nel luogo in cui, secondo la tradizione, le truppe di Costantino, dirette vittoriosamente verso la città, avrebbero dato il segnale della fine della battaglia (e sulla stessa strada in cui il ‘guibileo laico’ del 1911 edifica lo Stadio nazionale). La nuova chiesa dovette suscitare non poco stupore fra i romani; edificata in posizione allora piuttosto decentrata rispetto ai consueti circuiti sacri della città, è realizzata in brevissimo tempo, anche se consacrata cinque anni dopo, l’inaugurazione avvenne, infatti, il 29 dicembre dello stesso 1913 dal cardinale Francesco Paolo Cassetta65.
Pio X ne affida il progetto ad Aristide Leonori, che in più di una biografia successiva è ricordato come ‘architetto santo’ per la sua intensa attività nell’edilizia sacra66. L’edificio, in effetti, rappresenta uno dei maggiori esempi di architettura eclettica dell’epoca.
Le celebrazioni del centenario bene si inseriscono anche nel vasto progetto di riforma della musica sacra che Pio X ha intrapreso a partire dal 1903, con l’emanazione, il 22 novembre, del motu proprio Tra le sollecitudini67. Quello della musica sacra è uno dei terreni secondari su si gioca la crisi modernista – il gesuita Angelo De Santi, stretto collaboratore di papa Sarto, scrive al proposito pagine appassionate su La Civiltà Cattolica68 – ma, più in generale, è anche uno di quei fattori direttamente investiti nei processi di modernizzazione. Il declino della musica sacra è, secondo George L. Mosse, all’origine del risveglio della canzone popolare già dal XVIII secolo69 e proprio a questo lungo braccio di ferro tra sacro e profano, fra Chiesa e teatro, Pio X tenta di imprimere una virata che, di fatto, non ottiene risultati sempre soddisfacenti70.
A Torino, dal 3 al 5 giugno, si tiene l’XI congresso di musica sacra. L’occasione è data proprio dal decennale del motu proprio e il congresso è ufficialmente convocato per commemorare il XVI centenario dell’editto. La ricorrenza viene evocata – piuttosto alla spicciolata, in realtà – nel discorso di apertura dei lavori: la pace tra Chiesa e Impero ha permesso il fiorire del canto liturgico, pertanto «nel secolo IV sprigiona la prima luce che irradia più determinatamente la nostra storia del canto liturgico, e però il centenario costantiniano è centenario nostro»71. Eppure è evidente che la scelta non è casuale, poiché il nesso tra la libertà religiosa e l’esigenza di rimettere in ordine gli statuti della musica sacra è profondo: il ruolo della musica sacra, da ricondurre all’interno della liturgia, è un passaggio che papa Sarto ritiene, oltre che necessario, strategico in vista della restaurazione di una società cristiana e che deve avere come obiettivo il ricongiungimento del movimento liturgico con quello cattolico72. La partecipazione dei cattolici deve abbracciare ogni cosa e in ogni cosa essi devono profondere lo spirito di Cristo: «instaurare omnia in Christo», inclusa la musica. Anche per questo la dimensione corale, privilegiata rispetto al canto del solista, non è limitata ai clerici:
Tranne le melodie proprie del celebrante all’altare e dei ministri, le quali devono essere sempre in solo canto gregoriano senza alcun accompagnamento d’organo, tutto il resto del canto liturgico è proprio del coro dei leviti, e però i cantori di chiesa, anche se sono secolari, fanno propriamente le veci del coro ecclesiastico. Per conseguenza le musiche che propongono devono, almeno nella loro massima parte, conservare il carattere di musica da coro73.
E inoltre, purché «le composizioni musicali di stile moderno, che si ammettono in chiesa, nulla contengano di profano, non abbiano reminiscenze di motivi adoperati in teatro, e non siano foggiate neppure nelle loro forme esterne sull’andamento dei pezzi profani», si accettava che esse fossero eseguite, offrendo anche la musica moderna «composizioni di tale bontà, serietà e gravità, che non sono per nulla indegne delle funzioni liturgiche»74.
Seguendo queste indicazioni, una delle relazioni al congresso torinese fu tenuta il 4 giugno dal musicologo Raffaele Casimiri75, maestro di cappella della basilica di S. Giovanni in Laterano e uno degli interpreti più attivi della riforma sartiana: la musica sacra doveva guardare alla contemporaneità liberandosi da ogni contaminazione profana e soprattutto doveva prevedere la partecipazione attiva dei fedeli. La relazione di Casimiri sul canto religioso popolare è totalmente tesa a questo ideale76.
La conferenza si tiene nel salone dell’oratorio dei salesiani, da sempre sensibili all’attività musicale per metodo educativo e fra i più attivi protagonisti delle iniziative costantiniane in Italia e all’estero, e salesiano è anche il compositore Giovanni Pagella, che è autore di Per le feste costantiniane. Inno a due voci eguali con accompagnamento di pianoforte, con le parole di B. Paladino e una versione a quattro voci con accompagnamento al pianoforte intitolata Constantinus Magnus. Pagella, come Casimiri, è uno dei promotori del progetto di riforma della musica sacra voluto da Pio X, soprattutto grazie alla collaborazione con Ippolito Rostagno, autore nello stesso anno del manuale di canto liturgico Il parrocchiano cantore. Manuale di preghiere e canti collettivi, che diviene uno degli strumenti più utilizzati per la diffusione della riforma77.
A Gorizia, invece, il compositore e direttore di coro Mario Seghizzi scrive la Missa Aquileiensis basandosi sullo studio e sulla rielaborazione di antichi codici liturgici aquileiesi; viene eseguita nel duomo della città la domenica di Pentecoste e dedicata all’arcivescovo di Gorizia Francisek Borgia Sedej, presule sloveno costretto alle dimissioni dal regime fascista nel 1931, quando si rifiuta di seguire la direttiva del 1928 che impone l’insegnamento della religione in lingua italiana anche nei territori di lingua slovena78.
Mentre nella musica sacra si combatte la battaglia contro le forme di profanazione, nei teatri – in cui si celebra nello stesso anno un altro centenario, quello della nascita di Giuseppe Verdi – non si mostra grande interesse per le celebrazioni del centenario. Non che il tema costantiniano sia inedito (l’uomo in questo caso, non l’editto): nell’opera Costantino è presente sui palcoscenici da quasi un secolo, con il Costantino di Joseph Hartmann Stuntz, su libretto di Giovanni Kreglianovich Albinoni, che debutta al teatro La Fenice di Venezia nel 1820, e Costantino in Arles, di Giuseppe Persiani su libretto di Paolo Pova, del 1830.
Ma l’opera più nota è indubbiamente Fausta di Gaetano Donizetti, su libretto di Domenico Gilardoni; quest’ultimo aveva già scritto per il compositore altre dieci opere, e morì a soli trentatre anni, poco tempo prima del debutto di Fausta, nel 183279. A teatro l’imperatore ha già esordito da tempo, del 1830 è Costantino il grande. Azione mimico-tragica in cinque atti di Antonio Monticini80. Protagonista è il triestino Domenico Ronzani, noto e operosissimo ballerino, mimo, coreografo e compositore, che, tuttavia, più che ai suoi talenti deve la sua fama presso i posteri a sua moglie, Bianca Berta di Valentino Servitz-Ymar, storica amante del conte di Cavour. Nel 1913 si ha notizia di alcuni drammi, di cui prontamente si occupa La Civiltà Cattolica. Sul Costantino e Massenzio. Dramma in 5 atti di G. Pallaoro, la rivista scrive:
Questo dramma in prosa, per soli uomini, adatto a recitarsi in occasione delle solennità giubilari costantiniane, si svolge sulle rive del Rodano, nella Gallia (I atto) e poi in Roma, nei palazzi di Massenzio, nelle Catacombe di S. Callisto, e nella villa ad Gallinas albas, presso il campo della memoranda battaglia di Ponte Milvio. L’attrattiva scenica è accoppiata dunque alla varietà dei personaggi e dell’intreccio. L’episodio riguardante la matrona Sofronia sarà espunto dal prudente direttore drammatico81.
Mentre il dramma Massenzio. Azione tragica in versi con profilo storico dell’epoca Costantiniana, di Angelo Melchiori (che nello stesso anno compone anche l’opera Il canto della croce) si reputa «adatto a venir eseguito, con effetto scenico soddisfacente, dai giovani di oratorii e istituti maschili»82.
Infine, il 1913 è anche l’anno in cui Costantino approda al cinema trasportato da una ventata di modernità. Nino Oxilia, infatti, porta l’imperatore sul grande schermo in uno dei primi lungometraggi del cinema italiano, In hoc signo vinces, lanciato da una campagna pubblicitaria che coinvolge persino Pio X83.
Fra le pratiche devozionali, il pellegrinaggio assume un ruolo da protagonista durante i festeggiamenti. Il passaggio dal XIX al XX secolo impone al viaggio sacro una connotazione profondamente diversa rispetto al passato: la modernità agevola notevolmente le penitenze del pellegrino, le agenzie di viaggio rendono la peregrinatio più comoda e sicura, contribuendo a dare nuova vivacità al viaggio spirituale84.
È, del resto, proprio dopo l’editto del 313 che la pratica del pellegrinaggio si diffonde e si consolida, avviando la mobilitazione dei cristiani verso i luoghi di culto che ospitano le reliquie dei martiri: in Terrasanta al Santo Sepolcro, e a Roma, sulla tomba di Pietro e Paolo, innanzitutto85.
Roma, in particolare, ha l’enorme vantaggio di offrire ai pellegrini, oltre che la profondità della dimensione spirituale, l’effetto dell’imponente grandezza monumentale, un elemento che diviene sempre più centrale nei programmi giubilari del XVIII e XIX secolo86. Ne coglie già tutte le potenzialità Benedetto XIV, quando nella bolla Peregrinantes a Domino del 1771 esorta:
Mettetevi dunque in movimento, com’è doveroso, all’annuncio di sì gran dono che vi si offre, o figli tutti della Chiesa Cattolica. […] Qui potrete vedere l’altezza del secolo umiliata ad ossequiare la Religione, e quella che fu la Babilonia terrena, mutata in foggia d’una nuova e celeste Città, non già ostentare feroci minacce d’armi e di guerra per distruggere le Nazioni e soggiogare i Regni, ma – ad istruzione e salute dei Popoli – somministrare insegnamenti di celeste dottrina e d’incorrotto costume. […] Inoltre la vista stessa dell’innumerevole moltitudine di Fedeli che in questo stesso Anno si concentra a Roma da ogni parte, riempirà di un giusto e santo piacere il vostro cuore. Riconoscendo ciascuno la propria stessa Fede in tanti uomini di così diverse Nazioni e lingue, rallegrandosi con tutti questi, con fraterno amore, presso la comune Madre Chiesa Romana, sentirà piovere più abbondantemente su di sé le celesti benedizioni, qual rugiada che dalle cime del Monte Hermon discende sopra gli abitanti della Santa Città87.
E un secolo dopo è un giubileo mancato a muovere i fedeli. Quando la Roma dei papi era ormai ridotta entro le mura leonine, le parole di rammarico di Pio IX, che, ancora fresca la ferita di Porta Pia, nella Gravibus Ecclesiae rinuncia al giubileo del 1875, hanno l’effetto di un vero e proprio appello cui rispondono migliaia di pellegrini, specie dalla Francia, accorsi a Roma per solidarizzare con il papa ‘prigioniero’ e offrirgli sostegno spirituale ed economico:
Quale pia e santa solennità fu vista nello stesso nostro secolo, quando cioè, essendo stato indetto da Leone XII, Predecessore Nostro di felice memoria, il Giubileo nell’anno 1825, questo beneficio, fu ricevuto con tanto fervore dal popolo cristiano al punto che lo stesso Pontefice poté rallegrarsi di aver visto per tutto il corso dell’anno un ininterrotto concorso di pellegrini in questa Città, nella quale si era meravigliosamente manifestato lo splendore della religione, della pietà, della fede, dell’amore e di tutte le virtù. Oh, fosse pur tale oggi la Nostra condizione, e la condizione delle cose civili e sacre Ci permettesse di poter felicemente celebrare, secondo l’antico rito e costume, che solevano osservare i Nostri Maggiori, quella solennità del massimo Giubileo che, ricorrendo nell’anno 1850 di questo secolo, Ci fu necessario omettere per le luttuose circostanze dei tempi!88
Ma per quanto concerne il pellegrinaggio ottocentesco, il campione di ‘ricevimento’ dei pellegrini è senza dubbio Leone XIII, che, oltre al giubileo del 1900, indice ed è protagonista di numerosi giubilei straordinari. Egli è inoltre il primo testimone della grande novità, introdotta dalla Francia, dei pellegrinaggi operai. Nel 1887 riceve «100 capitani d’industria, 1.400 operai e 300 sacerdoti (assistenti ecclesiastici di diverse opere operaie)»89: le linee guida della Rerum novarum sono evidentemente già ben tracciate. Il «pellegrinaggio di riconoscenza» organizzato dall’industriale cattolico Léon Harmel nel settembre del 1891 porta dinanzi al pontefice ventimila operai francesi e consacra definitivamente l’immagine di Leone XIII quale «Pape des ouvriers»90.
Accanto a questo imponente flusso di fedeli non manca, ancora una volta, un flusso parallelo, laico e politico di ‘pellegrini’. Ne è il massimo esempio il Pellegrinaggio nazionale alla tomba del Re Vittorio Emanuele II, indetto dal 6 novembre del 1883 al 10 luglio dell’anno successivo da un apposito comitato istituito a Firenze. A rendere omaggio alla tomba del re al Pantheon sono 76.000 pellegrini da tutta Italia, un traguardo significativo nonostante le pur molte divergenze sorte tra comitati centrali e comitati periferici91.
Anche le feste centenarie prevedono l’organizzazione di specifici pellegrinaggi. Invocati dal pontefice e incoraggiati dai vescovi, i pellegrinaggi organizzati negli otto mesi di giubileo vedono affluire a Roma fedeli da tutta Italia e dal mondo. L’indulgenza plenaria è concessa con qualche ‘sconto’: non è previsto il digiuno e l’elemosina da offrire è agevolata rispetto alle prassi consuete92. Analogamente a quanto accaduto dieci anni prima nel caso del pellegrinaggio nazionale, anche in questa occasione sembrano emergere difficoltà di raccordo tra centro e periferie, tra le direttive pontificie e le diocesi. A febbraio l’allora arcivescovo di Bologna e futuro pontefice, Giacomo Dalla Chiesa, lamenta al riguardo una scarsa attenzione inizialmente riservata da Pio X alle celebrazioni, e in particolare proprio un mancato coordinamento dei pellegrinaggi che, a suo parere, rischia di mettere a repentaglio la buona riuscita delle iniziative, almeno nella sua diocesi:
Io non so di nessuna regione che si unisca per andare a Roma, ci sono alcuni pellegrinaggi diocesani, ma non molti in verità: non vi è un pellegrinaggio toscano ma fiorentino prima e senza poi; non un pellegrinaggio marchigiano, non veneto ma di Venezia, non piemontese ma di Vercelli. E, a parer mio, si capisce: il programma di Roma è solo di feste religiose, anzi mons. Ranuzzi mi ha detto di non essere certo che il Papa assista alla Cappella Papale del giorno della Pentecoste; e tantomeno potersi sperare in un ricevimento di pellegrini: come potremmo noi sperare di portare gente a Roma se non potessimo nemmeno promettere che ‘vedrà il Papa’? Io credo che col promuovere ora un pellegrinaggio a Roma faremmo un fiasco. Perciò io direi di limitarsi a una funzione solenne, possibilmente il giorno della Pentecoste per unirci alla festa principale di Roma93.
E ancora più esplicitamente scriveva al vescovo di Vercelli:
Nella famosa Commemorazione Costantiniana io non ci vedo troppo chiaro. Che cosa fanno i vescovi del Piemonte? Io speravo che venisse un’Enciclica del Papa e che ci tracciasse la via: ora mi pare che, senza un indirizzo più elevato, i Vescovi si mettono troppo agli ordini dei giornalisti. Se fosse venuto fuori il programma di Roma, i vescovi avrebbero potuto farvi eco, promuovere pellegrinaggi, ecc. ma invece finora tutto tace!94
Al posto dell’enciclica arriva, ma qualche giorno dopo, l’8 marzo, il breve pontificio Magni fasique. I pellegrinaggi costantiniani, aperti da alcuni gruppi italiani e da un gruppo dalla Polonia, si contano numerosi negli otto mesi di giubileo e fanno registrare complessivamente una grande affluenza95.
Giunto a Roma, nuovi sono gli strumenti di cui il pellegrino del 1913 può disporre. In quello stesso anno, invitato dal Comitato organizzatore del centenario, monsignor Giuseppe Cascioli dà alle stampe Fatti e monumenti costantiniani. Con guida alle basiliche e chiese di roma. In formato ‘tascabile’, il piccolo libro è strutturato come una modernissima guida turistica e il linguaggio chiaro e didascalico è evidentemente destinato al grande pubblico. Il volumetto si apre con una rapida descrizione del periodo precostantiniano, cui seguono tre brevi ritratti di Costanzo Cloro, Elena e Costantino. Si ha quindi la narrazione dei fatti della vita dell’imperatore, inframezzata da illustrazioni e notizie storiche e artistiche sulle zone e sugli oggetti che il fedele avrebbe man mano incontrato seguendo il percorso della vita dell’imperatore. All’interno della guida sono presenti, inoltre, le mappe delle singole zone. A metà volume è riportato il testo dell’editto, con traduzione in italiano e commenti, e quindi un’appendice con una sintetica descrizione delle principali basiliche e chiese romane.
Prima dell’appendice, perché non sorgano dubbi, l’autore, dichiarando l’inevitabile parzialità del volume, avvisa: «il pellegrino perciò resti appagato di queste notizie che qui riportiamo, notizie d’altronde esatte e che riguardano le cose di precipuo interesse storico-artistico-religioso. Accenniamo poi soltanto in volo ai monumenti profani, non essendo nostro scopo illustrare anche quelli»96.
La guida si conclude con gli indici delle materie, delle basiliche e delle chiese e delle illustrazioni. Infine nella parte interna della copertina, è incollata una mappa completa a due colori della città, in formato pieghevole, in cui sono evidenziate le linee tranviarie, sia quelle del centro sia quelle dei collegamenti con le periferie. In duecento pagine il meglio della Roma cristiana e tutto quello che c’è da sapere sull’editto celebrato è così a disposizione del pellegrino alfabetizzato.
1 Tra i contributi scientifici che hanno maggiormente alimentato il dibattito dell’epoca si ricordano almeno: P. Batiffol, Les étapes de la conversion de Constantin, II, L’édit de Milan, in Bulletin d’ancienne littérature et d’archéologie chrétiennes, 3 (1913); Études d’histoire juridique offertes à Paul Fréderic Girard par ses élèves, 2 voll., Paris 1913; J. Maurice, Numismatique constantinienne, II, Paris 1912; R. Pichon, Liberté de conscience dans l’ancienne Rome. A propos du seizième anniversaire de l’édit de Milan, in Revue des deux mondes, 83 (1913), pp. 314-348; Konstantin der Grosse und seine Zeit. Gesammelte Studien, hrsg. von F.J. Dölger, Freiburg 1913; Urkunden zur Entstehungsgeschichte des Donatismus, hrsg. von H. von Soden, Bonn 1913; Eusebius Werke 6, hrsg von I.A. Heikel, Leipzig 1913; E. Schwartz, Kaiser Constantin und die christliche Kirche, Leipzig 1913; Die Demonstratio Evangelica, hrsg. von I.A. Heikel (GCS, 23), Leipzig 1913; Konstantin der Große und seine Zeit, hrsg. von F.J. Dölger, Freiburg 1913; E. Schwartz, Die Dokumente des arianischen Streits bis 325, in Nachrichten der Gesellschaft der Wissenschaften in Göttingen. Philologisch-Historische Klasse, 7 (1905), pp. 257-299; E. Seeberg, Die Synode von Antiochien im Jahre 324/25. Ein Beitrag zur Geschichte des Konzils von Nicäa, Berlin 1913; F. Martroye, A propos de “L’édit de Milan”, in Bullettin d’ancienne littérature et d’archéologie chrétiennes, 4 (1914), pp. 47-52. In Italia furono soprattutto le riviste a occuparsi dell’argomento, cui riservarono particolare attenzione, come si vedrà oltre, La Civiltà Cattolica, La Scuola Cattolica, la Rivista internazionale di scienze sociali, La Rassegna Nazionale. L’Osservatore Romano. Tra le numerosissime pubblicazioni, quasi tutte di taglio divulgativo, si ricorda il volume che raccoglie le conferenze tenute a Milano in occasione delle celebrazioni: Letture Costantiniane. Promosse dal Consiglio superiore nominato da S.S. Pio X e dal Comitato Romano per il XVI centenario della proclamazione della pace della Chiesa, a cura di A. Casamassa, Roma 1914. Si veda inoltre G. Crifò, Su alcuni abusi del ‘costantinianesimo’, in Costantino il grande. Dall’Antichità all’Umanesimo, Colloquio sul Cristianesimo nel mondo antico (Macerata 18-20 dicembre 1990), a cura di G. Bonamente, F. Fusco, I, Macerata 1992, pp. 347-356.
2 F. Cassinari, Tempo e identità. La dinamica di legittimazione nella storia e nel mito, Milano 2005, p. 422.
3 S. Roda, L’eredità del mondo antico, in La Storia. I grandi problemi dal Medioevo all’Età contemporanea, a cura di N. Tranfaglia, M. Firpo, I/1, Torino 1988, pp. 479-502, in partic. 482.
4 Per questo aspetto si rimanda al contributo di F. Ruozzi in questa stessa opera.
5 Si vedano in particolare per la prima questione G. Turbanti, Il modernismo italiano tra “crisi” e nuova identità religiosa. L’identità nazionale nei modernisti italiani, in Identità italiana e cattolicesimo. Una prospettiva storica, a cura di C. Mozzarelli, Roma 2003, pp. 385-405, per la seconda R. Moro, Il mito dell’impero in Italia, in Cattolicesimo e totalitarismo. Chiese e culture religiose tra le due guerre mondiali, Italia, Spagna, Francia, a cura di D. Menozzi, R. Moro, Brescia 2004, pp. 323-325.
6 Fra la vasta bibliografia che si è occupata del rapporto fra cattolici e nazione in questi anni si vedano almeno L. Ganapini, Il nazionalismo cattolico. I cattolici e la politica estera in Italia dal 1871 al 1914, Bari 1970; G. Formigoni, Alla prova della democrazia. Chiesa, cattolici e modernità nell’Italia del ’900, Trento 2008 e F. Traniello, Religione cattolica e Stato nazionale. Dal Risorgimento al secondo dopoguerra, Bologna 2007.
7 Si rimanda per questo aspetto all’introduzione di A. Melloni in questa stessa opera.
8 Le feste centenarie dell’editto costantiniano e il dovere dei cattolici, in La Civiltà Cattolica, I, 64 (1913), p. 9.
9 La cultura sociale dei cattolici italiani alle origini. Le «Settimane» dal 1907 al 1913, III, (1912-1913), a cura di A. Robbiati, Milano 1996.
10 F. Malgeri, s.v. Vincenzo Ottorino Gentiloni, in Dizionario Biografico degli Italiani, LIII, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 2000, consultabile on line: http://www.treccani.it/enciclopedia/vincenzo-ottorino-gentiloni_(Dizionario_Biografico)/ (25 apr. 2013).
11 A. Canavero, Filippo Meda. L’intransigente che portò i cattolici nello Stato, Milano 2003, pp. 48 segg.
12 M.S. Piretti, Per una geografia dei cattolici in politica, in Cristiani d’Italia. Chiesa, società, Stato, II, Istituto della enciclopedia italiana, Roma 2011, pp. 767-779.
13 A. Nesti, Gesù socialista, una tradizione popolare italiana, Torino 1974; Id., Il cattolicesimo degli italiani. Religione e culture dopo la “secolarizzazione”, Milano 1997, pp. 90 segg.; R. Cipriani, G. Rinaldi, P. Sobrero, Il simbolo conteso. Simbolismo politico e religioso nelle culture di base meridionali, Roma 1979, p. 34.
14 Cfr. G. Aliberti, Una lettura trasversale: il movimento socialista e la Rerum Novarum, in I tempi della «Rerum Novarum», a cura di G. De Rosa, pp. 299-312.
15 L’inno composto da Giacinto Stivanelli, A Gesù Nazzareno primo martire del socialismo, in Almanacco socialista per l’anno 1876, Firenze 1875, cfr. S. Pivato, Clericalismo e laicismo nella cultura popolare italiana, Milano 1990, pp. 76 segg.
16 F. Alessandrini, s.v. Giuseppe Dalla Torre, in Dizionario storico del movimento cattolico in Italia, II, I protagonosti, Casale Monferrato 1982, pp. 150 e segg.; G. Romanato, Giuseppe Dalla Torre e i suoi tempi, in Humanitas, n.s., 4l, 2 (l986), pp. 204-222.
17 La cultura sociale dei cattolici italiani alle origini, cit., p. 468.
18 Cfr. Dizionario Storico del Movimento Cattolico in Italia, a cura di F. Traniello. G. Campanini, II, I protagonisti, Casale Monferrato 1982, p. 151.
19 La cultura sociale dei cattolici italiani, cit., p. 138.
20 N. Picardi, Nell’ottantesimo anniversario della giurisdizione vaticana, in Studi in onore di Giovanni Giacobbe, a cura di G. Dalla Torre, Milano 2010, pp. 152 segg.; A.C. Jemolo, Chiesa e Stato, cit., p. 403.
21 Cfr. G. De Rosa, Storia politica dell’Azione cattolica in Italia, II, Roma-Bari 1954, p. 350; A. Piola, La questione romana nella storia e nel diritto. Da Cavour al Trattato del Laterano, Milano 1969, pp. 144 segg.
22 Corriere della Sera, 2 dicembre 1913.
23 S. Apruzzese, Le riviste cattoliche/2. Il primo Novecento, in Cristiani d’Italia. Chiesa, società, Stato, II, cit., pp. 1315-1324.
24 A. Vittoria, L’editoria cattolica dall’Unita alla fine del fascismo, in Cristiani d’Italia. Chiesa, società, stato, II, cit., pp. 1265-1279.
25 Dalla Chiesa antica alla Chiesa moderna. Miscellanea per il 50° della Facoltà di storia ecclesiastica della Pontificia Università Gregoriana, a cura di M. Fois, V. Monachino, F. Litva, Roma 1983, pp. 430 segg.; Stampa e piccola editoria fra le due guerre, a cura di A. Gigli Marchetti, L. Finocchi, Milano 1997.
26 Cfr. almeno G. De Rosa, Civiltà Cattolica (1850-1945), 4 voll., Roma 1971; G. De Rosa S.J., La Civiltà Cattolica. 150 anni al servizio della Chiesa. 1850-1999, Roma 1999; F. Dante, Storia della “Civiltà Cattolica” (1850-1891). Il laboratorio del Papa, Roma 1990, e in particolare sugli anni qui trattati G. Sale, La Civiltà cattolica nella crisi modernista, (1900-1907). Fra transigentismo politico e integralismo dottrinale, Roma 2001.
27 G. Sale, La Civiltà cattolica nella crisi modernista, cit., p. 63.
28 Ibidem.
29 L’anno della vittoria di Costantino Magno sopra Massenzio, del 16 aprile 1910; nel corso del 1912 furono pubblicati Le due chiese a Monte Mario e il ricordo della Vittoria di Costantino; La battaglia di Costantino M. a «Saxa Rubra»; nel 1913 Le feste centenarie dell’editto costantiniano e il dovere dei cattolici; La conversione di Costantino Magno e la Chiesa all’inizio del secolo IV; L’Arco di Costantino; La guerra di Costantino contro Massenzio e le apparizioni miracolose della Croce e del Salvatore; Costantino Magno e l’unità cristiana; Costantino Magno e la libertà cristiana; Costantino Magno e la moralità cristiana; nel 1914 Costantino, Carlomagno e Napoleone. Lezioni di centenarii (814-1814-1914).
30 Costantino Magno e l’unità Cristiana, in La civiltà Cattolica, II, 1913, p. 258.
31 Ivi, p. 275.
32 Costantino Magno e la libertà cristiana, ivi, III, 1913, p. 143.
33 Costantino Magno e la moralità cristiana, ivi, p. 691.
34 Si veda a proposito il contributo di A. Guasco in questa stessa opera.
35 Circolare dell’unione elettorale faentina, cit. in P. Bellu, I cattolici alle urne, Chiesa e partecipazione politica in Italia dall’Unità al patto Gentiloni, Cagliari 1977, pp. 148-149.
36 V. Aiello, Il mito di Costantino. Linee di una evoluzione, in Diritto e storia, 2 (2003), consultabile on line all’indirizzo http://www.dirittoestoria.it/memorie2/Testi%20delle%20Comunicazioni/Aiello-Mito-Costantino.htm (25 apr. 2013).
37 A. Marcone, Pagano e cristiano. Vita e mito di Costantino, Roma-Bari 2002; V. Aiello, Aspetti del mito di Costantino in Occidente. Dalla celebrazione agiografica alla esaltazione epica, in Annali della Facoltà di Lettere di Macerata, 21 (1988), pp. 87-116; Id., Il mito di Costantino, cit.; F. Carlà, M.G. Castello, Questioni tardoantiche. Storia e mito della “svolta costantiniana”, Roma 2010; A. Linder, The Myth of Constantine the Great in the West. Sources and Hagiographic Commemoration, Spoleto 1987; V. Burch, Myth & Constantine the Great, London 1927; Constantine. History, Historiography and Legend, ed. by S.N.C. Lieu, D. Montserrat, London 2002.
38 L. Oliger, Costantino Magno e la sua conversione in una predica inedita del XV secolo, in Studi Romani. Rivista di Archeologia e Storia, 1 (1913), p. 331.
39 http://www.vatican.va/holy_father/pius_x/encyclicals/documents/hf_p-x_enc_11061905_il-fermo-proposito_it.html (25 apr. 2013).
40 Le feste centenarie dell’editto costantiniano e il dovere dei cattolici, in La Civiltà Cattolica, 4 gennaio 1913, p. 9.
41 Così titolava uno scritto uscito a Roma tre anni prima in occasione di un altro XVI centenario, quello del martirio di san Marcello: Marcello, Costantino e il trionfo del cristianesimo sul paganesimo antico: studi e pensieri dedicati al clero combattente la presente fierissima lotta con il novello paganesimo (massonismo, socialismo, modernismo, ateismo) nella fausta ricorrenza del 16. centenario del martirio del s. pontefice, Roma 1910.
42 Cfr. E. Gentile, La grande Italia. Il mito della nazione nel XX secolo, Roma-Bari 2006, pp. 5-18.
43 D. Palombi, Rodolfo Lanciani: l’archeologia a Roma tra Ottocento e Novecento, Roma 2006, pp. 181-182.
44 A.C. Jemolo, Chiesa e Stato in Italia negli ultimi cento anni, Torino 1975; G. Spadolini, Giolitti e i cattolici. (1901-1914), Milano 1974, p. xv.
45 La Civiltà Cattolica, 1, 1911, 8 marzo 1911.
46 La Civiltà Cattolica, 65, 1914, p. 231.
47 A.C. Jemolo, Chiesa e Stato, cit., p. 548; La lezione di un maestro, Atti del Convegno in memoria di Arturo Carlo Jemolo (Torino 8 giugno 2001), a cura di R. Bertolino, I. Zuanazzi, Torino 2005, p. 142.
48 E. Gentile, La grande Italia, cit., p. 62.
49 Primo assalto pagano e finale trionfo cristiano ossia i protomartiri di Nepi e la vittoria di Costantino Magno. Brevi ricordi storici per P.A.G.A, Roma 1913, p. 22.
50 A. Mercati, Saggi di storia e letteratura, I, Roma 1951, p. 91.
51 Di questo dibattito riferisce La Civiltà Cattolica, serie sesta, 3, 1845, p. 726, in occasione della pubblicazione del volume di G. Bobone, Apologia dei protomartiri dell’Occidente Tolomeo e Romano, vescovi della città di Nepi, Roma 1865. Sull’argomento si erano scritti saggi di diversa attendibilità storica B.G. Bedini, I Santi Tolomeo, Romano e compagni, martiri di Nepi: studio storico-critico, Roma 1953, Recensito in Rivista di storia della Chiesa in Italia, 9-10 (1955), p. 154; L’Origine della christiana religione nell’occidente. Istoria ecclesiastica di Michele Lualdi Romano sacerdote teologo, Roma 1640, pp. 266-267.
52 Primo assalto pagano, cit., p. 30.
53 Ivi, p. 7. Nello stesso anno si dà alle stampe anche lo scritto di G.M. Angelucci, Sul campo della vittoria. Memorie di Nepi e i suoi Santi Protomartiri dell’Occidente pubblicati nel XVI centenario costantiniano (28 ottobre 1912-1913), Siena 1913.
54 Cfr. O. Tamburini, «La via romana sepolta dal mare»: mito del Mare nostrum e ricerca di un’identità nazionale, in Mare Nostrum, Percezione ottomana e mito mediterraneo all’alba del ’900, a cura di S. Trinchese, pp. 41 segg.; R. Viola, «L’Italia non va, ritorna»: intervento in Libia e opinione nazionalista, ivi, pp. 97 segg.
55 F. Botti, Oltre i culti ammessi. Prime note sulla gestione giuridica del pluralismo religioso nella legislazione coloniale italiana, in I diritti cultural-religiosi dall’Africa all’Europa, a cura di F. Alicino, F. Botti, pp. 163-182.
56 Sui cattolici e la guerra di Libia cfr. F. Malgeri, La guerra libica (1911-12), Roma 1970, pp. 236-254; Francesco Luigi Ferrari, a cinquant’anni dalla morte, a cura di G. Campanini, Roma 1983, pp. 329 segg.
57 Cit. in R. Viola, «L’Italia non va, ritorna», cit., p. 122.
58 Si veda l’introduzione di A. Melloni in questa stessa opera.
59 G. Gallina, Il problema religioso nel Risorgimento e il pensiero di Geremia Bonomelli, Roma 1974, pp. 377 segg.; R. Cerrato, Una corrispondenza inedita per un riesame del liberal-cattolicesimo: Bonomelli-Stoppani (1898-1914), in Studi Urbinati, 46 (1972), pp. 579-640; Rinnovamento religioso e impegno civile in Tommaso Gallarati Scotti. Atti del Colloquio nel centenario della nascita, a cura di F. De Giorgi, N. Raponi, Milano 1994, pp. 120 segg.; Geremia Bonomelli e il suo tempo, Atti del Convegno di Studi (Roma 1-3 marzo 1996), a cura di G. Rosoli, Brescia 1999, pp. 321 segg.
60 A. De Gasperi, I cattolici trentini sotto l’Austria. Antologia degli scritti dal 1902 al 1915, II, Roma 1964, p. 354.
61 Storia della chiesa di Bologna, II, a cura di P. Prodi, L. Paolini, Bergamo 1997, p. 219.
62 Come è divisa l’Europa al divampare dell’incendio balcanico, La Stampa, 14 ottobre 1912.
63 A. De Gasperi, I cattolici trentini sotto l’Austria, cit., pp. 358-359. Sull’intensa attività di De Gasperi in questi anni si veda S. Trinchese, L’altro De Gasperi. Un italiano nell’impero asburgico. 1881-1918, Roma-Bari 2006.
64 G. Bosi, M. Bosi, Santa Croce al Flaminio, Genova 1945.
65 L’inaugurazione della Basilica costantiniana a Ponte Milvio, Il Corriere d’Italia, 30 dicembre 1913.
66 G. Venturini, Un ingegnere santo, Aristide Leonori, Roma 1931; P.L. Di Stolfi, Un architetto santo: Aristide Leonori, in Frate Francesco, 12 (1939), pp. 78-87. Cfr. F. Di Marco, s.v. Aristide Leonori, in Dizionario biografico degli italiani, 64, Istituto della Enciclopedia italiana, Roma 2005, consultabile on line: http://www.treccani.it/enciclopedia/aristide-leonori_(Dizionario_Biografico)/ (25 apr. 2013).
67 M. Paiano, Liturgia e società nel Novecento. Percorsi del movimento liturgico di fronte ai processi di secolarizzazione, Roma 200, pp. 31 segg.; V. Donella, Dal pruno al melarancio. Musica in Chiesa dal 1903 al 1963, Bergamo 1999; F. Romita, La performazione del Motu Proprio di Pio X sulla musica sacra, in Monitor ecclesiasticus, 86 (1961), pp. 395-497.
68 Cfr. G. Sale, La Civiltà cattolica nella crisi modernista, cit., pp. 159 segg.
69 G.L. Mosse, La nazionalizzazione delle masse. Simbolismo politico e movimenti di massa in Germania (1815-1933), Bologna 2009, p. 198.
70 M. Turroni Monti, La musica sacra come luogo di trasmissione della fede, in Cristiani d’Italia. Chiesa, società, Stato, I, cit., pp. 597-609.
71 F. Rainoldi, Sentieri della musica sacra. Dall’Ottocento al Concilio Vaticano II. Documentazione su ideologie e prassi, Roma 1996, p. 321.
72 M. Paiano, Liturgia e società nel Novecento, cit., p. 33.
73 Tra le sollecitudini, testo consultabile on line all’indirizzo http://www.vatican.va/holy_father/pius_x/ motu_proprio/documents/hf_p-x_motu-proprio_19031122_sollecitudini_it.html (25 apr. 2013).
74 Ibidem.
75 M. Caraci, s.v. Casimiro Raffaele Casimiri, in Dizionario biografico degli italiani, XXI, Istituto della Enciclopedia italiana, Roma 1978, consultabile on line: http://www.treccani.it/enciclopedia/casimiro-raffaele-casimiri_(Dizionario-Biografico)/ (25 apr. 2013).
76 F. Rainoldi, Sentieri della musica sacra, cit., p. 321.
77 G. Tuninetti, In memoriam. Clero della diocesi di Torino defunto dal 1951 al 2007. Vescovi, preti e diaconi. Curricula vitae, Torino 2008, p. 682.
78 Chiesa e società nel Goriziano fra guerra e movimenti di liberazione, a cura di F.M. Dolinar, L. Tavano, Gorizia 1997, pp. 182-183.
79 Dizionario dell’opera 2008, a cura di P. Gelli, F. Poletti, Milano 2007, pp. 451-453.
80 A. Monticini, Costantino il Grande. Azione mimico-tragica in cinque atti. Da rappresentarsi nell’I. R. Teatro alla Canobbiana l’autunno del 1830, Milano 1830.
81 La Civilà Cattolica, IV, 1913, p. 488.
82 Ibidem.
83 Per questo aspetto si rimanda al contributo di F. Ruozzi in questa stessa opera.
84 Sull’argomento si vedano I Giubilei del XIX e XX secolo, Atti del Convegno di studio (Roma 11-12 maggio 2000), a cura di G. Cassiani, Soveria Mannelli 2003; R. Lavarini, Il pellegrinaggio cristiano. Dalle sue origini al turismo religioso del XX secolo, Genova 1997.
85 J. Ries, Opera Omnia, II, L’uomo e il sacro nella storia dell’umanità, Milano 2007, p. 542; I Giubilei del XIX e XX secolo, cit.
86 C.D. Fonseca, «Plenitudo apostolicae potestatis» e centralità della Roma cristiana nella storia dei Giubilei, in, I Giubilei del XIX e XX secolo, cit., pp. 17-27.
87 Bollario
88 Tutte le encicliche e i principali documenti pontifici emanati dal 1740. Pio IX (1846-1878), IV, Città del Vaticano 1993, p. 492.
89 Le vie di Dio. I pellegrinaggi nel mondo moderno. Dalla fine del Medioevo, a cura di J. Chélini, H. Branthomme, Milano 2006, p. 122.
90 Cfr. J.L. Coffey, Léon Harmel. Entrepreneur as Catholic social reformer, Notre Dame (IN) 2003; La Chiesa e la società industriale (1878-1922), a cura di E. Guerriero, A. Zambarbieri, Milano 1990, pp. 54 segg.
91 B. Tobia, Associazione e patriottismo: il caso del pellegrinaggio nazionale a Roma del 1884, in Dalla città alla nazione. Borghesie ottocentesche in Italia e in Germania, a cura di M. Meriggi, P. Schiera, Bologna 1993, pp. 227-247, in partic. 238.
92 Le vie di Dio, cit., p. 122.
93 Cit. in A. Scottà, Giacomo Della Chiesa arcivescovo di Bologna, 1908-1914. L’ottimo noviziato episcopale di papa Benedetto XV, Soveria Mannelli 2002, p. 536.
94 Ibidem.
95 Discorso di Sua Santità Pio PP. X ai pellegrini convenuti in Roma in occasione del Giubileo costantiniano, Roma 1913.
96 G. Cascioli, Fatti e monumenti costantiniani. Con guida alle basiliche e chiese di Roma, Roma 1913.