TEBE, I° (v. vol. vii, p. 650)
T., con la ricchezza e la varietà dei suoi monumenti, si conferma decisamente una zona privilegiata per la ricerca e l'interesse archeologico; è stata favorita, in certo modo, dalle particolari situazioni politiche che, a causa dello stato di guerra, hanno fatto sì che fossero avviate nella zona tebana le missioni straniere che prima erano attive nel Medio Egitto e nel Delta.
Secondo una vecchia tradizione, la regione tebana continua ad essere non solo terra di scavi, ma anche - e abbondantemente - di documentazione: l'Istituto Orientale di Chicago ha cominciato la pubblicazione del tempio della XVIII dinastia a Medīnet Habu e dei «rilievi della festa di Opet» a Luxor; l'Istituto Francese ha proseguito l'attività di pubblicazione di Deir el-Medīna; l'Istituto Germanico ha ospitato missioni volte a rilevare, copiare, pubblicare gruppi di tombe, sottolineando in molti casi il valore specificamente artistico, o almeno stilistico, della decorazione. A fianco di queste attività in certo modo scontate, c'è da prendere in considerazione tutta una serie di nuove iniziative. Al cuore di tutto il sistema tebano - il complesso templare di Karnak - si è costituita una speciale struttura di ricerca, il Centro franco-egiziano di Karnak, con responsabilità in certo modo globali, che vanno dalla ricerca allo scavo, alla ricostruzione, al restauro e ai problemi ambientali, che ha portato a un notevole incremento delle conoscenze anche rispetto al già meritorio lavoro tradizionalmente qui affidato a studiosi francesi.
Ma oltre a questo Centro altri progetti hanno apportato preziosi contributi allo studio dello sviluppo storico del complesso; sono stati infatti rivisitati i più antichi resti, risalenti al Medio Regno. A quelli già noti del cortile dietro il sacrario del tempio principale si sono recentemente aggiunti i resti di altri edifici, rappresentati da due immensi lastroni con rilievi assai delicati e manomessi recanti il nome di Sesostris I (titolare del chiosco recuperato a suo tempo da materiali di reimpiego). Essi erano stati usati come fondazione nel IX pilone e da là sono stati estratti e aggregati agli scarsi resti di quell'epoca. Un unico blocco porta il nome di Antef, con la più antica testimonianza del nome di Ammone a T., e i resti di un villaggio del Medio Regno sono stati trovati fuori della porta orientale del témenos (sotto il Tempio di Aten). Se con la XVIII dinastia Karnak assume la sua piena funzione di santuario nazionale, i monumenti della prima parte della dinastia, importanti nel quadro delle realizzazioni dell'epoca, sono stati in gran parte sacrificati nei successivi sviluppi del complesso.
Ai vecchi recuperi della cappella rossa e della cappella nera di Ḥatshepsut si sono aggiunte le ricerche (a cura dell'Istituto Francese di Archeologia Orientale) a Karnak Nord dei resti di un tempio di Thutmosis I e nei pressi è stato rinvenuto un insieme di blocchi di Thutmosis IV (da un reimpiego nel III pilone) che sono stati raccordati e identificati come resti di un cortile perittero destinato alla presentazione delle offerte. Esso doveva essere situato entro lo spazio coperto ora dalla grande sala ipostila, sotto il pavimento della quale fu trovato un deposito di fondazione col nome del re. Oltre agli interventi ai magazzini di Thutmosis III all’Akh’menu («padiglione delle feste») dello stesso sovrano, gli scavi che il Centro franco-egiziano ha dovuto compiere non lontano dal Lago Sacro, in previsione del turistico spettacolo di «Suoni e Luci» che mortifica il tempio quasi tutte le sere, hanno interessato le strutture non monumentali relative alle abitazioni dei sacerdoti fra la XXII e la XXV dinastia, registrandone la storia.
I recuperi più notevoli riguardano l'età di el-'Amārna nel momento del suo primo affermarsi, prima dell'abbandono della capitale tebana per la nuova città nel Medio Egitto. Un progetto dell'Università di Pennsylvania ha curato il riordino mediante calcolatore elettronico dei blocchi decorati trovati a suo tempo da Chevrier e che derivano dal tempio - o altra costruzione - di Amenophis IV, che nell'ambito stesso del Recinto di Ammone affermava così il suo nuovo culto solare dell'Aten. Le vicende degli scavi successivi e gli spostamenti da un deposito all'altro hanno reso ardua la ricostruzione in serie organiche di questi materiali dispersi, ma l'opera vale certo la pena di essere affrontata. Quasi una gemmazione di questa ricerca è stata la decisione di riprendere lo scavo della regione da cui proviene gran parte di questo materiale, a E della porta E del muro di cinta.
I risultati degli scavi hanno permesso di identificare alcuni elementi di pianta del cortile, e i resti di una residenza regale connessa con il tempio (del villaggio del Medio Regno trovato sotto i resti amarniani in questa regione abbiamo già detto). Ancora più notevoli, in questo stesso ambito, sono stati i lavori del Centro franco-egiziano al IX pilone, che è stato metodicamente smantellato per recuperare i blocchi amarniani che vi erano stati impiegati come materiale da costruzione. Sono stati estratti, descritti, fotografati, catalogati e restaurati 12.000 pezzi; ma poiché al momento della distruzione dell'edificio amarniano i blocchi erano stati trasferiti dall'una all'altra costruzione in gruppi più o meno adiacenti, l'immediato esame in vista di una ricostruzione ha portato alla ricostruzione di intere pareti, importante documento del momento iniziale della riforma atoniana. Queste attività hanno determinato come conseguenza lo smontaggio del IX pilone e la sua ricostruzione appoggiando il paramento a una nuova struttura in cemento, in cui sono stati ricavati alloggiamenti di deposito e di studio: questo è il prezzo delle maggiori cognizioni e documentazioni.
Meno traumatica e assai fruttuosa è stata la sistemazione di un museo epigrafico all'aperto, in cui sono state riunite quelle pietre e quelle ricostruzioni che non hanno potuto trovare posto nella loro sede originaria, occupata ora da altre più tarde costruzioni. Presso Karnak il Tempio di Mut di Asheru è stato riesplorato con le cautele del moderno approccio archeologico dal Museo di Brooklyn. Non ci sono stati i risultati spettacolari dell'esplorazione effettuata alla fine del secolo scorso; ma a parte il ritrovamento di una grande iscrizione di Ramesse II che riferisce della sua attività edilizia, di abitazioni ramessidi e costruzioni dell'inizio dell'età romana, si è riconosciuta una funzione di mammisi ai resti di una costruzione di età etiopica (XXV dinastia) all'angolo NE del complesso, che fornisce un esempio precoce di questa struttura rituale.
In confronto alla quantità di interventi a Karnak, si è fatto meno nell'altro tempio tebano, quello di Luxor, dove ci si è occupati del rilevamento degli splendidi rilievi della festa di Opet da parte dell'Istituto Orientale di Chicago. I ruderi romani (un Serapeo dell'età di Adriano, il campo militare di Diocleziano, i resti di abitazione) sono forse il risultato più importante delle esplorazioni sul luogo in questi ultimi anni. Ma una menzione a parte merita la scoperta, frutto secondario di una urgente necessità di restauro del colonnato di Amenophis III, di un deposito di statue - molte delle quali perfettamente conservate e di tipologia inconsueta - che risalgono in massima parte al Nuovo Regno e che sono state volontariamente e coordinatamente deposte in una fossa del cortile. Frammenti ceramici del riempimento datano l'operazione all'età romana.
Molta attività è stata svolta nell'altra metà della regione tebana, la città funeraria nell'oltrenilo. Al Ramesseo ha lavorato a lungo in questi anni il Centro di Documentazione del Servizio delle Antichità: la regione dei magazzini è stata rivisitata, con la scoperta di tombe del III Periodo Intermedio che vi si erano allogate e con la constatazione di un dròmos con sfingi che - pare - circondasse il complesso. Vi sono stati anche identificati resti che alludono a una struttura che prelude a quello che sarà poi il mammisi (il complesso edificio consacrato alla nascita di Horus e perciò del sovrano che con il dio è assimilato). Il Tempio di Seti I è stato riassestato dai suoi antichi restauri da una missione dell'Istituto Archeologico Germanico che ne ha insieme scoperto il viale d'accesso, i primi cortili e i resti di un palazzo regale connesso con il tempio. Ma accanto a questi lavori nei templi più noti, va segnalata una ricerca volta a identificare tracce di altri meno evidenti nella loro condizione attuale: fra i contributi più interessanti quelli dell'Istituto Svizzero nei due templi di Amenophis III e di Merenptah, ambedue di grandissime proporzioni, e il secondo costruito in parte con materiali di recupero tratti dal primo cui è praticamente contiguo. Del non lontano Tempio di Thutmosis IV i resti sono stati posti in evidenza e studiati da una missione dell'Università di Pisa, e - infine - del Tempio di Ramesse IV ha potuto dare indiretta notizia lo scavo della Missione Austriaca all'Asasif che ne ha trovato le fondazioni sulla roccia, corredate da iscrizioni in ieratico che hanno fornito interessanti notizie su questo monumento del tutto scomparso. Con i templi funerari sono connesse, nelle due valli dei Re e delle Regine, le tombe sovrane. Per quelle dei re ci sono stati interventi soprattutto di rilevamento da parte di Polacchi, di Svizzeri, di Americani, che in alcuni casi hanno portato a migliori edizioni di testi e di rappresentazioni. Fra queste sono le tombe di Ramesse II, di Ay, di Ḥoremheb. La più importante novità è comunque quella della scoperta da parte di una università americana della singolare tomba multipla dei figli di Ramesse II. Un'attività più complessa si è avuta per conto del Centro di Documentazione con collaborazione francese alla Valle delle Regine: là con metodo si son venute ricercando le tombe di regine e di principi di cui si conosceva l'esistenza ma che erano state in passato solo rapidamente scavate. Fra queste tombe notevole è stata quella di Tuia, la madre di Ramesse II, che fra l'altro ha restituito una assai fine testina di vaso canopo. La più importante, quella della regina Nefertari, trovata in splendido stato di conservazione al principio del secolo dallo Schiaparelli, continua a porre il problema della sua manutenzione anche dopo l'esemplare restauro, ora compiuto dalla Fondazione Getty, che ha una impostazione assai larga e che dovrebbe servire come esperimento pilota nei riguardi di tutti i problemi connessi con la custodia e il restauro delle tombe dipinte tebane.
Nella prospettiva sempre più sentita del recupero e della conservazione dei monumenti, due esempi hanno particolare importanza: il Tempio di Ḥatshepsut a Deir el- Baḥrī (e in parte quello attiguo di Thutmosis III) e la Tomba di Montemḥat all'Asasif. Nel primo caso una missione polacca ha proceduto a un riesame delle vecchie ricostruzioni che ha portato a numerosi mutamenti e soprattutto a una molto più energica ricostruzione di parti mancanti, necessaria per fornire sostegno e protezione, anche se talvolta può sembrare troppo vistosa. Nel caso di Montemḥat, la splendida costruzione della fine della XXV dinastia, che è stata spogliata e orribilmente manomessa in passato, è restituita con un paziente gioco di intarsio dei frammenti recuperati. È un'opera che, completata, ricostituirà un monumento chiave nella storia dell'architettura funeraria egiziana.
L'esplorazione delle tombe dipinte o comunque decorate della necropoli è, naturalmente, continuata: l'Università di Heidelberg, il Museo del Cinquantenario di Bruxelles, l'Accademia Ungherese, l'Istituto Archeologico Francese, l'Istituto Orientale di Chicago, l'Istituto Archeologico Germanico e altri hanno rilevato tombe ramessidi e anche più antiche di cui non è certo il caso di dare partita notizia e che si aggiungono ad altre arricchendo la documentazione. Meno scontata è la scoperta di tombe della III e IV dinastia a et-Taref, raggiunte durante rinnovate indagini alle tombe degli Antef in quella località, che mostrano un insediamento assai più antico di quello normalmente documentato (la più antica tomba decorata era finora quella di Ibi e Khenty della VI dinastia). Il gruppo più cospicuo e significativo - il cui scavo da parte di una missione austriaca, una belga e una dell'Università di Roma ha permesso di stabilire le regole architettoniche e concettuali cui sottostanno tutte - è quello delle tombe saitiche dell'Asasif, che si stendono dietro quella che ne è in certo modo il capostipite, la Tomba di Montemḥat. Esse sono caratterizzate da una coppia di cortili, di cui uno a livello del terreno circostante e uno a pozzo, il che dà una notevole ricchezza di movimento alla struttura architettonica.
Non solo funeraria tuttavia è l'area di T. occidentale. Tralasciando le ricerche giapponesi che vi hanno indicato una serie di livelli paletnologici, dal Paleolitico (assai raro, questo) in poi, è più importante per la ricerca archeologica l'identificazione fatta anch'essa dai Giapponesi, nel Palazzo di Amenophis III a Malqata, di una scalinata con figure di prigionieri che porta a un terrapieno in cui si è riconosciuto il basamento dei tabernacoli per il «giubileo» (festa sed) del sovrano, e la scoperta, da parte dell'Istituto Orientale di Chicago, di un porto circolare connesso con il palazzo e tale da organizzare attorno a sé settori civili, templari e con funzioni commerciali e religiose: è davvero un nuovo punto di vista per la storia della regione.
La grande quantità dei monumenti di quest'area, infine, è in via di una completa ed esattissima registrazione topografica per merito di una attrezzata missione dell'Università di Berkeley.
V. anche valle dei re e valle delle regine.
Bibl.: Le scoperte e i lavori nell'area dei templi di Karnak sono indicati nelle singole pubblicazioni che appaiono nella rivista del Centre Franco-Egyptien d'études des temples de Karnak, e cioè i Cahiers de Karnak, che hanno iniziato la loro pubblicazione nel 1973, continuando la serie Karnak dello stesso centro. Una visione complessiva è in J. Lauffray, Karnak d'Egypte, Domaine du Divin. Dix ans de recherches archéologiques et de travaux de maintenance en coopération avec l'Egypte, Parigi 1979 e C. Traunecker, J.-C. Golvin, Karnak. Résurrection d'un site, Friburgo 1984. A fianco di questa serie, la ricerca delle thalathāt di Amenophis IV e della loro sede originaria si trova in R. W. Smith, D. B. Redford, The Akhenaten Temple Project, I. Initial Discoveries, Warminster 1976, e per singoli problemi dell'area v. D. B. Redford e altri, Interim Report on the Excavations at East Karnak, in JARCE, XVIII, 1981, pp. 11-31.
Gli scavi francesi a Karnak Nord sono riportati in una serie di rapporti di J. Jacqut e altri, in BIFAO a partire dal vol. LXIX, 1970.
Il vicino Tempio di Mut di Asheru è stato esplorato da una missione di Brooklyn: una visione d'insieme in R. Fazzini, W. M. Peck, Excavating the Temple of Mut, in Archaeology, XXXVI, 1983, 2, p. 16 ss.; iid., The Precinct of Mut during Dyn. XXV and Early Dyn. XXVI. A Growing Picture, in Journal of the Society for the Study of Egyptian Antiquities, XI, 1981, p. 115 ss.
Per i clamorosi ritrovamenti di sculture in un nascondiglio del cortile del tempio di Luxor v. M. el-Saghir, Das Statuenversteck im Luxortempel, Magonza 1992. Per i resti romani di Luxor, J.-C. Golvin, S. 'Abd el-Hamid, G. Wagner, F. Dunand, Le petit Sarapieion romain de Louqsor, in BIFAO, LXXXI, 1981, p. 115 ss.
Sulla riva O, relativamente al riesame dei resti del Ramesseo sono apparsi i primi volumi che pubblicano i risultati degli interventi nella «Collection Scientifique» del Centro di Documentazione egiziano del Cairo. Un rapido programma è tracciato da F. Hassanein, Enregistrement et Publication du Ramesseum: bilan et perspectives, in Ν. C. Grimal (ed.), Prospection et sauvegarde des Antiquités de l'Egypte, Il Cairo 1981, p. 169 ss.; Ch. Desroches Noblecourt, Le mammisi de Ramsès au Ramesséum, in Memnonie, I, 1990-91, pp. 26-43.
Il Tempio di Seti I a Qurna ê stato rivisitato e in parte scavato per la prima volta dall'Istituto Archeologico Germanico: le successive relazioni a cura di R. Stadelmann sono apparse nelle MDIK, dal XXVIII, 1972 in poi.
I resti dei templi di Amenophis III e di Merenptah sono stati studiati dall'Istituto Svizzero: G. Haeny, Untersuchungen im Totentempel Amenophis /// (Beiträge zur ägyptischen Bauforschung und Altertumskunde, 11), Wiesbaden 1981.
Le numerose osservazioni e scoperte durante i lavori di anastilosi e di restauro compiuto dalla missione polacca a Deir el-Baḥrī, sia nel Tempio di Ḥatshepsut sia in quello di Thutmosis III e nella cappella di età tarda sono in AA.VV., Deir el Bahari. I-V, Varsavia 1974-1981. In particolare: Z. Wysocki, The Discoveries, Research and the Results of the Reconstruction Made at the Rock Platform and the Protective Wall over the Upper Terrace in the Temple of Queen Hatshepsut at Deir el Bahri, in MDIK, XXXIX, 1983, p. 243 ss.
Per quanto concerne l'attività edilizia di Amenophis III sulla riva 0, importante è anche la ripresa delle ricerche nella zona del palazzo del sovrano a Malqata da parte di una missione giapponese: S. Yoshimura, The Result of First Building at Kom el-Samak, in Proceedings of the 31st International Congress of Human Sciences in Asia and North Africa, Tokyo-Kyoto 1983, p. 994 ss. Per l'identificazione di un'installazione portuale nella zona: B. Kemp, D. O'Connor, An Ancient Nile Harbor. University Museum Excavations at the Birket Habu, in IntJNautA, III, 1974, 1, pp. 101-136. Altre notizie in D. J. Kemp, Excavations at Malkata (Newsletter of the American Research Center in Egypt, 88), II Cairo 1974.
Per le altre costruzioni civili della regione, Ch. Bonnet, D. Valbelle, Le village de Deir el Médineh. Reprise de l'étude archéologique, in BIFAO, LXXV, 1976, p. 429 ss. Circa i lavori nella necropoli vera e propria, una serie di tombe ramessidi è stata ristudiata da una missione tedesca, e le relazioni si trovano a cura di J. Assmann e dei suoi collaboratori nelle MDIK a partire dal vol. XXXVI, 1980.
La splendida Tomba di Kheruef, dell'epoca di Amenophis III, è stata rilevata e pubblicata in AA.VV., The Tomb of Kheruef: Theban Tomb 192 by the Epigraphic Survey in Co-operation with the Department of Antiquities of Egypt, Chicago 1980. Una serie di ricerche nelle tombe saitiche dell'Asasif è pubblicata in D. Eigner, I. Dorner, Die monumentalen Grabbauten der Spätzeit in der thebanischen Nekropole, Vienna 1984.
Fra le particolari revisioni di tombe della Valle dei Re, ricordiamo: E. Hornung, Das Grab des Haremhab im Tal der Könige, Berna 1973 e il quadro generale in id., Der Tal der Könige. Die Ruhestätte der Pharaonen, Zurigo-Monaco 1982. Una prima notizia sulla tomba dei figli di Ramesse II a opera di Weeks è in J. Leclant, G. Clerc, Fouilles et travaux en Egypte et ou Soudan, 1993-1994, in Orientalia, LXIV, 1995, p. 288.
La Valle delle Regine è stata oggetto di un ampio lavoro di risistemazione archeologica che tende a ricostituirne la realtà globale, a opera del Centro di Documentazione sull'Egitto Antico: Ch. Desroches Noblecourt, Musée de site et Musée du site. A propos de la Vallée des Reinese; Ch. Leblanc, Une collaboration franco-égyptienne dans la Vallée des Reins pour l'enregistrement et la protection des tombeaux brûlés; in N. C. Grimal (ed.), Prospection..., cit., pp. 95 ss. e 37 ss.
Sui restauri nella più nota delle tombe di quella regione: AA.VV., Wall Paintings of the Tomb of Nefertari - Scientific Studies for their Conservation. First Progress Report, July 1987. A Joint Project of the Egyptian Antiquities Organization and the Getty Conservation Institute, II Cairo 1987.